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Mercoledì delle Ceneri alla Christiana Fraternitas. Inizio della Quaresima

"L’assoluto di Dio non è una bella espressione di cui ci riempiamo la bocca senza che, poi, abbia effetti concreti sulla nostra vita. Altrimenti siamo ipocriti". Queste alcune parole dell'omelia tenuta dall'Abate dom Tonino per la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per l'inauguraizone del "Tempo del Deserto" (Quaresima).


Mercoledì 2 marzo 2022 alle ore 20.00, presso la Cappella della Casa Apostolicala Christiana Fraternitas ha dato inizio al Tempo del Deserto ai più conosciuto come la Quaresima, con la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola moderata dal nostro Abate Antonio. Non è mancato il segno delle Ceneri.


Quest'anno il segno delle ceneri è stato fatto dalla Segretaria Generale della Famiglia Monastica sr. Maria Grazia Bianco.



Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro
Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella
in occasione della Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola
per l'inaugurazione del "Tempo del Deserto" 2022

Testi di riferimento Mt 6,1-6.16-18


Cari fratelli e sorelle, care Amiche ed Amici!

Siamo giunti, anzi, la grazia del Signore ci ha condotti ad un altro tempo di quaresima. Domandiamoci subito: sarà per noi l’ennesimo tempo di quaresima o un nuovo tempo di quaresima? Ennesimo vuol dire che sarà uno dei tanti, che scorrerà come una tappa obbligatoria, da subire, piuttosto che da vivere. Nuovo, invece, vuol dire che lo accogliamo come un dono del Signore, come un tempo di grazia, un kairòs, nel quale possiamo riscrivere la nostra storia con Dio, un tempo in cui possiamo accogliere il rinnovamento della nostra vita, del centro di gravità e di senso della nostra persona, e di conseguenza di tutto ciò che ci descrive e ci caratterizza.


1. Il tempo di quaresima è tempo di deserto: è, cioè, il tempo in cui abbiamo il coraggio di stare con noi stessi, davanti al Signore, facendo tacere il chiasso che ci circonda (anzi che spesso ci abita, perché lo abbiamo dentro), per ritrovare la verità di noi stessi.

Nel brano dell’Evangelo, Gesù più volte dice: «Non come gli ipocriti». Questa parola sulle labbra del Signore ha un significato ben preciso. Gli ypokrités erano gli attori del teatro, che mettevano una maschera per incarnare un personaggio. Erano una finzione di persona e di vita; si mostravano per ciò che non erano. Il tempo di quaresima è il tempo in cui facciamo cadere le maschere dai nostri volti e ci mostriamo per ciò che siamo realmente. Viviamo in un tempo in cui la gradibilità sociale è diventata il valore assoluto: vali se piaci e quanto piaci. Siamo tutti alla ricerca disperata di approvazione che venga da fuori di noi. Le maschere ci si sono attaccate così radicalmente sulla faccia che oramai noi stessi facciamo difficoltà a distinguere chi siamo da ciò che appariamo. Anzi, peggio ancora, preoccupati di apparire, noi stessi corriamo il rischio di dimenticare chi siamo.

Questa è una vita meschina! Perché è una vita da schiavi! Il tempo di quaresima è il tempo in cui ci guardiamo in faccia e ci liberiamo dalle catene schiavizzanti dell’apparire.


2. Nella pericope matteana ascoltata, che sempre caratterizza la celebrazione delle ceneri e l’inizio della quaresima, tre opere ci vengono indicate come vie di purificazione e di liberazione della vita: I. la preghiera, come liberazione dalla presunzione di bastare a noi stessi e di poter fare a meno di Dio; II. il digiuno, come liberazione dalla bramosia dei sensi che ci porta a soddisfare ogni nostro piacere, senza pensare alle conseguenze che questo potrebbe avere sugli altri e su di noi; III. l’elemosina, come liberazione dall’avidità del possesso che ci porta ad essere indifferenti ai bisogni altrui, o peggio ancora, ad usare gli altri per sottometterli al nostro “straguadagno” e al nostro smisurato interesse.

Nel riflettere su questo brano evangelico, spesso ci si sofferma alle parole di Gesù, che si riferiscono al come queste tre opere vengono compiute, cioè alle loro intenzioni profonde: se le facciamo per essere lodati dagli uomini o per seguire la via di Dio.

A dire il vero, oggi ci sarebbe da fermarsi alle prime parole ovvero: «Quando fai l’elemosina? Quando digiuni? Quando preghi?». Cioè dovremmo domandarci e domandare: ma le facciamo queste cose? Perché non ha senso domandarsi come le facciamo, dando per scontato che le facciamo; perché oggi non è così! E perdonerete la franchezza, che però mi viene da quella Paternità cui sono chiamato -non stante i miei limiti- a mettere in essere, perché oggi non è così neppure in questa nostra famiglia monastica.

Anche in questo deve cadere la maschera! Il fatto di essere discepoli di Gesù e persino monaci non ci mette al riparo dall’ipocrisia della vita. Ci domandiamo come fare delle cose, ma magari neppure le facciamo.

In questo tempo di quaresima dobbiamo domandarci con onestà: ma io prego? Ma io digiuno? Ma io mi faccio carico dei bisogni degli altri? Non è il mio status di vita che mi rende de facto persona di preghiera, di sacrificio e di carità: è la mia scelta vera, radicale, quotidiana per Gesù a farlo!

Sulle tre opere o vie di liberazione, proprie della quaresima, io vorrei soffermarmi solo su una, che sta alla base di tutte e dà forza spirituale alle altre, ovvero la preghiera.

Dobbiamo domandarci, ciascuno a se stesso: ma io prego? Ho ogni giorno un tempo che appartiene solo a Dio? Vivo ogni giorno uno spazio della mia giornata e della mia vita che è di Dio e solo di Dio? Il fatto che la mia vita sia consacrata a Dio e che io mi riunisca con la mia Comunità per dei momenti comunitari di preghiera non fa di me automaticamente un uomo o una donna di preghiera. È un aiuto, certo! Ma non è tutto! Perché se io non so pregare fuori dei momenti comunitari, se non avverto ogni giorno il bisogno impellente, categorico, imperativo di fermare tutto e tutti, per stare davanti al Signore, allora non sono certo una persona di preghiera.

Abbiamo bisogno di un tempo che sia soltanto di Dio, un tempo dinanzi al quale non esista nessun altro e nessun’altra cosa: persone, relazioni, professione, guadagni, amicizie, affetti, incombenze, preoccupazioni. O esiste nella mia giornata un tempo in cui tutto è messo da parte perché Dio soltanto stia al centro e sia Signore di quel tempo oppure semplicemente Dio non sarà mai il Signore della mia vita.


Questa Signorìa di Dio sulla nostra vita ha un aspetto personale, come ho appena detto; ma ha anche un aspetto comunitario, perché noi viviamo la ricerca di Dio insieme, come una famiglia legata da vincoli spirituali. Le domande che ci siamo fatte sulla vita spirituale e di preghiera personali, ora dobbiamo porcele anche sulla vita spirituale e di preghiera comunitarie: i momenti in cui con la mia Comunità sto davanti a Dio e a Lui soltanto sono decisivi, prioritari e assoluti su tutto e su tutti? So fermare la corsa impazzita del mio mondo per stare con i miei fratelli e sorelle davanti al Signore? E, quando ci sto, ci sto con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta l’intelligenza? O sto con il mio corpo, mentre la mia anima e la mia testa stanno altrove?


L’assoluto di Dio non è una bella espressione di cui ci riempiamo la bocca senza che, poi, abbia effetti concreti sulla nostra vita. Altrimenti siamo ipocriti: cioè siamo persone che si sono messe le maschere della religiosità e persino della vita consacrata, ma sotto quella maschera non c’è un volto corrispondente; e Dio solo sa che volto potrebbe esserci…lui solo che vede nel segreto, lo sa.


3. In questa quaresima ci siamo dati un impegno: ognuno ha scelto un aspetto della propria vita in cui compiere l’opera della purificazione e del miglioramento. Gli altri – i fratelli e le sorelle – saranno i custodi vigili di quell’impegno; ci aiuteranno, cioè, a rimanervi fedeli. In questo modo, ognuno si farà carico del cammino dell’altro.

Questa nostra scelta corrisponde all’anima spirituale più antica e genuina della quaresima e della vita monastica.

Sappiamo dalla storia della liturgia che il tempo di quaresima era un tempo particolarmente dedicato alla cura dei catecumeni (coloro che stavano per ricevere il battesimo) e dei penitenti (coloro che il mercoledì delle ceneri avevano confessato i loro peccati ed avevano iniziato la penitenza pubblica, per essere riammessi alla comunione con Dio e con la sua Chiesa il giovedì, che noi chiamiamo giovedì santo). Tutta la Comunità pregava e digiunava con e per loro. Mai il digiuno era per se stessi, come un’opera di penitenza personale. Il digiuno era una potente intercessione perché la Signorìa di Dio si manifestasse, con la sua misericordia, per quei fratelli e sorelle che dovevano nascere alla grazia o dovevano rinascere ad essa attraverso il perdono dei peccati. Solo nel medio e basso Medio-Evo, con la privatizzazione della fede e della pratica religiosa, il digiuno ha iniziato ad essere inteso una pratica per se stessi.

Così pure sappiamo che nella tradizione monastica è di decisiva importanza la spontanea confessione dei propri errori dinanzi al Capitolo della Comunità. Ne parla il capitolo 46 della Regola. Chi si accorge di aver mancato in qualcosa, deve dirlo all’abate e alla comunità radunata. Se non lo fa e la cosa si viene a sapere la punizione è più severa. Cosa significano queste norme della Regola? Anzitutto vogliono dire che la vita e la persona del monaco non esiste senza un vitale e spirituale legame con la Comunità; poi indicano che è solo la Comunità il luogo della verifica della propria posizione spirituale e vocazionale. Nessuno può pretendere di fare il discernimento da se stesso o presumere che la decisione presa da solo venga gettata in faccia alla Comunità, come se essa non abbia alcun ruolo nella formazione della scelta personale. Ed, infine, quelle norme della Regola significano che nella Comunità ci si carica l’uno dei pesi dell’altro, perché i pesi condivisi sono più leggeri da portarsi.


4. Cari fratelli e sorelle, ho offerto due linee di cammino – quella personale e quella comunitaria – attraverso le quali ci libereremo dall’ipocrisia delle maschere e ci riapproprieremo della verità dei nostri volti. La quaresima è un tempo che scarnifica, e per questo fa male; ma è anche vero che laddove c’è stata scarnificazione, nasce anche una carne nuova, più giovane e fresca, vitale.

Solo morendo a noi stessi, ai nostri limiti, alle nostre ipocrisie, al nostro peccato potremo – a Pasqua – rinascere con Cristo a vita nuova e piena.

Il Signore, ricco di misericordia, che ha condotto il suo popolo con braccio potente e mano tesa, si degni di accompagnare anche noi in questo esodo quaresimale. Amen.

dom Tonino +



Qui sotto il video della predicazione



Pax

Ut unum sint

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