Sabato 30 maggio 2020, presso Abbey House, si è celebrata la Veglia di Pentecoste. Riportiamo il testo integrale dell'omelia tenuta dal Rev. mo Padre Abate dom Antonio Perrella.
I testi di riferimento sono stati: Ez 37; At 1; Gv 20
Care Sorelle e Fratelli, Amici e Amiche tutte,
Mandi il tuo Spirito, Signore, sono creati, e rinnovi la faccia della terra (Sal 104,30).
Le famose parole di questo salmo ci ricordano una certezza di fede sempre presente nel popolo d’Israele e continuamente testimoniata nella Scrittura: è Dio che dà la vita, che la sorregge e la rinnova. Il soffio vitale di Dio – ruah – è da sempre presente nell’economia della salvezza, sin dalla creazione – atto di amore misterioso ed ineffabile di Dio che si “sporge” fuori di sé – allorquando aleggiava sulle acque (cf Gen 1,2). Ruah è donato ad Adamo (cf Gen 2,7) ed egli in tanto vive in quanto è Dio che continua ad alitare in lui il suo soffio vitale. Se Dio smette di soffiare, l’uomo muore (cf Sal 104,27-29); se Dio continua ad alitare sulla sua creatura, allora essa è costantemente vivificata dal suo Creatore.
Così la vita in ogni suo singolo istante è un atto creativo di Dio, è un segno della sua premurosa volontà di dare vita e trasmettere vita.
Questa certezza di fede, però, si accompagna ad un’altra: il soffio vitale di Dio, il suo ruah, il suo Spirito, non si limita a trasmettere vita, ma la rinnova in ogni momento. Quasi che la vita data dallo Spirito sia sempre un fatto nuovo, sia un dono nuovo.
Nella Scrittura lo Spirito è sempre legato alla vita e alla novità: possiamo dire che la novità di vita è il segno della presenza dello Spirito, mentre ciò che non si lascia rinnovare è semplicemente morto.
È alla luce di questa fede di Israele che possiamo comprendere il meraviglioso brano di Ezechiele 37 che abbiamo ascoltato questa sera. Il popolo di Dio aveva tradito l’alleanza, aveva perso il suo legame vitale con Dio ed era stato deportato. Ormai assomigliava ad un cumulo di ossa inaridite: aveva perso la terra e la propria identità, aveva smarrito l’amore per Dio e la fedeltà alla sua alleanza. Eppure Dio irrompe nuovamente, attraverso la voce del profeta, nella storia del suo popolo e ricrea ogni cosa, fa nuova ogni cosa: lì dove l’uomo semina la morte, Dio è capace di far rinascere la vita!
Il brano di Ezechiele in appena 14 versetti ripete per ben 10 volte la parola ruah indicando soffio, vento o alito. Tutta l’azione è concentrata in un drammatico contrasto tra la valle ristagnante di morte ed i monti innalzati da cui scende il vento; tra l’aria asfittica dell’affossamento ed il turbinio delle vette; tra il silenzio funerario e la voce risuonante del profeta. Per quanto tragica potesse apparire agli occhi dell’uomo di Dio lo scenario che aveva davanti a sé, la visione che veniva da Dio era, tuttavia, capace di ridonare speranza; per quanto definitivo fosse lo stato di morte di quegli uomini (un cumulo di ossa, ovvero a decomposizione completata), Dio era capace di rinnovare la vita.
Così noi abbiamo ascoltato questo brano a conclusione del primo momento della nostra veglia, che abbiamo iniziato con la confessione di peccato. Dobbiamo, però, comprendere bene per cosa abbiamo chiesto perdono: anzitutto per la dimenticanza – sì, uno dei peccati più gravi per la Scrittura! – la dimenticanza di chi siamo veramente, l’uomo e la donna di oggi vivono una profonda crisi, hanno dimenticato chi sono, sopravvivono in una vera crisi antropologica; poi abbiamo chiesto perdono per aver assecondato, anche nelle nostre comunità cristiane, la logica del mondo che crea ingiustizie, preclusioni ed esclusioni; ed ancora per aver costruito muri e barriere; ed infine per aver ferito anziché lenito le ferite e guarito, maledetto anziché benedetto.
In una parola: il peccato – l’unico vero peccato – è quello di farci operatori di morte. Abbiamo ascoltato la profezia di Ezechiele per ricordare anzitutto a noi e poi alle tante vittime di morte esistenziale, sociale e religiosa che la forza di vita di Dio è sempre più forte! Egli irrompe con la potenza del suo Spirito e rinnova la faccia della terra. Egli è Signore e dà la vita! La dà a noi, perché ci ricorda che ogni singolo istante della nostra esistenza, che ogni singolo momento del nostro sì alla sua chiamata, è sempre un fatto nuovo, che lui stesso compie e realizza in noi. Egli ci rende nuovi perché ci fa scoprire come un prodigio (cf Sal 138,14), come il prodigio che in ogni singolo istante esce dalle sue mani! Egli è Signore e dà la vita! La dà attraverso di noi, a tutti, a chiunque, perché abbiamo il coraggio di proclamare che qui, nella sua casa, nessuna è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è tanto morto o ferito da non poter più essere guarito e risuscitato.
Il secondo brano che abbiamo ascoltato conteneva il racconto essenziale della pentecoste cristiana, tratta dal libro degli Atti degli Apostoli. Luca, autore degli Atti, da vero artista qual è, in un rigo ci dà le coordinate per comprendere ciò che accade (cf At 2,1): la coordinata cronologica (il giorno di pentecoste), la coordinata personale (tutti), la coordinata spaziale (lo stesso luogo). Perché questo concentrato di informazioni? Quale senso hanno ciascuna e tutte e tre assieme? Pentecoste era il nome greco della festa ebraica delle settimane, che aveva assunto il significato di rinnovazione dell’alleanza. In quel giorno ci sono tutti: non sappiamo chi sono: apostoli, apostoli e discepoli, apostoli, discepoli e donne? A Luca non gli interessa dirci chi, ma che sono tutti, infatti il testo greco dice precisamente tutti insieme. E questo interesse lo rafforza nella indicazione del luogo: lo stesso luogo, che vuol dire sia il medesimo luogo già citato in At1,14 come la stanza alta dove tutti erano unanimemente assidui nella preghiera, ma anche lo stare in una medesima situazione, ovvero l’essere uniti tra di loro.
Solo a queste condizioni può rendersi presente lo Spirito di Dio ed invadere il luogo (la situazione comunitaria) e le singole persone (le lingue di fuoco che si posano su di loro, in egual modo su tutti loro). Ciò che sta al centro di quel giorno, oltre al dono dello Spirito, è la condizione che lo rende possibile: l’unità e l’unanimità dei credenti. È quella la novità essenziale dell’Evangelo di Cristo: che l’uomo non è più solo e non può vivere come se fosse solo.
Ed è questo il motivo per cui abbiamo inserito questo brano degli Atti nel secondo momento della nostra veglia: Spirito di forza. La Chiesa nasce a pentecoste perché Dio le dà la forza di comprendere che la grazia ricevuta, il dono dello Spirito, non era ad essa riservato, come Israele riteneva per l’alleanza, ma era un dono che andava accolto e comunicato. La Chiesa è forte non quando si chiude, ma quando si dilata per donare ciò che ha ricevuto (cf 1Cor 15,3); non quando si contrae per custodire il proprio patrimonio, ma quando si ama per condividere; non quando si trincera sulle proprie posizioni, ma quando si incammina in territori, magari impervi, ma che sono una dilatazione degli spazi di comunione e di condivisione dei doni di Dio, del suo Santo Respiro. Chiudersi è dei deboli, che hanno paura della novità perenne dello Spirito; aprirsi richiede la forza di essere disposti a perdere le postazioni acquisite, per accogliere e conquistare ciò che è ben più importante, ovvero le persone a Gesù Cristo.
Ci vuole più coraggio a rimettersi in discussione che non ad arroccarsi sulle proprie convinzioni; ci vuole più coraggio a fare la pace che non a continuare la guerra; ci vuole più coraggio ad accogliere le persone come sono che non a cercare di omologarle. Per questo motivo, questa sera invochiamo lo Spirito che è la forza di Dio, perché spezzi anzitutto le catene che noi stessi siamo a noi e alla vita delle nostre comunità e delle persone.
Ed infine abbiamo ascoltato la pericope del vangelo secondo Giovanni che ci narrava la prima manifestazione del Risorto ai discepoli. È sera, i discepoli sono rinchiusi per paura. Viene Gesù e si pone in mezzo a loro, in modo che tutti siano ugualmente vicini a lui, annuncia la pace, alita su di loro e li invia con una missione specifica: rimettere i peccati, ovvero essere strumento di riconciliazione, di riappacificazione delle persone con Dio, con se stesse e con gli altri. Il Risorto sta in mezzo ed effonde il suo Spirito per ricostruire la loro umanità ferita. È lo stesso Spirito che in questo momento, sì, in questo momento ci sta ricreando, proprio in questo istante che stiamo vivendo! Non ve ne accorgete? (cf Is 43,19).
Il sentimento di paura che li attanagliava nasceva dalla delusione di aver seguito un Maestro “sbagliato”, uno che era morto miseramente. Lasciandosi vedere, Gesù, mostra loro che egli invece è vivo; lo capiranno ed in seguito diranno che la loro speranza non delude (cf Rm5,5)! Così viene ricostruita la loro capacità di fidarsi e di affidarsi, di credere ancora, nonostante tutto.
Temevano per la loro vita che potesse fare la stessa fine di quella di Gesù. Vedendolo comprendono che la vita del Maestro, essendo stata donata, non era andata perduta, ma l’aveva riavuta in pienezza! Comprenderanno ed in seguito diranno che c’è più gioia nel dare che nel ricevere (cf At 20,35) e che chi ama non ha motivo di temere alcunché (cf 1Gv 4,18), perché è l’amore la misura della vita vera!
Stavano chiusi, con le porte sbarrate, perché – delusi da se stessi e dal Maestro – avevano sul mondo uno sguardo negativo e lo vedevano come una minaccia. Vedendo l’Amico, che era stato crocifisso, entrare e rimanere in mezzo a loro comprendono che è possibile una nuova umanità, in cui nessuno sta avanti o dietro, sopra o sotto l’altro, ma tutti stanno insieme e attorno a Gesù e, in quella posizione, ciascuno è parimenti degno, ugualmente importante e prezioso, senza che alcuna distinzione o peculiarità possa umiliare, delegittimare una persona. Ed in seguito lo diranno a chiare lettere: non c’è più né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, perché tutti figli di Dio (cf Gal 3,26-28).
Il soffio dello Spirito ricostruisce l’umanità vera e quei discepoli, tornati ad essere veramente uomini, potranno testimoniare dinanzi al mondo, senza timore, la novità dell’Evangelo della vita, ovvero della Buona Notizia che dà la vita, perché rende gli uomini liberi di essere se stessi, liberi di amare Dio, di amare se stessi, di amare gli altri!
Questa è la testimonianza che il mondo attende dai discepoli di Gesù: quella di uomini e donne felici nella loro umanità, perché è stata toccata da Cristo, invasa dallo Spirito Santo, resa degna di stare al cospetto del Padre.
Carissimi amici ed amiche, questa nostra veglia di pentecoste è il canto della novità dello Spirito, è l’inno a Colui che fa nuove tutte le cose e ci apre gli occhi della mente e del cuore per gioire nel nostro essere di Cristo, nel nostro essere per Cristo; anzi gioire nel nostro essere Cristo! Sì, perché è Lui che vive in noi (cf Gal 2,20). Come lo Spirito ha dato una forma umana al Figlio di Dio nel grembo di Maria, così lo stesso Spirito continua a dargli forma umana nella vita di quanti credono in lui. Luca così descrive l’azione dello Spirito Santo nel racconto dell’annunciazione e così la descrive nel racconto della pentecoste.
Celebrare la pentecoste ed invocare ed accogliere lo Spirito di Dio, allora vuol dire aprirsi alla novità della vita, che si manifesta nell’armonia cattolica della fede! Cos’è quest’armonia cattolica? Lo Spirito – abbiamo visto nel racconto degli Atti – invade la stanza, è dato alla comunità di quanti sono lì radunati, ma le fiammelle si distribuiscono su ciascuno. Il “noi” e l’“io” della fede e della Chiesa non sono in contrasto; anzi! Solo nell’armonia cattolica dei vari “io” si realizza quella meravigliosa sinfonia del “noi” ecclesiale. Pentecoste riconcilia il mondo con la storia di Babele: lì le lingue furono disperse ed il mondo si separò (cf Gen 11,1-9); qui le lingue vengono unite, ma non assorbite in una sola! Ciascuno ode parlare nella propria lingua: le singolarità, le particolarità, le differenze non solo non sono annullate, ma sono valorizzate nella loro capacità di unirsi, di raccordarsi nell’unica sinfonia della voce cattolica – cioè universale – della fede in Gesù e del servizio alla gioia dell’uomo. Le vite di questi nostri fratelli e sorelle sono state capaci di parlare, grazie allo Spirito Santo e all’apertura del loro cuore, alle genti di più parti del mondo (cf At 2,7-11). L’amore parla una lingua universale che, una volta ascoltata, non si può non capire. Non si può non apprezzare la convenienza di una vita illuminata da questo linguaggio.
Celebrare pentecoste ed invocare ed accogliere lo Spirito di Dio, vuol dire abbattere ogni bastione che separa, che divide, che delimita gli uomini in settori ed i schemi, perché lo Spirito è come il vento soffia dove vuole e come vuole (cf Gv 3,8) e raggiunge chiunque egli voglia! Lo abbiamo visto nella scelta dei settanta uomini saggi di Mosè: lo Spirito unse due che non erano nella tenda dell’incontro (cf Nm 11,16-30); lo abbiamo visto con Gesù che non volle che i suoi discepoli impedissero ad uno di annunciare il suo Nome solo perché non faceva parte del loro gruppo (cf Mc 9,38-40).
Celebrare pentecoste ed invocare ed accogliere lo Spirito di Dio, vuol dire spalancare, dilatare gli spazi della comunione, rigettare tutto ciò che esclude e preclude, rifiutare decisamente ciò che mortifica l’uomo!
Per questo con fede e gioia indicibili ed ineffabili vogliamo dire, proclamare:
Vieni, Spirito Santo di Dio, e soffia sulla vita di ciascuno di noi!
Vieni, Spirito, che sei Unità d’amore con il Padre ed il Figlio!
Vieni, Spirito di Consiglio, perché siamo riconoscere il tuo meraviglioso progetto di amore su ogni persona, indipendentemente da noi e dal nostro pensiero su di essa;
Vieni, Spirito di Sapienza, perché sappiamo dare giusto valore alle cose di questa terra ed abbiamo il coraggio di rinunciare a ciò che è inutile perché divide ed asserve;
Vieni Spirito di Scienza, perché possiamo mettere a frutto l’ingegno che tu ci hai dato perché il creato non venga violato, l’uomo assurga alle sue migliori potenzialità, questo mondo sia costruito in pace, giustizia ed armonia;
Vieni, Spirito di fortezza, perché siamo costanti – nonostante le difficoltà – e non ci stanchiamo mai di annunciare il tuo amore a tutti gli uomini e le donne, perché non desistiamo dalla strada che tu ci hai indicato, neppure quando la tempesta sembra troppo forte e pericolosa;
Vieni, Spirito di Intelletto, perché abbiamo il coraggio di leggere dentro alle persone e agli eventi, con empatia e simpatia, riconoscendo che in ognuno c’è un meraviglioso mistero che tu hai seminato;
Vieni, Spirito di Pietà, che ci fai riconoscere che tutti gli uomini sono creature della medesima Mano, figli del medesimo Dio, e ci manifesti la gioia rivoluzionaria della universale fraternità di tutte le creature;
Vieni, Spirito del Timor di Dio, per mostrarci la responsabilità che con fiducia Gesù ci ha affidato: la responsabilità di essere il sego profetico di una umanità diversa, di una umanità nuova che faccia sorgere nel cuore di chiunque la nostalgia di essere se stessi, ovvero di essere come Dio ci ha creato: uomini e donne liberi, figli capaci di lasciarsi amare ed amare, creature – elevate a dignità divina – che rifrangono su questa terra la luminosa e sfolgorante luce dell’armonia del Cielo.
Vieni, Santo Spirito di Dio, perché solo se rimaniamo nel tuo alito di vita non saremo un cumulo di ossa ma strumento per l’edificazione del Regno avvenire! Amen!
dom Tonino +
Comments