Venerdì 20 dicembre 2019, il tempo d'Avvento proposto dall'Ordine Monastico Ecumenico Christiana Fraternitas prosegue con la sua VI tappa.
Ogni venerdì d'avvento l'Abate dom Antonio Perrella terrà la predicazione sulla preghiera del Padre nostro. Questa settimana è stata trattata la richiesta: "Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori".
La Celebrazione Ecumenica della Parola è arricchita dal lucernario tratto dalle Constitutiones Apostolorum e dal canto delle Antifone Maggiori (comunemente dette: Antifone "O").
Testo integrale della VI meditazione sul Padre nostro del nostro
Rev. mo Padre Abate dom Antonio Perrella
«Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori»
Cari Fratelli e Sorelle,
Le richieste che riguardano il peccato ed il male, nel Padre nostro, sono ben tre. Occupano, quindi, uno spazio prevalente. Su sette richieste, ben tre riguardano il male ed il peccato: rimetti i nostri debiti, non abbandonarci nella tentazione e liberaci dal male.
Gesù sa che la vita dell’uomo è attanagliata da mali interni ed esterni e vuole che noi confidiamo nella paternità di Dio, che – tra gli altri doni – vuole darci anche la pacificazione interiore (pace con lui e con noi stessi) ed esteriore (pace con gli altri e il contesto in cui viviamo).
Nella Bibbia ebraica e, quindi, nel contesto culturale in cui Gesù visse il peccato è espresso come peccato, trasgressione, disobbedienza, ma non come debito. Forse per questo Luca preferisce riportare “perdonaci i nostri peccati” (Lc 11,4). Matteo, invece, usa proprio l’espressione “rimettere i debiti”. Come mai?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo anzitutto cercare nel vangelo le volte in cui Gesù parla di debito, per poi comprendere cosa significava per lui, ovvero nella sua cultura e nella sua esperienza.
Abbiamo almeno 5 parabole che parlano del debito: in Mc 12,1-12 la parabola dei vignaioli malvagi che non vogliono pagare il fitto (debito) della vigna; in Mt 18,23-35 il servo ingrato che, pur ricevendo il condono del proprio debito dal suo padrone, non lo concede ad un altro servo come lui; in Lc 16,1-8 l’amministratore infedele che, per assicurarsi un futuro, diminuisce i debiti contratti da alcune persone con il suo padrone; in Lc 7,40-43 l’uomo che condona due debiti a due debitori, uno maggiore (che gli porta più riconoscenza) ed uno minore (che gli porta inferiore riconoscenza). Si tratta di ben quattro parabole. Evidentemente la questione del debito doveva avere in Gesù un’eco particolarmente grande. Proviamo a chiederci la motivazione.
Sin da un secolo prima di Gesù la questione del possesso delle terre in Palestina vedeva i grandi latifondisti assorbire, per debiti, i beni ed i possessi dei piccoli proprietari. Il proprietario di un campo doveva fare molta attenzione alle spese: doveva infatti preventivare dal guadagno di un anno una serie di spese certe: il costo della semente per la semina successiva, foraggio per il bestiame; il cibo per la famiglia; fondi per il baratto ed il commercio di beni necessari; fondi per occasioni speciali (matrimoni, funerali, ecc.); soldi per le tasse sia civili (esattori) sia religiose (sacerdoti e tempio). Il margine di errore in questi calcoli non doveva esistere. A queste situazioni normali, potevano unirsi situazioni di calamità straordinaria: siccità, diluvi, morte del prodotto. In questi casi, per nulla rari, e nell’assenza di sussidi statali, il piccolo proprietario era certamente rovinato. Poteva soltanto indebitarsi. Ma il debito non faceva altro che accrescere le sue uscite, perché a quelle normali doveva aggiungere la rata della restituzione. Ma la sua terra era capace di produrre ciò che produceva normalmente e non di più. Né poteva pensare di fittare un pezzo ulteriore di terra, perché avrebbe dovuto aggiungere alle spese anche la rata del fitto. Un po’ per volta, l’agricoltore, nonostante il duro lavoro, si vedeva costretto a vendere la terra ed andare a fare altri lavori per dar da mangiare alla sua famiglia. Il problema, però, che gli unici lavori che gli venivano sempre proposti erano proprio quelli che nessuno voleva fare perché erano ritenuti “peccaminosi”: il pastore, il trasportatore di merci, il bottegaio. Ovvero tutti quei mestieri in cui si dovevano manovrare i beni di altri. Poiché l’occasione fa l’uomo ladro, chi faceva questi mestieri era ritenuto un ladro, ovvero un peccatore certo, un pubblicano.
Uno dei problemi più seri era che a portare a questo stato di cose era proprio l’alto livello di tassazione, che era doppio: quello dello stato e quello del tempio. Un fattore o agricoltore arrivava a pagare dal 45% al 60% di tasse. E se cadeva in disgrazia il tempio (oltre allo stato) pretendeva, a tutti i costi, il pagamento delle tasse, pena l’ira furibonda ed i castigo divino.
Le persone così finivano schiacciate ed umiliate per colpa di Dio (o di chi presumeva di farne le veci sulla terra).
Ora è più semplice comprendere perché Gesù dice, e Matteo conserva, la richiesta: “rimetti i nostri debiti”. Un Dio che si era mostrato Padre, il cui nome e la cui santità si manifestano nella benevolenza e nella misericordia, non può che essere uno che cancella i debiti, che li annulla alla radice. Non c’è più nulla, per cui uno debba sentirsi schiavo o correre il rischio di diventare schiavo a causa di Dio. Doveva essere una liberazione infinita per quanti ascoltavano Gesù. E certo era anche una potenziale rivoluzione, perché significava (implicitamente) che neppure i sacerdoti potevano più pretendere a nome di Dio quello che neppure Dio pretendeva.
Tuttavia, questa rivoluzione va anche ben oltre. Chi ha fatto esperienza della misericordia di Dio, che libera dai debiti schiaccianti e riabilita la dignità e la libertà delle persone, non può a sua volta non fare lo stesso. Riconoscersi tutti debitori condonati deve portare a condonare, esattamente come Gesù aveva detto nella parabola del servo ingrato.
Tuttavia, l’espressione “come noi li rimettiamo” è davvero complessa. Anzitutto letteralmente significa: “come anche noi abbiamo rimesso ai nostri debitori”. Questo indica che nessun perdono possa attendersi chi prima non abbia perdonato al proprio fratello.
C’è anche una seconda possibilità di interpretazione: il verbo usato è all’imperfetto (abbiamo rimesso) e questo potrebbe indicare una consuetudine, un modo di fare. In questo modo la frase avrebbe questo significato: “rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi siamo abituati a rimettere ai nostri debitori”. Ma abbiamo visto che non era affatto così! Anzi! I creditori quasi mai rimettevano i debiti: era loro diritto pretendere il pagamento e lo facevano rispettare a tutti i costi.
Questa preghiera, quindi, vuole creare un legame strettissimo tra il condono ricevuto ed il condono dato. E se Gesù crea questo legame, vuol dire che la società nella quale viveva era fortemente litigiosa, tant’è che lui vuole insegnare ai suoi discepoli a vivere diversamente.
Questa richiesta “rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo” è del tutto impegnativa e per nulla ovvia perché ci impone di vivere diversamente da come il senso comune fa, da come istintivamente anche noi faremmo. Ci vincola ad un perdono gratuito ed immeritato che dobbiamo donare, perché è esattamente così che lo abbiamo ricevuto. E su quanto questo atteggiamento del cuore sia decisivo nel rapporto con Dio lo dimostra quando Gesù intima: «Se dunque presenti la tua offerta sull' altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono» (Mt 5,23-24).
Del resto, cari amici, è sotto gli occhi di tutti noi quanto invivibile sia un mondo fatto di orgoglio, di rivendicazione, di pretesa sull’altro, di offesa gratuita ed immotivata fino ad arrivare all’aggressione della vita. È invivibile un mondo nel quale ognuno pensa di essere creditore e di poter pretendere dagli altri che paghino i debiti, veri o presunti con lui. È asfissiante un mondo nel quale il risentimento e l’odio logorano il cuore e sfibrano i rapporti.
Come uscirne? Attraverso una nuova “educazione civica” all’arte del corretto convivere? Sarebbe bello ed utile, ma ancora insufficiente. Mai il cuore dell’uomo vedrà colmate le valli del suo bisogno di amore se non siamo aperti al perdono, cioè alla cancellazione dei debiti.
Il Padre onnipotente e misericordioso ci faccia fare l’esperienza liberante e riabilitante di questo perdono e condono, perché solo chi si lascia personalmente toccare dalla misericordia è capace di donare misericordia.Amen.
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