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Mercoledì delle Ceneri alla Christiana Fraternitas

"La preghiera, il digiuno e l’elemosina o ci fanno abitare il mondo - questo mondo non altri - in modo più consapevole e responsabile o semplicemente non servono!". Queste alcune parole dell'omelia tenuta dall'Abate dom Tonino per la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per l'inauguraizone del "Tempo del Deserto" (Quaresima).


Anche alla Christiana Fraternitas si è dato inizio al Tempo del Deserto ai più conosciuto come la Quaresima, con la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola moderata dal nostro Abate Antonio. Non è mancato il segno delle Ceneri.

Quest'anno il segno delle ceneri si è colorato di "azzurro, rosa e bianco". Infatti, in foto, è Michele Formisano che ha imposto le ceneri all'Abate Antonio.



Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro

Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella

in occasione della Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola

per l'inaugurazione del "Tempo del Deserto"


Testi di riferimento Mt 6,1-6.16-18


Care Sorelle e Fratelli, cari Amici ed amiche,

muoviamo il primo passo del tempo del deserto ai più conosciuto come tempo di quaresima, non certo un tempo di frustrazione e di sterili pietismi. Un tempo, pedagogico – si capisce – che concentra una maggiore attenzione alla vita spirituale, oserei definirlo un check up dello spirito. Potremmo dire che il tempo del deserto vuole favorire il nostro atto di presenza a noi come a Dio e allo Stesso nel prossimo. Per noi cristiani - il tempo del deserto - è un camminare insieme, dietro Gesù, per rinnovare e rinsaldare il nostro essere suoi discepoli, ovvero il nostro legame vitale con Lui, che ci porterà a partecipare – cioè a prendere parte – con coscienza rinnovata del Mistero centrale della nostra redenzione: la Sua Pasqua, offerta d’amore fino a dare la vita, e vita che trionfa sulla morte! Non camminiamo allora senza meta: camminiamo, cioè, verso la rigenerazione dell’umanità, verso la sua rinascita!

Questa è, in fin dei conti, la Buona Notizia che ci sta davanti: Dio fa nuove tutte le cose (cf. Ap21,5)! Rinnova la nostra umanità, disvelandole il suo vero significato ed il suo vero senso.

Nell’antica e significativa consuetudine simbolica delle Ceneri, che caratterizza questo giorno, come d’altronde nella nostra prassi liturgica, verrà chiesto a ciascuno di noi: vuoi convertire la tua vita alla Buona Notizia? Cioè vuoi renderti disponibile a guardare la vita dalla prospettiva di Dio e, cosi con Lui, rinnovare te e la faccia della terra? Questa è la domanda, che il tempo forte che stiamo inaugurando, chiede di abitare e che deve accompagnare costantemente la vita di noi credenti.


Il brano dell’evangelo secondo Matteo, che abbiamo ascoltato, è tratto dal noto discorso della montagna, che - come sapete - comprende i capitoli 5-7. Gli esegeti, abbastanza concordemente, ritengono che questo discorso di Gesù (o meglio, questa collezione di discorsi che Matteo ha redazionalmente unito) corrisponda al genere proprio della halakà ebraica, che viene di solito intesa come un corpo di leggi e precetti, ma che ha originariamente un altro significato. Il verbo hālak, infatti, vuol dire camminare; quindi in verità, la halakà è la via da seguire, il cammino da compiere!

Quello che Gesù sembra presentarci nel discorso della montagna non è un modello di umanità a cui adeguarsi obbedendo ciecamente a delle leggi esterne. Gesù, invece, presenta un modello di umanità piena, da costruire passo dopo passo, nella fatica del cammino di plasmare se stessi, nella scelta costante del bene, della verità di se stessi e quindi della libertà come della felicità.

Quando, infatti, nel brano odierno, per ben tre volte Gesù chiede di chiudersi nel segreto della propria stanza o del proprio cuore, di non cercare la visibilità degli atti religiosi e di preoccuparsi solo del giudizio di Dio, che vede nel segreto, altro non sta facendo che chiederci di abitare la nostra interiorità.

Agostino d’Ippona diceva: Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas – non andare fuori da te stesso, ritorna dentro di te, perché è nell’uomo interiore che abita la verità (De vera religione – Agostiono d’Ippona).

Il Signore chiede ai suoi discepoli di dare concretezza e senso personale a tre opere classiche della prassi religiosa del suo tempo: la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Non le abolisce, non le elimina: svela però ai discepoli il vero significato di quelle tre opere, che mantengono tutta la loro importanza profetica e spirituale. Questa importanza, però, emerge se preghiera, digiuno ed elemosina mantengono un significato profetico e diventano una costante, stile, attitudini, atteggiamenti di vita. Se rimangono singoli atti religiosi, allora diventano alienanti, si! Ci alienano! Noi, infatti non siamo chiamati a pregare per estraniarci dal mondo, non facciamo digiuno fine a se stesso e non facciamo elemosina spicciola per lavarci la coscienza. Se si tratta di atti sporadici che non producono una comprensione ed uno stile di vita sono assolutamente inutili e persino negativi, detestabili agli occhi di Dio! La preghiera, il digiuno e l’elemosina o ci fanno abitare il mondo - questo mondo non altri - in modo più consapevole e responsabile o semplicemente non servono!

Questa sera allora, provocati dall’Evangelo, vogliamo chiederci: cosa queste tre dimensioni di vita – preghiera, digiuno ed elemosina - hanno da dire ancora a ciascuno di noi, alle nostre esperienze di fede e alle nostre Chiese ed, infine, alla società stessa? Proviamo a fare questi tre passaggi, partendo dall’aspetto individuale, personale.


1. Quale significato assume per me, per ciascuno di noi la domanda che ci viene chiesto di abitare in questo tempo di deserto: Vuoi, tu, convertire la tua vita alla Buona Notizia?

La preghiera è il frutto di una presa di coscienza: l’uomo e la donna sono trascendenti, portano con sé un segno ed una ricerca incancellabili dell’Infinito che è in loro, che è in tutti e tutte noi. La preghiera, sete di trascendenza, mi ricorda che io non sono soltanto il cumulo di ossa e carne di questa terra, ma che dentro di me porto molto di più; non sono un cumulo di cellule casualmente messe insieme, ma il portatore di un progetto di vita sensata. La trascendenza, inoltre, mi ricorda che non basto a me stesso, ma faccio parte di una comunione fatta di persone e relazioni e di una comunione con l’Eterno. In me, in ciascuno di noi, c’è sempre una infinita apertura all’altro e a Dio, che ci completa e ci rende veramente umani.

Il digiuno è la capacità di rinunciare non per privarmi o mortificarmi, ma perché so scegliere ciò e quanto serve alla mia vita senza affannarmi per il superfluo. Il digiuno vero è quello di chi ha compreso ciò che veramente conta e ciò a cui si può e si deve rinunciare. Non si tratta di rinunciare a ciò che mangiamo, ma di rinunciare a ciò che ci mangia, a ciò che si nutre di noi, ovvero che ci toglie la gioia ed il senso della vita piena. La rinuncia al cibo fine a se stessa - per esempio - forse può rendere felici i dietologi, ma non soddisfa l’animo umano ne tantomeno glorifica Dio.

Ed infine l’elemosina non può essere il privarsi di qualche spicciolo, tanto per sentirmi in pace con me stesso; si tratta invece di quella attitudine fondamentale per cui so condividere ciò che ho per aiutare il mio fratello e la mia sorella. Si tratta di privarmi di qualcosa che è mio per darlo a loro, perché la loro serenità è un bene più grande dei beni che io possiedo e mio fratello, mia sorella stessi sono il bene più grande che mi è stato donato!


2. Il tempo del deserto chiede di abitare la stessa domanda anche alle nostre comunità di fede, alle nostre Chiese: «Vuoi, Chiesa, convertire la tua vita alla Buona Notizia?».

L’esperienza della preghiera e della trascendenza, che essa porta con sé, ricorda alle chiese che il culto non è l’autoglorificazione della comunità, della istituzione ecclesiastica, che si bea delle sue belle – qualche volta anche troppo fastose -celebrazioni, delle sue assemblee più o meno numerose. Il culto è l’esperienza comunitaria della gloria di Dio che in modo sempre nuovo rischiara e riscalda le Sue assemblee; il culto è il tempo “sottratto” a noi e alle nostre cose per darlo unicamente a Dio. Nel culto le Chiese fanno esperienza di spogliazione e di libertà: sì, perché è nel culto che esse sperimentano che l’efficacia della loro azione non risiede nella loro capacità organizzativa, nella qualità umana delle proprie strutture, ma solo nella potenza dell’esperienza dell’amore di Dio che tutte le raggiunge! Le chiese, quando celebrano un culto gradito a Dio, riscoprono che esse non sono un fine, ma solo un mezzo perché tutti possano andare a Dio; e solo così fanno esperienza di vera libertà, anzitutto da se stesse.

Le comunità cristiane sempre sono chiamate a digiunare dalla ricerca del potere sociale, dal controllo delle coscienze, dalla pretesa assolutista di possedere la verità tutta intera. Esse devono tornare ad essere povere, cioè ricche soltanto della forza dell’amore di Dio e della potenza della sua Parola. Altrimenti assomigliano soltanto a vecchie signore golose ed ingorde che fagocitano tutto e tutti, diventando così la più repellente delle immagini di se stesse.

Ugualmente ogni chiesa deve vivere l’elemosina come dimensione della propria missione, anzitutto dando ciò che possiede, rendendo la sua prossimità ai bisognosi, ma non solo! Anche condividendo anche tra loro - cioè tra le chiese, sto parlando di ecumenismo - i doni, i carismi, i talenti. E poi anche – perché no? – le strutture e gli spazi. In questo mondo e nella fede cristiana non c’è più spazio per i totalitarismi! Solo una Chiesa capace di darsi è anche una Chiesa capace di accogliere, perché si è liberata dalle sicurezze mondane, che corrompono, devastano, mortificano e confondono l’idea, la comprensione di Dio davanti agli occhi dei piccoli.


3. L’invito ad abitare la domanda è rivolto anche alla società in quanto tale Vuoi, società, convertire la tua vita alla Buona Notizia?.

Abbiamo detto che la preghiera ci fa fare esperienza di trascendenza. Anche la società vive di trascendenza e senza trascendenza è un corpo morto. Nei sistemi democratici i corpi sociali vivono di apertura agli altri corpi sociali e allo Stato che è l’insieme di quei corpi. È lo stesso rapporto che nel corpo vige tra le cellule ed i tessuti in osmosi tra di loro e con il corpo intero.

Oggi più che mai sappiamo – e talvolta con tristezza le cronache ci mettono di fronte a notizie diverse – che un gruppo sociale chiuso o è destinato alla morte o cede a logiche lobbistiche, che inquinano la vita sociale di tutti. Quella che potremmo definire “la trascendenza dei corpi sociali” ci ricorda che solo la ricerca del bene comune consente ai singoli, ai gruppi, agli stati, alle nazioni e alle organizzazioni delle nazioni di costruire il proprio bene personale. Illudersi di costruire il bene di uno o di pochi a discapito del bene di tutti è una illusione mortifera e devastante.

In questo ultimo periodo, stiamo assistendo ad una corsa ai vaccini. Ognuno cerca disperatamente di accaparrarsi più dosi per i propri cittadini ed i cittadini cercano di farlo per se stessi e per i propri cari. Quasi nessuno, però, ci dice che questa corsa tamponerà questo problema ma non risolverà il vero problema che è un altro! Se non decidiamo, una volta e per sempre, di mettere nell’agenda politica del nostro vivere insieme un radicale cambio di stili di vita, un totale cambiamento degli stili produttivi, economici e finanziari, ben presto non ci dovremo più preoccupare di questo o di quell’altro virus: se continuiamo così tra 30/50 ciò che sarà in discussione ed in pericolo sarà la stessa possibilità di sopravvivenza sul nostro pianeta!

Il digiuno necessario alle società è il digiuno dalla ingiustizia e dalle diseguaglianze a tutti i livelli. Il mondo di oggi sta aumentando in modo esponenziale il divario tra i ricchi ed i poveri, tra i popoli dell’opulenza ed i popoli dell’indigenza. Pensate fratelli miei, un anno fa è stato pubblicato un rapporto: “Time to care”, questo dice che l’1% degli uomini del nostro pianeta detiene il 92% delle ricchezze mondiali! Questa voracità economica produce differenze inique, indegne di popoli che amano definirsi civili! La triste verità è che una piccola percentuale di persone calpesta impunemente la dignità di intere popolazioni, volutamente e scientificamente affamate o tenute nella fame, perché non abbiano la possibilità di rialzarsi. Se continuiamo così, lo scenario che si apre dinanzi a noi è desolante: o la creazione di un sistema dittatoriale economico ci farà perdere il frutto di tutto un cammino per la conquista dei diritti e dello Stato sociale o i popoli oppressi si solleveranno in una violenta rivolta. In un modo o nell’altro, la incapacità di un salutare digiuno dalle ricchezze produrrà ingiustizia su ingiustizia!

Anche l’elemosina può parlare alla società contemporanea. L’idolatria della proprietà privata, la smania dell’accumulo, l’affanno della speculazione ci hanno fatto dimenticare che i beni dell’umanità sono e restano beni solo se usati per l’umanità! Oggi non possiamo non denunciare profeticamente che sta morendo il senso di giustizia sociale a tutti i livelli: ognuno cerca di farla franca, ognuno persegue il proprio interesse nelle piccole cose e nei grandi sistemi; pochi travolgono la vita di molti.

Dare, condividere non è un atto di pietosa liberalità! È un dovere di giustizia! Se vuoi essere chiamato uomo o Stato non puoi non condividere, altrimenti sei e rimarrai soltanto la depravazione di ciò che presumi ed affermi di essere!


Ecco, miei cari fratelli e sorelle, questo tempo di deserto ci mette davanti alla necessità di non sfuggire ma abitare la domanda «Vuoi convertire la tua vita alla Buona Notizia?». Non possiamo sfuggirla a livello personale, a livello ecclesiale ed a livello sociale. Quando ci si incammina nel deserto si deve necessariamente scegliere cosa portare e a cosa rinunciare; quando si cammina nel deserto non si può non condividere per riuscire ad arrivare tutti assieme alle oasi e alla meta; quando si cammina nel deserto o si riesce a guardare oltre alla infinita distesa di sabbia e si trascende col pensiero verso i campi verdi oppure ci si ferma e si muore tutti.

Abitiamo - senza paura - questo deserto, camminiamo in questo deserto, apriamo il cuore e le mani in questo deserto, che - forse si - ci spoglia ma ci libera e ci rende più veri, ci corrisponde alla nostra natura, quella umana presentataci da Cristo Gesù.

Solo in questo modo potremmo dire - come il profeta - che nel deserto una strada è stata aperta(Is 43, 19) per noi.

In questo deserto lasciamo che in modo anche graffiante rispetto alle nostre chiusure, egocentrisimi, totalitarisimi, ci venga rivolto seriamente l’invito ad abitare la domanda: Vuoi convertire la tua vita alla Buona Notizia?

dom Tonino +


Qui sotto il video integrale della preghiera



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