"Sembra che in questa notte Gesù, vittorioso sulla morte, abbia portato a compimento la sua missione, la diakonia che il Padre gli aveva dato da compiere: diakonia alla volontà del Padre, che è anche, al tempo stesso, diakonia in favore e per la salvezza degli uomini. Mi sembra, cioè, che il mistero di Gesù, che questa notte celebriamo, indichi alla Chiesa, che anch’essa dev’essere serva, diacona, diakonia". Sono le parole che introducono al cuore dell'omelia dell'Abate dom Antonio per la Celebrazione della veglia pasquale 2023. Diakonia della luce, diakonia della sapienza, diakonia della memoria, diakonia della compagnia o comunione e diakonia della vita. Sono i cinque passaggi della predicazione che hanno completato l'itinerario di meditazione sul santo triduo pasquale.
Alla Christiana Fraternitas, presso la Cappella "Santi Benedetto e Scolastica" alle ore 22.30, si è tenuta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola in Resurrectione Domini. Naturalmente non è mancata la liturgia del fuoco, del cero e dell'acqua.
Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro
Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella
Testo di riferimento Mt 28, 1-10;
mistagogia liturgica della veglia pasquale
Cari Amici, Carissimi fratelli e sorelle,
in questi giorni di grazia gli eventi della nostra salvezza non solo ci mettono in contatto con la grazia salvatrice di Gesù, ma anche ci educano nel cammino della fede.
Camminare nella fede in Gesù, infatti, vuol dire anzitutto essere innestati in Lui, nel mistero santo della sua identità e della sua vita; vuol dire lasciare che lo Spirito, effuso nei nostri cuori, ci plasmi, ci cambi, ci trasformi ad immagine di Gesù. Dobbiamo lasciarci plasmare dallo Spirito sia come singoli sia come comunità, come Chiesa. Nella domenica delle Palme, il mistero di Cristo ci ha mostrato che la Chiesa è odòs, strada, cammino verso Dio e verso gli uomini. Il giovedì santo ci ha ricordato che la Chiesa è koinonia, comunione con Dio, con i fratelli e sorelle, con tutti gli uomini e le donne. Il venerdì santo – con il sacrificio sacerdotale di Gesù – ci ha mostrato che la Chiesa è leitourghia-culto, nella misura in cui è martyria-testimonianza dell’amore di Dio verso gli ultimi, gli sconfitti della storia umana, che sono i beati della storia della salvezza!
Fratelli e sorelle, ora chiediamoci: cosa ci manifesta del mistero di Gesù questa notte santissima della sua risurrezione? Ed in cosa ci educa perché siamo la Chiesa che Gesù stesso ha voluto?
La celebrazione della veglia pasquale è antica, veneranda; ricca di Parola di Dio, di testi di preghiera, di canti, abbondante di segni. Questo variegato linguaggio della comunità cristiana tradisce (nel senso di tràdere, cioè tramanda, trasmette) la fede della Chiesa. Nella più antica tradizione dei Padri, per entrare nella comprensione e nella grazia del mistero celebrato, occorre usare la via della mistagogia. Attraverso di essa si decodifica il linguaggio del segno, attraverso la Parola di Dio, e se ne scopre la insondabile azione dello Spirito. È un po’ come aprire il segno liturgico, quasi fosse un ventaglio, per dispiegarne il mistero e la grazia che esso trasmette. In questa notte dobbiamo far sì che la luce della sapienza di Dio ci insegni i suoi misteri, ce li spieghi e dispieghi in modo che siamo messi in grado di viverli nella nostra esistenza quotidiana. Si tratta cioè di contemplare l’opera che Dio realizza in noi, mentre noi celebriamo il suo culto. E che questo atteggiamento – quello della contemplazione – sia l’unico atteggiamento possibile ce lo ha detto il vangelo della risurrezione, secondo Matteo, che abbiamo appena ascoltato. Tra i sinottici, Matteo è l’unico a dire che le donne vanno al sepolcro per contemplarlo (theoreō); gli altri vangeli invece dicono che si recano lì per ungere il corpo di Gesù.
Mentre esse contemplano quel luogo – come fosse un luogo santo, visitato e abitato da Dio – avviene un fatto sorprendente che coinvolge tutto il cosmo: la terra trema, il cielo si apre e fa discendere un angelo, sfolgorante della luce divina, che annuncia loro: non abbiate paura! Gesù, il crocifisso, è risorto! Non è qui!
Le antiche rappresentazioni di questa scena evangelica spesso rappresentavano l’angelo con una veste candida e, sopra di essa, la stola incrociata di tipo diaconale. Il messaggero di Dio veniva rappresentato come un diacono, come colui che nella celebrazione proclama, annuncia, ma anche come colui che serve. Chiediamoci allora: perché i nostri padri hanno attribuito all’angelo la duplice funzione del diacono, del servo, e quella dell’araldo, dell’annunciatore? Perché annunciare, proclamare la vittoria di Gesù sulla morte (e con essa su ogni forma di morte che imprigiona l’uomo) è il servizio più grande che si possa compiere: esso, infatti, vuol dire unirsi a Gesù, prolungare l’opera di Gesù che si è fatto servo (Fil 2) ed ha annunciato l’anno della misericordia del Signore (Lc 4).
A me sembra che in questa notte Gesù, vittorioso sulla morte, abbia portato a compimento la sua missione, la diakonia che il Padre gli aveva dato da compiere: diakonia alla volontà del Padre, che è anche, al tempo stesso, diakonia in favore e per la salvezza degli uomini.
Mi sembra, cioè, che il mistero di Gesù, che questa notte celebriamo, indichi alla Chiesa, che anch’essa dev’essere serva, diacona, diakonia. Se questa mia affermazione è vera, essa deve trovare riscontro proprio nella celebrazione che stiamo vivendo.
Domandiamoci, allora, sulla scia della mistagogia dei padri, in che modo la Chiesa deve esercitare la sua diakonia a Dio e al mondo?
Ci siamo radunati attorno ad un fuoco; le luci della nostra Casa di Preghiera erano spente e le tenebre avvolgevano ogni cosa. Abbiamo cantato a Cristo, luce del mondo, e dalla sua luce (quella del cero pasquale) abbiamo acceso le nostre candele e, un po’ per volta, la luce ha sconfitto le tenebre. Più noi ci lasciamo illuminare dalla luce di Gesù, più le tenebre cedono il passo alla luce. La prima diakonia, che viene affidata alla Chiesa dalla celebrazione della veglia, è allora la diakonia della luce. In un mondo, che ha posto i suoi valori fondanti su altro che non è la Parola di Dio, le persone spesso vivono senza sapere perché, senza riuscire a dare un senso alla propria esistenza. Essi si barcamenano negli eventi della vita, cercando di uscirne indenni. Anziché seguire ciò che è gusto e vero, inseguono ciò che è utile, spesso per loro e per loro soltanto. Perseguendo l’utile, non esitano a mentire a se stessi, alla propria coscienza e agli altri. In mezzo a questo mondo, dentro questa storia, però vi sono uomini e donne che hanno trovato il senso unificante della loro esistenza in Gesù. Essi – secondo l’insegnamento del Maestro – si sforzano di vivere nella luce della verità e della sapienza. Lasciarsi illuminare da Gesù vuol dire perseguire non ciò che utile, ma ciò che è giusto, ciò che è vero, anche a prezzo di rimetterci in prima persona. Il discepolo di Gesù non cerca accomodamenti, aggiustamenti, giustificazioni. Cerca ciò che è vero e lo segue; discerne ciò che è giusto e lo compie. La diakonia che noi possiamo compiere in favore del mondo non è illuminarlo con i nostri insegnamenti veri e giusti, ma convertirci noi personalmente al giusto e al vero. Non è l’insegnamento della verità e della giustizia che ci viene richiesto, ma ci è domandata da Gesù una vita giusta e vera; perché solo una vita giusta e vera è una vita che si è lasciata illuminare e, per questo, è capace di illuminare. È facile farsi maestri di verità e giustizia; quanto più difficile è essere testimoni di verità e giustizia. Illumina solo chi si è lasciato illuminare…
Dopo il segno della luce abbiamo cantato il preconio pasquale, l’Exultet. In quel testo si intrecciano il canto della lode, la lettura sapienziale della storia della salvezza, lo stupore del dono ricevuto, la lettura cristocentrica di tutto ciò che Dio ha compiuto. È un testo vibrante e di raffinata bellezza. Rileggere la storia, cioè tutto ciò che accade, in modo cristocentrico, vuol dire avere uno sguardo sapienziale sulla vita. In quel canto è espressa la diakonia della sapienza. La Chiesa serve al progetto di Dio e al bene degli uomini se è capace di guardare alla storia di tutte le persone e alle vicende del mondo con uno sguardo sapienziale. Questo sguardo è lungimirante e benevolo, tanto da arrivare a dire che la colpa di Adamo è una colpa felice, perché ci ha meritato di avere il grande redentore che è Cristo. Si tratta di una pedagogia straordinaria, perché ci insegna ad accostarci a tutto, anche ai fallimenti delle persone e della storia, con sguardo magnanimo, scoprendo che anche gli errori possono divenire un’occasione di grazia! In questo mondo giustizialista, nel quale si emette una facile condanna per ogni errore, la diakonia della sapienza, ci insegna ad accompagnare con pazienza, a stare accanto alle persone nei percorsi della loro maturazione; ma ci insegna anche che noi per primi dobbiamo avere il coraggio di imparare dai nostri errori, riconoscere gli schemi comportamentali per agire alla radice degli errori. Altrimenti, gira e rigira, siamo sempre fermi allo stesso punto.
Ancora: abbiamo ascoltato, abbondante, la Parola di Dio. Nelle sette letture della veglia ci è stata dispensata la Parola del Pentateuco, il ricordo delle alleanze che Dio ha stretto con il suo popolo, le parole profetiche che ci hanno insegnato a sperare nella salvezza. Abbiamo ripercorso, tappa dopo tappa, tutta intera la storia della salvezza, cioè l’insieme di tutto ciò che Dio ha compiuto per amore del suo popolo e dell’umanità intera. In quell’ascolto ed in quella proclamazione, abbiamo esercitato la diakonia della memoria. Si tratta di una forma di diakonia quanto mai urgente e necessaria. Dobbiamo dircelo: viviamo in un mondo smemorato! Non ricordiamo la storia ed i suoi errori, perciò ancora nel mondo si fa guerra. Non ricordiamo le persone e l’amore che ci hanno donato, e in un batter d’occhio le cancelliamo dalla nostra vita. Non ricordiamo le grazie costanti e sovrabbondanti con cui la paternità di Dio ci ha benedetti, e siamo sempre insoddisfatti, tristi e depressi come se non avessimo mai avuto nulla di buono. Non ricordiamo la promessa della vita e della gioia eterne, che Gesù ci ha fatto, e veniamo distrutti da ogni sofferenza e atterriti dal pensiero della nostra morte. Amici miei, senza memoria non c’è speranza, perché sembra di vivere in un punto sperduto del mondo e della storia, in un’atroce solitudine… È la memoria che risveglia la gioia e l’amore. Ricordare le benedizioni ricevute dà la forza di affrontare le difficoltà nuove; ricordare l’amore risveglia la gioia di amarsi; ricordare il cammino che il Signore ci ha fatto percorrere dà la forza per continuare a camminare.
Dopo questa riflessione, saremo chiamati a rinnovare le promesse e la grazia del nostro battesimo. Invocheremo la potenza vivificatrice dello Spirito sulle acque battesimali: quello Spirito che aleggiava sulle acque della creazione e conferì a profeti e santi la forza di sonare la vita, scenderà sull’acqua del nostro fonte, per rinnovare la grazia del battesimo che ci ha innestati in Cristo e inseriti nella comunità dei Santi o dei Santificati. In questo segmento della veglia si rende visibile la diakonia della compagnia, della comunione. La comunità dei credenti è il lievito della comunione in un mondo individualista, è la profezia dell’unità in una umanità lacerata e divisa. Su questo punto abbiamo meditato sufficientemente nel giorno del giovedì santo, riflettendo sulla Chiesa come koinonia. Qui vorrei solo aggiungere che la Chiesa è quello che Gesù ha voluto, nella misura in cui riesce concretamente a farsi prossima, vicina, compagna di viaggio delle persone. La Chiesa non deve andare avanti, non deve tantomeno andare dietro, deve stare accanto, deve camminare insieme. Una Chiesa che si ponga dinanzi facendosi maestra è odiosa, una Chiesa che si ponga dietro come vigilanza è insopportabile; solo una Chiesa che sa stare accanto è quella compagnia di santificati, quella comunità di fratelli e sorelle in cammino che Gesù aveva voluto e costituito allorquando ha chiamato i suoi discepoli a stare con lui ed a seguirlo per le vie della Palestina.
Infine, spezzeremo il pane e benediremo il calice del vino, condividendolo tra di noi. Come l’apostolo Paolo ci ha insegnato la partecipazione a quel pane e a quel vino è partecipazione al corpo e al sangue di Cristo. Il termine, usato dall’apostolo, per indicare la partecipazione è koinonia. Partecipare, fare koinonia con il corpo-sōma del Signore vuol dire partecipare, fare koinonia sia con il suo corpo in terra – la Chiesa – sia fare koinonia con la persona di Gesù e con il dinamismo della sua vita. Questo dinamismo della vita di Gesù è, poi, anche esplicitato dalla koinonia-partecipazione al suo sangue-àima, che indica proprio il principio vitale. In quell’espressione dell’apostolo, dunque, si dice chiaramente che fare comunione al corpo e sangue di Cristo vuol dire entrare nella relazione che Gesù, con il dinamismo della sua vita, ha avuto con i suoi discepoli. Significa, cioè, entrare nella relazione che Gesù ha avuto con la sua comunità. E questa relazione – lo sappiamo – è una relazione di dono della vita. Nello spezzare il pane e nel bere il calice della benedizione, allora, noi – partecipando alla morte e risurrezione di Gesù – veniamo abilitati alla sua stessa diakonia della vita. Essere diaconi di vita vuol dire essere disposti a dare la propria vita perché i fratelli e le sorelle e, con loro, tutti gli uomini e le donne, abbiano vita e vita piena! Una Chiesa è la Chiesa di Gesù se serve la vita delle persone e non si serve della loro vita. Significa aiutare le persone a risorgere dalla morte in cui si trovano: emarginazione, esclusione, povertà, ingiustizia, sopraffazione, impossibilità di esprimere le proprie potenzialità umane a livello sociale, culturale, politico, religioso… tutte queste sono le forme di morte umana che la Chiesa di Gesù – diacona della vita – deve sconfiggere con la potenza della risurrezione che agisce in lei, in forza della partecipazione al corpo ed al sangue di Gesù. Se dalla vita delle persone si alzerà il canto gioioso della vita, la letizia e l’esultanza pasquali della loro vita, perché è stata riconosciuta da tutti e chiunque la loro inviolabile e santa dignità, allora la Chiesa di Cristo avrà compiuto la diakonia della vita a cui è chiamata dal suo Signore.
Carissimi fratelli e sorelle, in questi giorni, il Signore – pezzo dopo pezzo, tassello dopo tassello – ci ha mostrato il volto divino ed umano, divinizzante ed umanizzante, che egli ha voluto dare alla sua Chiesa. Sta, ora, a noi scegliere se vogliamo stare sulla odòs di Gesù o seguire le nostre strade; se vogliamo costruire la koinonia di Gesù o rimanere nei frammenti spezzati di una umanità litigiosa; se vogliamo offrire la maryria di Cristo ed elevare la sua leitourghia o piuttosto preferiamo accontentarci di rituali, belli esteticamente ma vuoti di senso e di vita; se vogliamo vivere la vita di Gesù o preferiamo arrancare la vita, strappare la vita nostra e schiacciare quella altrui.
Saremo tutti la Chiesa dei risorti nella misura in cui potremo, con Paolo, dire: non sono più io che vivo, ma è Cristo stesso che vive in me.
Gesù risorto ci doni l’audacia della Pasqua, il coraggio della risurrezione, la libertà dei redenti. Amen.
dom Tonino +
Qui sotto il video della preghiera
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