Veglia Pasquale "in Resurrectione Domini" alla Christiana Fraternitas
- Christiana Fraternitas
- 20 apr
- Tempo di lettura: 8 min
"Un credente oggi fa la stessa esperienza di Paolo all’areopago. Se parla della risurrezione, la risposta degli interlocutori è: su questo ti ascolteremo un’altra volta (At 17, 32). Eppure, miei cari fratelli, è proprio la risurrezione il centro della fede e dell’annuncio del credente; ancora Paolo dirà: “se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede”(1Cor 15,17)". Sono alcune parole tratte dall'omelia dell'Abate dom Antonio Perrella per la veglia pasquale. Il triduo è stato caratterizzato dalla predicazione sui verbi della Parola proposta dal calendario. Per la veglia pasquale l'Abate ha strutturato l'omelia sul verbo zetèin (cercare) dando ragione dei motivi e dei modi con cui oggi è possibile accogliere il misterioso dono della risurrezione e della vita eterna.

Alla Christiana Fraternitas, presso la Cappella "Santi Benedetto e Scolastica" alle ore 22.30, si è tenuta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola in Resurrectione Domini. Naturalmente non è mancata la liturgia del fuoco, del cero e dell'acqua.
Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro
Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella
Carissimi fratelli e sorelle, cari amici ed amiche,
«perché cercate tra i morti colui che è vivo?».
Tutto questa notte nasce da questa domanda; e tutto dipende dalla risposta che diamo a questa domanda.
Perché cercate? Il verbo – dal momento che sono i verbi ad averci guidati in questa Settimana Santa – è il verbo greco zetéo. Ma qual è il suo significato? Lo possiamo ricavare dall’utilizzo che ne facevano i greci.
Il Sofista di Platone ci mostra che la ricerca del senso dell’essere si compie attraverso la ricerca dialettica di un concetto. È il tentativo di cogliere l’essenza dell’essere attraverso la discussione. Platone vede la ricerca (zetéin - ζητεῖν) come un cammino dell’anima verso il mondo delle idee, illuminato dalla reminiscenza e dalla guida del maestro (Socrate). Il cammino filosofico è ascendente, ma razionale, filosofico. Il mondo superiore, il mondo altro è il mondo delle idee.
Il suo discepolo, Aristotele, prende leggermente le distanze dal suo maestro. Sebbene anche per lui zetéin (ζητεῖν-indagare) significhi cercare, ovvero lo sforzo di comprendere; qui oramai ci troviamo in una comprensione inquadrata in un recinto sistematico e scientifico. Aristotele concepisce la ricerca come un’analisi razionale delle cause e dei principi primi delle cause, basata sull’osservazione della realtà sensibile. Il suo zetéin - ζητεῖν è un metodo logico e strutturato (analitico) della realtà e dell’essere, non una tensione verso un mondo delle idee (Iperuranio di Platone).
Se dal campo della filosofia, passiamo a quello della storiografia, le cose non cambiano affatto. Erodoto, nelle Storie, indaga (zétein) nella memoria delle opere passate perché queste non svaniscano nel tempo, se ne ricordi la gloria e da esse si possa imparare.
Tanto che ci si muova nel campo delle idee, tanto che lo si faccia nel campo dell’essere e della storia, rimane un dato comune: zetéin indica un ragionamento, una ricerca razionale.
Attorno alla persona di Gesù non pochi si sono posti un interrogativo di ricerca razionale. Sono riusciti a scoprire molte cose importanti della sua vita e del suo insegnamento. Tuttavia, per essi i miracoli sono simboli e la resurrezione è una metafora. È, in fondo, quella prospettiva esegetica di Bultmann, conosciuta con il nome di demitizzazione. Secondo questa prospettiva la sensibilità scientifica e razionale moderna dinanzi al Nuovo Testamento si trova in imbarazzo, perché esso racconterebbe metafore a cui non si può dare un contenuto storico o reale: miracoli, risurrezione, ascensione non potrebbero essere fatti storici, ma sono simbolizzazioni mitologiche che starebbero a significare la potenza di Dio che interviene nella storia (miracoli), la vittoria di Dio sul peccato e sulla morte (risurrezione) e la realtà divina della persona di Gesù (ascensione). Sottoponendo Gesù ed il Nuovo Testamento a questo approccio, tuttavia, quello che rimane tra le mani è meno che polvere. Infatti, in che modo un miracolo potrebbe significare l’intervento di Dio nella storia se si esclude che i miracoli possano avvenire? Quale potenza rimarrebbe a Dio se egli non potesse agire miracolosamente? E se la risurrezione non fosse un fatto storico, ma solo una metafora di vittoria sulla morte, verrebbe da domandarsi: e in che modo Dio vince sulla morte se non risorge e fa risuscitare?
Carissimi, pensavamo che certe interpretazioni, nate dal fascino della filosofia esistenzialista, avessero ormai mostrato da tempo la loro inconsistenza. Ed invece oggi ci troviamo dinanzi a due fattori abbastanza inquietanti: il primo è che queste teorie continuano ad esercitare il loro fascino culturale. Pensate che agli inizi di questo mese di aprile a New York un’autrice ha scritto il libro Miracoli e stupore: il mistero storico di Gesù, che ripropone esattamente una lettura demitizzata di Gesù e della sua vita e missione. Il secondo fattore è che la stragrande maggioranza delle persone, che si dicono attratte da Gesù, dinanzi al tema della risurrezione si tirano indietro, rimangono scettiche.
Un credente oggi fa la stessa esperienza di Paolo all’areopago. Se parla della risurrezione, la risposta degli interlocutori è: su questo ti ascolteremo un’altra volta (At 17, 32). Eppure, miei cari fratelli, è proprio la risurrezione il centro della fede e dell’annuncio del credente; ancora Paolo dirà: “se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede”(1Cor 15,17).
Tutto questo mostra che dinanzi alla risurrezione di Gesù e, di conseguenza, alla verità della vita eterna e della nostra risurrezione non basta sforzarsi di comprendere con un approccio intellettuale, occorre aprirsi ad una forma altra di conoscenza che è la conoscenza per fede, per viam fidei.
Occorre comprendere bene cosa voglia dire conoscere per fede, conoscere nella fede per non cadere nel rischio di pensare che la fede abbia come oggetto l’irrazionale. La conoscenza per fede non è irrazionale; non è neppure soltanto razionale, ma è ragionevole. Sì, credere è ragionevole!
Se ne occupò, con la sua consueta intelligenza ed acribìa, Tommaso d’Aquino, il quale disse: «la fede è un atto dell’intelletto che assente alla verità divina, su comando della volontà, mossa dalla grazia» («Fides est assensus intellectus veritati divinae ex imperio voluntatis motae a Deo per gratiam.» (ST II-II, q.2 a.9).
La fede, quindi, richiede la volontà e l’intelletto – certo, mossi e sostenuti dalla grazia – ma pur sempre atti di volontà e di intelletto che decidono di fidarsi ed affidarsi. Ma questo del resto non è l’atteggiamento di ogni forma di conoscenza? Quando noi ci interessiamo ad una qualsiasi tematica scientifica, non compiamo ripetuti e costanti atti di fede? Nessuno ricomincia dall’inizio il percorso della conoscenza e della ricerca. Ci si fida delle acquisizioni del passato, ci si basa sui risultati della ricerca di chi ha preceduto, così la conoscenza procede e va avanti.
Fa intrinsecamente parte dell’atto della conoscenza anche l’atto del fidarsi. Dunque la fede non è cieca: è ragionevole, ma non razionale in senso stretto, poiché riguarda verità che eccedono l’evidenza immediata.
Un altro aspetto proprio della conoscenza per fede è la sua natura relazionale, che è strettamente legata alla sua dimensione fiduciale, espressa da Tommaso. Ne ha parlato più volte il teologo cattolico e poi vescovo di Roma, Joseph Ratzinger. Nella sua celebre Introduzione al cristianesimo scrisse: «Credere è un modo di conoscere, ma un modo del tutto proprio: significa affidarsi, abbandonarsi, impegnarsi con tutta la propria esistenza» (Introduzione al cristianesimo, Queriniana, 2005, p. 82). La fede è un atto relazionale e personale: non si crede in qualcosa, ma in qualcuno – Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, morto e risorto per noi!
«La fede cristiana non è un sistema di concetti astratti, ma un incontro con una realtà: con il Dio vivente, che ci ama e ci chiama» (Fede, verità, tolleranza, 2003).
La fede non conosce attraverso concetti astratti, ma attraverso l’incontro e la testimonianza.
In questo senso, la fede richiede la ragione, entra in dialogo con la ragione, anzi in un rapporto osmotico con essa. Nell’enciclica Fides et Ratio (1998), Giovanni Paolo II afferma che «la fede chiede di essere compresa. Il credente non è mai totalmente soddisfatto senza cercare di conoscere meglio Colui nel quale ha posto la sua fiducia» (n. 42).
E proprio perché questa conoscenza fiduciale e relazionale coinvolge tutta la vita, allora «la conoscenza derivante dalla fede non si oppone alla verità della ragione; piuttosto la purifica e la eleva» (n. 79).
La fede non chiude la ragione, ma la spinge a cercare oltre. Possiamo dire che: la verità della fede è luce per la ragione!
La conoscenza per fede è quindi fiduciale, relazionale, ragionevole e interpella e dà forma a tutta la vita. Questo è il zetéin – indagare per viam fidei, attraverso la fede. Ed è il percorso interiore che ci è stato descritto proprio nel Vangelo di questa notte santissima.
Abbiamo ascoltato che le donne «si recarono»: per conoscere occorre mettersi in movimento in prima persona, bisogna personalmente impegnarsi nel faticoso cammino della conoscenza e della ricerca.
Poi esse «trovarono che la pietra era stata rimossa»: occorre guardare i fatti, senza pregiudizi. Il dato della pietra rimossa di per sé non spiega il motivo della rimozione. In senso stretto può indicare sia che qualcuno dall’esterno l’abbia aperta (magari per trafugare il corpo del Signore), ma anche che qualcuno dal di dentro l’abbia aperta (per uscire dal sepolcro). Escludere a priori questa possibilità sarebbe un atteggiamento di pre-giudizio.
Poi, le donne «si domandano il senso di tutto questo»: è l’atteggiamento di chi vuole comprendere ed è aperto a tutte le possibilità, nessuna esclusa. Non si fermano al dato in sé, ma cercano di capire il senso, il significato del dato.
Ancora, ascoltano la spiegazione di quegli uomini in abito sfolgorante. Esse sono aperte alla possibilità che qualcuno le aiuti a comprendere. Non hanno la pretesa di comprendere da sole, come se la loro razionalità fosse l’unica strada di accesso alla verità e alla sua conoscenza. Sanno che conoscere è un atto collettivo, sanno che la conoscenza si trasmette nella comunità e che questa spesso è un dato storico più che geografico, cioè che la conoscenza è trasmessa attraverso i tempi. Infatti, quegli uomini ricordano alle donne le Scritture. Infatti, per comprendere il dato dinanzi al quale si trovano devono inserirsi nella comunità di conoscenza, devono appropriarsi delle conoscenze a cui sono pervenuti quanti hanno cercato prima di loro.
Inoltre, le donne scoprono che esistono cose che non possono essere dimostrate solo razionalmente e questo però non le rende irrazionali. L’amore sconfinato di una madre, che offre la vita per la salvezza del figlio, non può certo essere ridotto alla produzione di un qualche specifico ormone che darebbe impulsi al cervello. Eppure quell’amore, sebbene non possa essere spiegato razionalmente, non ci appare affatto irrazionale o irragionevole.
Infine, esse corrono a condividere questa nuova, sebbene incipiente conoscenza, con gli altri.
Questa conoscenza tuttavia diventerà piena, affermata e solida solo quando vedranno il Signore risorto, faranno di lui esperienza nella relazionalità del loro rapporto con lui, ma anche quando di questo rapporto diventeranno annunciatrici e testimoni. Perché la conoscenza per viam fidei passa per il coinvolgimento di tutta la persona e di tutta la vita.
E quanto questo sia vero, probabilmente lo sappiamo bene tutti. Chi di noi non ha vissuto momenti di dubbio, di domanda sulla propria fede. Se siamo intellettualmente onesti, dobbiamo riconoscere che quei dubbi non sono nati per fatti accaduti o per risposte non ricevute; quei momenti sono arrivati quando abbiamo indebolito il nostro rapporto intimo e esistenziale con Gesù Cristo. La fiducia, in qualsiasi rapporto relazionale, cresce o diminuisce in base alla frequentazione, alla familiarità.
Cari fratelli e sorelle, cari amici ed amiche, se oggi vogliamo veder rinascere in noi la fede nella risurrezione di Gesù e, di conseguenza, la fede nella eternità della nostra vita e nella risurrezione della nostra carne, dobbiamo tornare ad una vitale e coinvolgente relazione di intelletto, di volontà, di affetto, di ricerca costante con il Signore Gesù, il Cristo risorto. Solo così potremo credere eum, credere eo, credere in eum – credere ciò che lui ci insegna, credere a lui che ci guida, credere in lui che ci rende partecipi della sua vita e della sua risurrezione. Amen! Alleluja!
dom Antonio Perrella +
Qui sotto il video dell'omelia

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