Venerdì 3 1dicembre 2019, il tempo d'Avvento proposto dall'Ordine Monastico Ecumenico Christiana Fraternitas prosegue con la sua V tappa.
Ogni venerdì d'avvento l'Abate dom Antonio Perrella terrà la predicazione sulla preghiera del Padre nostro. Questa settimana è stata trattata la richiesta: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano".
La Celebrazione Ecumenica della Parola è arricchita dal lucernario tratto dalle Constitutiones Apostolorum e dal canto delle Antifone Maggiori (comunemente dette: Antifone "O").
Testo integrale della V meditazione sul Padre nostro del nostro
Rev. mo Padre Abate dom Antonio Perrella
«Dacci oggi il nostro pane quotidiano»
Cari Fratelli e Sorelle,
La frase, la domanda che oggi meditiamo, già si presenta male! Dacci “oggi” il nostro pane “quotidiano”: è una apparentemente inutile ripetizione. Che senso avrebbe chiedere qualcosa per “oggi” e per il “quotidiano”? Non basta semplicemente “per oggi” o semplicemente “quotidiano”? E poi: perche domandare proprio il pane? Nello stesso capitolo in cui Matteo colloca il Padre nostro (Mt 6,9-13), dopo appena 18 versetti, Gesù fa affermazioni del tutto contrarie: «Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (6,31-33). Non sarebbe stato più logico inserire nel Padre nostro la richiesta della fede o della speranza, o della totale fiducia nella paterna provvidenza di Dio? No! Qui si chiede il pane per tutti i giorni.
È evidente che occorre capire di più di questo testo e, come sempre, per farlo, dobbiamo andare al testo greco. L’aggettivo che noi traduciamo con “quotidiano” è tutt’altro che semplice: epioùsion. Un aggettivo che si trova solo in questo testo ed in un papiro antico, che forse potrebbe essere una volgarissima lista della spesa, un elenco di derrate necessarie al quotidiano. Troppo poco per dire con certezza cosa voglia dire. Noi traduciamo con “quotidiano” perché la cristianità dell’Occidente ha usato la traduzione latina antica (Vetus latina) che porta cotidianum, ma si tratta già di una interpretazione più che di una traduzione dal greco al latino.
Le interpretazioni sono molteplici ed in fondo tutte dicono una verità, forse parziale, ma comunque verità.
Prima interpretazione. Anzitutto abbiamo l’interpretazione diffusa, derivante dalla traduzione latina: si sta chiedendo il necessario per la vita di tutti i giorni. Non sembra molto spirituale, eppure è molto concreto ed è corrispondente alla spiritualità del popolo ebraico, che era il contesto culturale in cui Gesù era maturato ed in cui si muoveva. Nel libro dei Proverbi troviamo un condensato di spiritualità profondissima e pratica al tempo stesso: «Io ti domando due cose, non negarmele prima che io muoia: tieni lontane da me la falsità e la menzogna, non darmi né povertà né ricchezza; ma fammi avere il cibo necessario, perché, una volta sazio, io non ti rinneghi e dica: “Chi è il Signore? Basto io per me”; oppure, ridotto all’indigenza, non rubi e profani il nome del mio Dio» (Pro 30,7-9). Se questo è il significato proprio dell’espressione, allora ci troviamo non dinanzi ad una richiesta spicciola e di poco conto, ma ad una richiesta di grande portata sapienziale ed oggi persino profetica. Stiamo chiedendo a Dio di preservarci sia dalla povertà, che potrebbe portarci alla rabbia nella vita ed al rischio di diventare ladri, ma di preservarci anche dalla ricchezza, che potrebbe diventare una schiavitù. Capiamo bene come, in questo mondo dell’opulenza e dell’accumulo, questa umile richiesta di ciò che è necessario e di niente di più porta con sé un coraggio eroico e profetico.
Seconda interpretazione. Un’altra interpretazione è quella riportata da Girolamo nella Vulgata che traduce l’aggettivo greco con sovrasostanziale, cui si accosta una versione siriaca che traduce con perpetuo. Quale sarebbe il pane che sta sopra ogni sostanza, ovvero quello veramente necessario e che al tempo stesso dura per l’eternità? La risposta nuovamente ce la dà Gesù: «Rispose loro Gesù: “In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. Allora gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”. Gesù rispose: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete”» (Gv 6,32-35). Il pane sovrasostanziale, eterno, quello che sfama i bisogni più intimi dell’uomo è, quindi, lo stesso Signore Gesù. Solo Lui e la sua Parola saziano la fame di vita che ognuno si porta dentro: «Quando le tue parole mi vennero incontro,le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore» (Ger 15,16). È interessante, però, in questo ambito, spingere la nostra riflessione un po’ più a fondo, provando ad entrare – per quanto possibile – nella psicologia di Gesù. Perché ha parlato di un pane che sfama più che del cibo? Probabilmente perché lui stesso aveva fatto questa esperienza e l’aveva trovata liberante per sé. Nel deserto, quando volontariamente aveva rinunciato al cibo per trovare le dimensioni essenziali della sua vita, era stato tentato di esercitare il suo potere e sottomettere la natura alla soddisfazione dei suoi bisogni: «Di’ che questi sassi diventino pane. Ma egli rispose: Sta scritto: non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,3-4). Gesù, del resto, stava insegnando non un testo di preghiera ma uno stile di dialogo con Dio e, quindi, di vita. Riconoscere che l’uomo si porta dentro una fame superiore e più profonda di quella dello stomaco, e riconoscere che esiste un cibo superiore e più grande di quello che sazia il ventre, non voleva solo dire riconoscere la superiorità di Dio, ma anche – e forse di più – educare l’uomo a porsi dei limiti: non tutto egli può sottomettere alla soddisfazione dei propri piaceri, interessi e bisogni. Esiste una fame benefica che dimostra all’uomo il di più che c’è in lui ed in tutto ciò che lo circonda.
Terza interpretazione. Infine, esistono due versioni interessanti, che in modo diverso potrebbero dire la stessa cosa: una versione sahidica (dialetto copto) che traduce con che viene, ed una propriamente copta che traduce di domani. Per comprendere cosa possa essere il pane che viene o il pane di domani dobbiamo rifarci al racconto dell’Esodo nel cap. 16. Il popolo è uscito dall’Egitto e si è incamminato nel deserto verso la terra promessa. In Egitto ha mangiato carne di agnello e pane azzimo. Rimangerà il pane solo quando sarà giunto nella terra promessa. In mezzo al pane di Egitto e al pane della terra promessa, c’è il deserto con la manna. Circa l’uso della manna Dio dà ordini ben precisi: «Ecco sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina secondo la mia legge o no. Ma il sesto giorno, quando prepareranno quello che dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò che raccoglieranno ogni altro giorno» (Es 16,4-5). Ogni giorno ciascun israelita doveva raccogliere una misura ben precisa, secondo le necessità, e quest’ordine aveva un motivo esplicito: perché non capitasse che uno ne avesse troppo ed un altro non ne avesse a sufficienza. Il “pane di domani” è il pane del sabato, quando non si poteva uscire a raccogliere e cucinare nulla, perché era giorno di riposo. È davvero forte il fatto che il testo di Esodo leghi il pane del giorno sacro al dovere di giustizia e di equità di non raccogliere pane in eccesso. Nessun giorno può essere santo agli occhi di Dio se in esso si pratica l’ingiustizia verso il fratello.
Lo avrebbe detto ripetutamente e con grande forza Dio attraverso i profeti. Per comprendere leggiamo due passi di Isaia che critica il culto ed il digiuno praticati nell’ingiustizia: «Questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me ed il culto che mi rende è un imparaticcio di precetti umani. Guai a quanti vogliono sottrarsi alla vista del Signore per dissimulare i loro piani, a coloro che agiscono nelle tenebre, dicendo: “Chi ci vede? Chi ci conosce?”. Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo di Israele.Perché il tiranno non sarà più, sparirà il beffardo, saranno eliminati quanti tramano iniquità, quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice e rovinano il giusto per un nulla» (Is 29,13.15.19-21).
Ed ancora: «Ecco, nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri operai. Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!” (Is 58,3-9).
Il pane che viene, il pane di domani, è il pane del banchetto escatologico, il pane della piena comunione tra Dio e l’uomo, ma anche dell’uomo con suo fratello. Tuttavia, questa interpretazione ci insegna che nessun pane di domani potrà essere spezzato nel banchetto del Regno, se prima non abbiamo imparato a spezzare e condividere il pane di oggi, il pane della terra.
Conclusione. Quale delle tre traduzioni o interpretazioni è corretta? Quale delle tre riporta meglio le intenzioni di Gesù? Non possiamo dirlo. Sono tutte e tre plausibili. Questo ci dimostra, ancora una volta, che il testo biblico non è univoco e che nessuna interpretazione, culturalmente condizionata, può presumere di esaurirne la ricchezza. È lo Spirito che dà vita, perché arricchisce di significati sempre nuovi a seconda delle situazioni concrete della vita di ciascuno di noi. Il pane quotidiano è quello della essenzialità, il pane sovrasostanziale è quello che ci fa riconoscere che c’è un di più in noi, il pane di domani ci ricorda che nessun Regno verrà fino a quando non avremo scelto decisamente di essere operatori di giustizia. Ed allora, perché scegliere? Perché dover prendere un significato a discapito degli altri, quando in realtà abbiamo bisogno di tutti e tre?Amen.
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