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"Rivestirsi tutti di Cristo e placare così ogni polemica" è l'invito dell'Abate dom Antonio Perrella

Anche l'Abate ha deciso di pubblicare il suo parere circa l'uso fatto dell'immagine di Gesù nelle manifestazioni per i diritti lgbtq+ e quelle sportive a seguito di numerose richieste pervenute presso la segreteria.


L'intervento dell'Abate dom Antonio Perrella


In questi giorni impazzano le polemiche… a dire il vero, è un po’ troppo tempo che non si fa altro che fare polemiche…


Meno si pensa, più si polemizza! È proprio così: quando si rinuncia al pensare, al riflettere, all’analizzare le situazioni da tutti i punti di vista, si finisce sempre con il contrapporsi. I sociologi dicono che ci troviamo nel tempo del “pensiero semplice”, rispetto al tempo passato che era quello del “pensiero complesso”. Qual è la differenza tra i due? Il pensiero complesso analizza tutte le sfaccettature, cerca il vero presente nelle differenti e contrapposte posizioni, si sforza di interagire con il reale per formare una valutazione in alleanza con la realtà. Il pensiero, cosiddetto, semplice (che – a dire il vero – dovremmo piuttosto definire “povero”, se non addirittura squallido) è quello, tipicamente contemporaneo, che dinanzi a realtà complesse, vorrebbe definire il tutto con una battuta, con un tweet, con la velocità di uno spot. Il pensiero semplice non cerca alleanze con la realtà, non si preoccupa della verità presente nelle diverse posizioni, pretende di definire e dominare il reale con una frase soltanto.

Ora, se io dovessi affrontare la questione, di cui voglio parlarvi, con criteri del pensiero semplice, avrei già dovuto terminare dopo il primo rigo, al massimo il secondo. Tutti noi comprendiamo che questo è non solo impossibile, ma persino nocivo, tossico per il sapere umano e per il retto convivere, che da quel sapere prende forma.


Ed arriviamo al nostro punto!

Si è fatta un’accesa polemica per un partecipante al Gay Pride che si è travestito da Gesù Cristo. Apriti cielo!!! Bestemmia, offesa alla sensibilità dei cristiani, e sentenze tranchant senza fine.

Poi abbiamo guardato – col cuore in gola – la finale degli europei di calcio, abbiamo esultato per la Nazionale, tornata in campo grintosa nel secondo tempo, e non abbiamo capito più niente quando, ai rigori, una squadra – sulla quale non tutti avrebbero scommesso – invece ci ha fatto battere il cuore. Però, però, però… anche qui c’è un però… Negli spalti dello stadio c’era un giovanotto italiano, con una corona di spine ed i capelli lunghi, immediatamente riconducibile alla immagine di Gesù a cui ci hanno abituato sia l’indimenticabile regista Zeffirelli sia l’iconografia italiana del Santo Volto. Qui, però, nessuno ha battuto ciglio… è vero che la fede calcistica degli italiani è forte quanto se non di più di quella religiosa… però – ragazzi – se vogliamo essere seri, se non va bene il primo travestimento non va bene neppure l’altro!

Forse, tuttavia, è arrivato il momento di uscire dall’imbecillità stomachevole del pensiero semplice e tornare alla maturità del pensiero complesso. Altrimenti, per favore, stiamoci tutti zitti, che è meglio.

Provo ad articolare il mio pensiero:


1) Premetto che è mio convinto parere che i simboli religiosi debbano essere tenuti fuori dai “dibattiti” sociali, politici ed anche sportivi. E non perché Dio si offenda se lo tiriamo in ballo! Quelli che parlano di blasfemia, di offesa a Dio, fanno davvero ridere. Volete davvero che Dio si offenda se qualcuno usa in modo improprio la sua immagine? Lo fate così piccolo e meschino? I simboli religiosi vanno sempre salvaguardati, perché si corre il rischio di offendere la fede e la sensibilità religiosa dell’altro, non di Dio, che ha cose ben più importanti a cui pensare.


2) Proviamo a domandarci: cosa volevano dire quei due ragazzi, pur con una scelta discutibile? Partiamo dal tifoso azzurro: a modo suo, ha detto: «Gesù, aiuta la mia Nazionale. Abbiamo bisogno di sentirci Italia, abbiamo bisogno di qualcosa che ci unisca, visto che nulla sembra più riuscirci». Lo ha detto malissimo – sia chiaro – ma non vedo altro significato in quel gesto.

Passiamo, ora, al partecipante al Gay Pride. È noto a tutti che recentemente la Chiesa di Roma ha prodotto pubblicamente ed istituzionalmente ben due interventi – dai più alti livelli gerarchici – che hanno un risvolto decisivo (e potenzialmente deflagrante) sulla vita delle persone e della Comunità LGBTQ. Si tratta del responsum, con cui la Congregazione per la Dottrina della Fede, ha dichiarato illegittima la benedizione delle coppie omosessuali e la nota verbale, con cui il ministro degli esteri vaticano, ha chiesto al governo italiano la modifica del DDL Zan. Questo ragazzo, quindi, vestendosi da Gesù, potrebbe non aver voluto offendere in alcun modo la fede dei cristiani, ma avere invece tutt’altra intenzione. Va detto che anch’egli parte da un errore di fondo: la identificazione del cristianesimo con la Chiesa cattolica romana. Non è così! Il rifiuto del riconoscimento della naturalità degli orientamenti sessuali e la preclusione della benedizione e della legittimazione delle coppie di persone dello stesso sesso è un problema della Chiesa romana (e di altre Chiese) ma non di tutte le Chiese cristiane. Al netto di questa considerazione, comunque, cosa possiamo dire del messaggio che quel giovane ha voluto inviare? Ritengo che egli abbia voluto dire: «anch’io porto in me l’immagine di Gesù. Lui mi accoglie; voi, che pretendete di parlare a suo nome, invece, mi rifiutate».


3) Ambedue i giovani – saliti alla ribalta delle cronache – avrebbero potuto evitare, ambedue avrebbero potuto scegliere altri modi per esprimere il proprio pensiero. Tuttavia, in tutti e due (oltre a quanto di non condivisibile) c’è qualcosa di buono: uno affida a Gesù qualcosa che gli sta a cuore, l’altro presenta una critica sociale, culturale, etica, politica e religiosa di assoluta serietà.

Per capire tutto ciò, però, bisogna uscire dai pantani melmosi del pensiero semplice ed avere il coraggio di rifare la fatica del pensiero complesso.


4) San Paolo dice: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo» (Rm 13,14) ed articola cosa ciò significhi: «rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità… Sopra tutte queste cose, rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto» (Col 3,12.14). Mi verrebbe, allora, da dire: vestiamoci tutti da Gesù Cristo!

Vestiamoci da Lui nei rapporti con gli altri; vestiamoci da Lui, quando andiamo allo stadio, per rispettare il concorrente; rivestiamoci di Lui in famiglia, per amare le persone che ci sono affidate; rivestiamoci di Lui a lavoro, per onorare la fatica altrui; rivestiamoci di Lui nella politica, per difendere i diritti di tutti, soprattutto dei più deboli; rivestiamoci di Lui dinanzi alle persone, alla loro identità, alle loro storie di amore, per imparare a riscoprire che solo dove c’è l’amore, lì abita Dio.

E smettiamola con le polemiche inutili e sterili, che avvelenano soltanto la convivenza civile. Riappacifichiamo i rapporti e, forse, le persone non si sentiranno costrette a manifestare in modo eclatante.


E, soprattutto, ritorniamo a pensare, a riflettere, a meditare, così da evitare infeconde polemiche, perché la contrapposizione cresce, quando si pensa poco.


Dom Tonino+

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