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Triduo per V Anniversario di Fondazione della Christiana Fraternitas

"La Parola ascoltata, scrutata, ruminata, pregata, condivisa e testimoniata: questa la forma concreta della nostra vita monastica. Il cuore pulsante ed il centro irradiante della nostra identità spirituale è la Parola del Signore e solo da essa discendono le singole scelte operative e pratiche da noi compiute". Queste alcune parole tratte dell'omelia pronunciata dal Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella il 23 gennaio 2022 nella Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per il V anniversario di Fondazione della Christiana Fraternitas.



Quest'anno il Triduo per la Celebrazione del V Anniversario di Fondazione si è svolto fuori dalla consuetudine. La Comunità accettando l'invito di due Chiese si è trovata in missione.

Il triduo si è aperto venerdì 21, quando la Famiglia Monastica si è impegnata nei lavori preparatori per portare la propria testimonianza di vita monastica ecumenica in due Comunità cristiane in occasione della Settimana di preghiera per l'unità dei Cristiani. Per la circostanza si è deciso di portare alle Chiese ospitanti il Crocifisso della Christiana Fraternitas in scegno di amicizia e condivisione infatti solo riconoscendoci tutti fratelli in Cristo potremmo andare al Padre e accoglierci tra noi con rispetto e cura reciproca.


Savato 22, dopo i primi vespri della domenica, il Capitolo ha pregato secondo lo schema fornito dal Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani insieme alla prima Comunità ospitante e al proprio Pastore. L'Abate Antonio, per la circostanza è stato chiamato alla predicazione.



Alcune parole tratte dalla predicazione

del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella

circa l'ecumenismo


Testo di riferimento Mt 2


"In questa Preghiera per l’unità dei cristiani, il brano della stella e dei magi e soprattutto l’incontro di questi con Gesù e sua madre nella casa ha molto da dirci. La casa comune a tutti noi è la fede in Gesù ed il battesimo nel suo nome. Attraverso questi due doni della sua grazia ineffabile, lui sta con noi e noi stiamo con lui, ma stiamo anche tra di noi insieme a lui. Per essere uniti non c’è alcun bisogno di cambiare “casacca”, bandiera, né tantomeno di cambiare casa. Spesso parliamo dell’unità come qualcosa da costruire, perché abbiamo ancora l’idea malsana che l’unità dei cristiani debba essere la comune appartenenza ad un’unica struttura ecclesiale o, peggio, ecclesiastica. Ed invece eccola l’unità dei cristiani, è proprio quella di questa sera, di questo nostro stare qui adesso. C’è una casa, c’è Gesù, c’è sua madre, ci sono dei fratelli e delle sorelle che stanno pregando insieme. Non abbiamo bisogno di molto altro: una unità – certo incipiente e non del tutto completa, ma pur sempre unità – c’è già. L’unità non va costruita, va semplicemente alimentata nella ferialità della vita. Bisogna passare dalle occasioni, dagli episodi ed eventi di unità ai processi quotidiani di unità. Come sarebbe bello se avessimo il coraggio, per esempio, una volta al mese di scambiarci visite nelle nostre “case” – i nostri luoghi di culto – per vivere momenti di preghiera uniti. Come sarebbe bello se nei tempi forti delle nostre vite comunitarie ci invitassimo reciprocamente per impegni di predicazione. Questo ci aiuterebbe a mettere a disposizione sempre i carismi ed i doni di grazia che il Signore elargisce a ciascuno di noi ed alle nostre Comunità".




Qui sotto il video integrale

della Celebrazione Capitolare Ecumenica

della Parola

con la Commemorazione della Cena del Signore

23 gennaio 2022

in occasione del V Anniversario di Fondazione.



Omelia del Reverendissimo Abate

dom Antonio Perrella

per il V Anniversario di Fondazione



Carissimi fratelli e sorelle, cari amici ed amiche!

Questo giorno è consacrato al vostro Dio! Con queste parole Neemia ed Esdra invitano il popolo di Israele a gioire e, con queste stesse parole, anche noi ci sentiamo invitati ad una gioia piena e traboccante nell’esperienza delle meraviglie che il Signore ha compiuto e continua a compiere nella nostra vita personale e comunitaria.

Sembra quasi che la Provvidenza paterna di Dio ci abbia voluto dare un segno della sua delicatezza verso di noi, attraverso le letture della liturgia odierna. Esse, infatti, in un modo o nell’altro hanno segnato tappe del nostro cammino o comunque sottolineano aspetti determinanti ed essenziali della nostra specifica spiritualità, in questo cammino di ricerca di Dio e di ricerca dell’unità in Dio.

Nella prima lettura abbiamo riascoltato il racconto della giornata di giubilo vissuta da Israele per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme. Dopo circa un secolo e mezzo di deportazione e dopo la distruzione del tempio di Gerusalemme, Neemia ottiene il permesso di tornare a Gerusalemme per organizzare il rientro degli israeliti dalla diaspora e riedificare la città e le sue mura, necessarie alla protezione sia dei superstiti (che erano sempre rimasti nel circondario cittadino, in estrema povertà ed esposti ad ogni pericolo) sia di coloro che facevano ritorno alla propria terra. In poco meno di due mesi le mura sono ricostruite ed il popolo intero si raduna per festeggiare alla Porta delle Acque. Il popolo attraverso quelle mura rialzate sente di essere sulla strada per ricostruire la propria identità. È per questo motivo che Esdra, il sacerdote, porta la Torah, di cui lui stesso aveva curato una nuova redazione, giacché anche i rotoli della Legge erano andati perduti nella distruzione del tempio. È nella legge del Signore che Israele trova la sua identità, prima ancora che nelle mura. Solo così si può comprendere l’annotazione, presente nel testo, che tutto il popolo piangeva nell’ascoltare le parole della Legge. Privati della loro città, privati della loro libertà, erano stati privati anche dell’unica cosa in grado di farli sentire se stessi in ogni luogo: la Parola di Jahvè.

L’identità di Israele – al di là delle contingenti condizioni storiche – è garantita dalla possibilità di ascoltare la parola del Signore, per continuare ad essere, sempre e comunque, il popolo di Dio, il popolo che Dio si è scelto e si è costituito. Così ugualmente per noi, al di là delle condizioni in cui viviamo, al di là dei luoghi e delle strutture, ciò che ci rende discepoli e discepole di Gesù è la sua Parola. Questa Parola abbiamo sempre messo al centro della nostra vita personale e comunitaria. Solo la Parola abbiamo avuto come criterio ultimo di discernimento e come costante nutrimento della nostra ricerca spirituale.

La centralità della Parola di Dio, nell’ordinamento della nostra vita monastica ecumenica, è determinante. Essa è non solo la via unica per conoscere Dio, nella verità di se stesso, ovvero nella verità di ciò che lui ci ha rivelato di sé, ma è anche il campo unico della ricerca dell’unità tra tutti i discepoli e le discepole del Signore. Essa è e rimane il patrimonio comune e condiviso, a cui tutti dobbiamo attingere per continuare ad essere il popolo che Dio ha riscattato per sé a caro prezzo.

La Parola ascoltata, scrutata, ruminata, pregata, condivisa e testimoniata: questa la forma concreta della nostra vita monastica. Il cuore pulsante ed il centro irradiante della nostra identità spirituale è la Parola del Signore e solo da essa discendono le singole scelte operative e pratiche da noi compiute. Non ci lasciamo guidare dall’opportunità o meno, dal calcolo, dall’utile o dal meno utile. Abbiamo imparato ad essere schiavi solo della Parola e per questo siamo liberi da tutto e da tutti!


La seconda lettura – tratta dalla prima lettera di Paolo ai corinti – ci ha fatto balzare il cuore, nella dolcezza della memoria. È la stessa seconda lettura che fu proclamata in occasione della mia consacrazione abbaziale e della rinnovazione dei voti dei monaci e delle monache della comunità dei discepoli. Quella sera – l’11 ottobre 2018 – segnò come un punto di svolta nella nostra vita comunitaria: passammo dall’essere un gruppo di fratelli e sorelle, liberamente associati, ad essere costituiti Comunità monastica ecumenica. Questa nuova forma di vita non modificava affatto il carisma che avevamo già riconosciuto come dono del Signore, ma intensificava il rapporto fraterno tra di noi. Inoltre, l’identità monastica consacrava un principio che sin dall’inizio ci aveva ispirato: la assoluta uguaglianza dei fratelli e delle sorelle, indipendentemente dallo loro status confessionale, dallo status ministeriale nella propria chiesa o dallo status esistenziale. Così è nella Regola del nostro padre Benedetto, così è tra di noi. Non esiste alcuna differenza e alcuna gerarchia, ma soltanto fratelli e sorelle, radunati attorno a Cristo, unico e vero Pastore della sua Chiesa.

L’ispirazione monastica coincise anche con una intelligente proposta culturale. Sappiamo che, quando Benedetto diede vita al suo carisma, non inventò l’esperienza monastica, ma la rielaborò rendendola culturalmente e socialmente vivibile nelle condizioni del suo tempo. La forma cenobitica o comunitaria del monachesimo fu una sapiente opera di inculturazione del monachesimo solitario ed eremitico. Da quel momento in poi la ricchezza spirituale dei singoli diveniva patrimonio dei fratelli e della comunità tutta, arricchendosi reciprocamente. Il Signore ci ispirò di portare questa forma e questo schema anche nel rapporto tra le confessioni cristiane, nella persona dei membri che si sarebbero aggiunti a noi: come nella riforma benedettina del monachesimo le specificità dei singoli diventano patrimonio condiviso da tutti, così nella nostra attuazione le specificità e le ricchezze delle singole confessioni cristiane diventano patrimonio per tutte le altre. È quello che abbiamo chiamato ecumenismo dal basso, ecumenismo di fatto. Non c’è bisogno di dialoghi teologici previi, per iniziare a vivere e a camminare insieme. Abbiamo dato vita ad una comunità, in cui tutti – indipendentemente dalle specificità – pregano, riflettono, vivono ed operano, condividono insieme senza rinunciare alla propria identità personale, sociale, confessionale. I nostri cinque anni possono testimoniare che non abbiamo mai messo in essere forme di proselitismo. Siamo rimasti un cammino di specifica spiritualità e non altro. Mai è accaduto, e di questo ne sono personalmente garante per ministero, che qualcuno sia passato da una confessione ad un’altra a motivo della Christiana Fraternitas. Dio – piuttosto - ci ha custodito nell’arduo impegno amoroso di trovare, nel nostro piccolo, vie di armonizzazione per suonare la sinfonia della pluralità nell’unità. Ed è da questo “bonus previo di fraternità” che assume una connotazione differente anche il dialogo sulle diversità, che così perdono il loro colore di separazione e di possibile pericolo ed assumono già all’inizio quello diverso della ricchezza, della opportunità data a tutti. Siamo diversi, gioiosamente diversi, felicemente diversi, e per questo siamo capaci, con la Grazia di Dio, di accogliere chiunque, abbattendo ogni muro e steccato. Da noi nulla può dividere dalla Comunità, eccezion fatta per l’arroganza di ritenersi gli unici o i migliori. Ma questo è un “virus” contro il quale – per la stessa forma che ci è stata ispirata e che abbiamo scelto di dare alle nostre Costituzioni – abbiamo già il “vaccino” definitivo a disposizione: nessuna forma concreta di attuazione della fede cristiana, da noi, può considerarsi la migliore, l’unica e la definitiva. La complementarietà tra di noi e tra le nostre esperienze ecclesiali è elemento costitutivo del nostro carisma e della attuazione concreta dello stesso. Dinanzi alla Chiesa – intesa come il Corpo di Cristo, nella sua accezione più ampia, paolina direi – né una persona né una istituzione ecclesiastica può ritenersi esaustiva. Solo l’organica composizione del corpo, nelle sue variegate membra, ci fa sperimentare la pienezza di Cristo e della fede in Lui, che supera e trascende ogni sua storica concretizzazione. È questa che noi chiamiamo convintamente l’armonia delle differenze, la sinfonia delle diversità, la comunione delle specificità.


Non senza sorpresa, grata al Signore, abbiamo poi ascoltato l’Evangelo che, in qualche modo, ci ha fatto trasalire il cuore. La nostra memoria è corsa a quel 23 gennaio 2017, quando la nostra avventura prese forma pubblica come Associazione che si presentava alle Comunità cristiane e alla società civile. Il racconto fatto da Luca della prima predica di Gesù, laico, nella sinagoga di Cafarnao, risuonò proprio quella sera! Per dirla scherzosamente con una nota canzone, avevamo cominciato come “quattro amici al bar”. Ci sentivamo interiormente mossi da un comune desiderio: fare di Gesù, concretamente, esistenzialmente, il centro della nostra vita. Riconoscerlo come l’unico capace di dissetare la nostra sete di gioia e di sfamare la fame di senso della nostra vita. E, mentre sentivamo il bisogno di mettere Lui al centro di tutto, contemporaneamente un’altra inquietudine assaliva il nostro cuore e le nostre menti: come si può fare di Gesù il centro della propria vita, senza sentire nel cuore un fuoco divorante per l’unità dei suoi discepoli e delle sue discepole?

Sì, perché qui si manifesta il legame tra l’esperienza monastica e quella ecumenica, che sono intrinsecamente connesse. Una relazione vera con Gesù, una relazione che fa di lui il senso della propria vita, smuove necessariamente il cuore al bisogno di condividerlo con i fratelli e le sorelle, tutti i fratelli e le sorelle. Una relazione con Gesù, che pretenda di essere solitaria e di bastare a se stessa, è intrinsecamente malata, perché è la negazione della comunione, che Gesù stesso è venuto a manifestare e donare: comunione con Dio Trinità e comunione tra quanti credono in Lui. Chi dice: «Gesù è il mio Signore!», non può non sentire il bisogno di unirsi realmente a quanti pronunciano la stessa professione di fede.

Ed è anche vero che chi dice: «Gesù è il mio Signore!», non può non sentire nascere dentro di sé la sua stessa passione per l’uomo, per ogni uomo e ogni donna. Sapere? Esiste una mistica propria della professione di fede: mentre ti fa uscire da te, per professare l’unicità salvifica di Cristo, nel cammino di questa uscita da te, ti fa incontrare quanti condividono la stessa fede, ma anche quanti ancora non l’hanno trovata ed hanno bisogno che qualcuno sveli loro la forza liberatrice dell’Evangelo!

Quella sera del 2017 iniziò la nostra – lasciatemelo dire – coraggiosa promulgazione dell’anno di grazia del Signore; un anno che non si è concluso e che durerà tutta la nostra vita. In questo tempo di grazia, che è il tempo in cui Gesù ci concede di vivere, camminare e testimoniare insieme, noi ci stiamo impegnando senza sosta perché ogni prigioniero, di qualsiasi prigionia soffra, sia liberato. È per questo motivo che annunciamo la dignità ed uguaglianza di ogni persona ed il suo pieno diritto di cittadinanza nell’unica Chiesa di Cristo, indipendentemente dal suo status confessionale, dal suo genere ed orientamento sessuale, dal colore della sua pelle, dalla sua cultura o etnia di provenienza, dalle scelte fatte e persino dagli errori compiuti nella propria vita. Sul volto di ogni uomo e di ogni donna – noi professiamo – si manifesta, splendente, il volto di Gesù, il Cristo!

Carissimi, quanti ci seguono con assiduità sanno che ci diamo dei percorsi di approfondimento tematico della Parola di Dio e che, da questi percorsi, nascono poi delle pubblicazioni. Anche in questa fatica esegetica e teologica, noi cerchiamo di attuare la liberazione dei prigionieri: riandando alle radici bibliche della fede cristiane, attingendo alla sapienza e alla luce della Scrittura, noi realizziamo l’impegno di liberare la Scrittura stessa – imprigionata talvolta da condizionamenti storici e culturali – e liberiamo la fede – incatenata talvolta da tradizioni che vorrebbero assurgere alla stessa dignità rivelativa della Scrittura stessa.

Sì! Sembra ardito, ma è così: solo quando la Scrittura e la fede saranno liberate dalle catene delle pretese ermeneutiche assolutistiche, dalle superfetazioni soffocanti della storia e dei condizionamenti, delle separazioni e delle prese di distanza, solo allora la bellezza dell’Evangelo cristiano rifulgerà in tutto il suo splendore e tutti noi, che ci diciamo discepoli di Cristo godremo della credibilità Sua e non più quella paventata dalle forze istituzionali, politiche e mondane… Solo una Fede capace di alimentarsi e crescere nell’ascolto intelligente ed orante della Scritturapuò aprire la vita alla Grazia.

Per questo non lesiniamo fatica nello studio, nella ricerca, nel porci domande. Quanto piacerebbe anche a noi riposare su “granitiche certezze”, quanto sottile è la tentazione di ricacciare la domanda ed il dubbio, per navigare sulle acque chete della “verità” data e mai messa in discussione. Ma, poi, cosa ci resterebbe? Solo noi stessi e le nostre povere convinzioni... Per questo accogliamo con gioia il rischio, l’avventura e la fatica della domanda, talvolta persino bruciante e soffocante, destabilizzante, perché abbiamo bisogno di tornare alle origini, di riandare alle radici, di scavare sotto strati e strati di terreno accumulato dalla storia divisa dell’uomo, per far sgorgare di nuovo – gioiosa e zampillante, dissetante e donatrice di vita piena – la fonte genuina della Parola di Dio: l’incontro con Gesù suo Figlio.


Ecco, sorelle e fratelli amati, amici ed amiche che il Signore ci ha donato come compagni di viaggio. Le letture odierne ci hanno fatto rileggere tutto il cammino che abbiamo compiuto in questi cinque anni e ci hanno mostrato le linee direttrici sulle quali ancora dobbiamo camminare. Anche noi, quest’oggi, sentiamo come rivolte proprio a noi le parole del capitolo ottavo del Deuteronomio:

«Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere. Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi [..] anni. Osserva i comandi del Signore tuo Dio camminando nelle sue vie e temendolo. Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio; il tuo cuore non si inorgoglisca» (Dt 8,2.4.6.11a.14a) perché è Lui – il Signore tuo Dio – e solo Lui che ti ha condotto sino a qui. Amen.

dom Tonino +



La sera del 23 gennaio. Qui sotto alcune foto della seconda Chiesa ospitante per la preghiera ecumenica per l'unità dei cristiani. Il Pastore del luogo ha desiderato che fosse l'Abate Antonio a presiedere il momento di preghiera anch'esso svolto in conformità del direttorio e predicare.

Alcune parole tratte dalla predicazione

del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella

circa l'ecumenismo


Testo di riferimento Mt 2


"L’unità è una casa da abitare, uno stare con da vivere nella ferialità dell’ordinario cammino di fede di tutti noi, come singoli e come Comunità. Questa scelta coraggiosa, però, potrà farsi se sceglieremo l’unità come la nostra casa e come il luogo in cui costruiamo legami autentici e duraturi. [...] In questo Evangelo che provvidenzialmente ci viene dato come tema su cui riflettere in ambito ecumenico ci viene sottolineato che per trovare Dio, bisogna che comprendiamo che al di là della nostra provenienza confessionale siamo tutti sotto lo stesso tetto, la casa di Betlemme. Solo vivendoci ecumenicamente nella quotidianità e non nell’occasionalità, senza aspettare che qualcuno ci indichi di farlo, quella casa sarà veramente Chiesa dove, come i magi, tutti sappiamo metterci in ginocchio e adorare Dio in spirito e verità (Gv 4, 23)".



Molto bello è stato il pensiero rivolto alla Christiana Fraternitas da parte del Pastore e della Comunità, unitamente alla giunta Comunale, i quali hanno ci hanno fatto dono di una scultura in bronzo emblema della città e della parrocchia ospitante.


Pax

Ut unum sint

Yorumlar


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