Mercoledì 26 febbraio 2020 alle ore 20.30, presso la Cappella della Casa d'Amministrazione, si è tenuta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per inaugurare il Tempo di Deserto proposto dalla nostra Famiglia Monastica. Nella stessa occasione è stato ammesso un nuovo fratello al Noviziato.
Anche alla Christiana Fraternitas si è dato inizio al Tempo del Deserto ai più conosciuto come la Quaresima, con la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola moderata dal nostro Abate Antonio. Non è mancato il segno delle Ceneri che, oltre alle Scritture, è stato spiegato nella omelia dell'Abate. Nella stessa celebrazione fr. Emiliano Galeone è stato ammesso al Noviziato.
In foto Lucia Caiazzo, un'anziana donna poliomielitica che impone le ceneri al nostro Abate.
Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro
Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella
Testi di riferimento Os 2, 16-22; Col 2,1-10.16-23; Mt 4, 1-11
Cari fratelli e sorelle, cari amiche ed amici,
iniziamo questo cammino verso la Pasqua di Gesù, avendo nel cuore le parole del profeta Osea: La attirerò a me, la condurrò nel deserto, e lì parlerò al suo cuore. Da sempre, la Scrittura ci insegna che il deserto – mid-bar – è il luogo in cui risuona potente la parola – da-bar – del Signore.
Nel deserto ha parlato a Mosè e al suo popolo, nel deserto ha parlato ai profeti (cf 1Re 19,12-13), nel deserto si è recato lo stesso Gesù (cf Mt 4,1-11). Il deserto è il luogo dell’essenziale, nel quale ritroviamo noi stessi in Dio e Dio in noi; è il luogo nel quale ogni cosa torna al suo giusto posto ed a ciascuna cosa viene dato il suo giusto valore. Nel deserto, poi, Dio apre strade misteriose e inesplorate: Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia – non ve ne accorgete? – aprirò anche nel deserto una strada e immetterò fiumi nella steppa (Is 43,19).
1) Il tempo del deserto: è Dio ad agire in noi
I giorni del nostro deserto pre-pasquale sono, quindi, giorni di cammino, nei quali intensifichiamo la ricerca di Dio, il quærere Deum, nella nostra vita; giorni favorevoli nei quali lasciamo a Dio la possibilità di parlare al nostro cuore per ricondurci totalmente e definitivamente a Lui. Questa è la scelta che noi vogliamo fare: vogliamo accorgerci della strada nuova che Dio ci apre nel deserto, vogliamo renderci conto che ci viene offerta una grazia, un dono, una possibilità. Questo cammino deve essere la nostra disponibilità dinanzi alla domanda: Non ve ne accorgete? Noi vogliamo rispondergli: sì, Signore! Noi ci accorgiamo del dono del tuo amore, della tua grazia e noi con tutta la consapevolezza del nostro cuore, della nostra anima e della nostra volontà vogliamo corrispondere al tuo dono, per quanto e come possiamo.
I brani della Scrittura che abbiamo ascoltato ci aiutano a vivere le dimensioni fondamentali del deserto pre-pasquale, che poi sono le dimensioni fondamentali di tutta la nostra vita di credenti e di cercatori di Dio.
Il brano di Osea ci ricorda la radicalità e gratuità dell’amore di Dio. Egli aveva chiesto al profeta di sposare una prostituta e di amarla fedelmente nonostante le sue infedeltà. La fedeltà dell’amore del profeta avrebbe riportato la sua sposa all’abbandono dell’infedeltà. Così Osea stesso diventava segno per il popolo di Dio: la fedeltà dell’amore di Dio, nonostante le innumerevoli infedeltà del popolo, avrebbe riconquistato il cuore di Israele. Già all’inizio della sua storia, il popolo di Israele era stato condotto per quarant’anni nel deserto. Quel luogo era stato come una scuola in cui il popolo di Dio aveva dovuto imparare a fidarsi, a lasciarsi condurre, a lasciarsi amare da Dio, come il popolo della sua elezione. Per centinaia di anni aveva vissuto sotto la schiavitù, aveva conosciuto non l’amore ma l’oppressione; lì nel deserto avrebbe imparato che era possibile un’altra vita, un altro modo di vivere: quello della libertà, del dono e dell’amore. Nonostante questa esperienza originaria, spesso il popolo era caduto nella infedeltà e Dio pazientemente lo prende di nuovo per mano e lo riconduce al primo amore, senza del quale il popolo cessa di essere se stesso.
Il nostro deserto è il tempo di grazia in cui ci lasciamo riconquistare dall’amore fedele di Dio. Non è il tempo in cui noi facciamo qualcosa per convertirci, ma è il tempo in cui, disponendoci all’ascolto del Maestro - così come ci invita a fare nostro Padre Benedetto (cf Regola, Prologo) - ci lasciamo sedurre da Lui, esattamente come è stato per Geremia: Mi hai sedotto ed io mi sono lasciato sedurre (Ger 20,7).
Solo un amore fedele, costante, gratuito può ricondurci a Dio. Come potrebbe essere amato un Dio che chiede qualcosa all’uomo, che pretende la sua adorazione ed il suo servizio? In cosa sarebbe diverso dagli dei pagani, che schiacciano gli uomini rendendoli loro schiavi?
Come non portare alla memoria le parole chiare ed inequivocabili che Dio pronuncia già nell’Antico Testamento: Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto (Is 1,13-15a).
2) Il tempo del deserto: passaggio da una vita egocentrica ad una vita allocentrica
Così comprendiamo perché l’apostolo Paolo nella lettera ai Colossesi, che abbiamo ascoltato come seconda lettura, ci chiede di non lasciarci ricondurre ad una mentalità mondana nella vita della fede. Precetti umani – quali l’astinenza da cibi o da determinati cibi, noviluni, sabati e feste – sono come tornare alla schiavitù religiosa e non vivere nella libertà dell’amore gratuitamente ricevuto da Dio, rivelato da Gesù.
Noi diamo inizio oggi, quindi, ad un tempo in cui non dobbiamo vivere uno sforzo prometeico per cambiare noi stessi, per piacere a Dio. Noi diamo inizio ad un tempo di grazia e di gratuità, in cui l’unica cosa che vogliamo fare è mettere fuori il coraggio, la disponibilità per lasciare che Dio avvinca il nostro cuore e la nostra vita con la forza dolce e suadente del suo amore gratuito. Misericordia io voglio e non sacrificio: dirà Gesù (cf Mt 9,13) citando proprio Osea (6,6).
Anche il segno delle ceneri, con cui visibilmente diamo inizio a questo deserto, ha il compito di ricordarci la gratuita potenza dell’amore di Dio. Sì, il deserto ci dispone anche al ricordo. Sappiamo dall’etimologia della parola ricordare, dal latino recordari, che il ricordo è un “riportare al cuore”. Il deserto nel quale ci stiamo introducendo questa sera è il tempo in cui riportiamo al cuore l’esperienza che certamente ognuno di noi, in qualche momento della vita, ha fatto dell’amore di Dio.
Le ceneri di per sé sono il risultato di una distruzione ma sono anche, anzi soprattutto stasera sono per noi il segno della possibilità di una rinascita. Esse sono ciò che rimane dal fuoco distruttore, eppure sono efficace concime che rigenera e alimenta la terra, danno nuove energia e vita. Se tornassimo alla semplicità della vita contadina, lo ricorderemmo: un contadino sa bene che, prendendo le ceneri dal legno delle potature, che è stato arso e quindi distrutto, egli può usarle per concimare la sua vigna. Le ceneri così ci dicono che lì dove noi portiamo la morte, o con la malvagità della vita o con una cattiva comprensione di Dio, lì Lui è capace di far risorgere la vita; lì dove noi seminiamo la morte con il nostro egoismo distruttivo, lì Lui è capace con la forza vitale dell’amore di far rifiorire la vita stessa; ciò che l’uomo scarterebbe, Dio invece lo usa – come strumento eletto – per le sue meraviglie, poiché in Lui non esiste cosa o persona alcuna che possa essere scartata.
Le ceneri, poi, ci ricordano anche il ritorno delle vesti al loro candore iniziale: esse, infatti, erano usate, dopo il bucato, per sbiancare i tessuti, come potrebbero raccontarci i nostri nonni o bisnonni. Il candore del nostro battesimo viene offuscato ogni volta che noi non viviamo da figli di Dio, ovvero non viviamo da uomini o da donne. Non si tratta di singole azioni che possono sporcare il nostro cuore, si tratta di stili di vita, improntati ad egoismo, a disprezzo dell’altro, a sfruttamento delle persone, della natura delle situazioni. Queste sono le cose da cui dobbiamo purificare il nostro cuore e la nostra mente. È esattamente ciò che l’apostolo, quasi a mo’ di ritornello, ci ha ripetuto nella seconda lettura: non vivete secondo la logica di questo mondo! Non è certo un segno esteriore, un rito materiale, un cibo o una bevanda non assunti, che ci garantiscono la conversione. Gesù, questo, lo afferma con chiarezza: Non c’è nulla fuori dall’uomo che entrando in lui possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo (Mc 7,15). La conversione è e resta anzitutto metanoia, ovvero cambiamento, inversione di pensiero. Ciò che ci rende dei convertiti è il passaggio da una mentalità e da uno stile di vita incentrato su noi stessi, ad una mentalità e stile di vita differenti: il passaggio dall’egocentrismo all’allocentrismo, dove l’Altro è Dio ed il fratello. Solo questa è la via che ci porta alla risurrezione, cioè alla rinascita della umanità come immagine e somiglianza di Dio.
3) Il tempo del deserto: accogliere il limite come spazio di dono di se stessi
Infine, le ceneri ci ricordano un limite, una fine. Il limite non è una maledizione, ma è una benedizione. Noi sappiamo porci dei limiti dinanzi alle cose che amiamo, perché quelle che non amiamo le sovrastiamo. Il brano del vangelo ci ricorda che Gesù vince le tentazioni certamente ispirando la propria vita e le proprie scelte alla parola di Dio, ma le vince accogliendo il proprio limite.
Si limita davanti al mondo inferiore – i sassi – e non li asserve alla propria fame; si limita dinanzi al mondo che gli è “pari” – gli angeli, il mondo sovraterreno – e non li asserve alla manifestazione della sua identità divina; si limita dinanzi al mondo superiore – Dio, il Padre suo – e non persegue il fine della sua signorìa sul mondo attraverso una strada diversa e più facile rispetto a quella che Dio stesso gli indicava. Qui Gesù mostra di aver condiviso in tutto – eccetto il peccato – la nostra condizione umana (cf Eb 4,15), ovvero limitata. Egli, che era Dio, ha svuotato se stesso (cf Fil 2,6-7), cioè ha limitato la sua gloria divina ed ha assunto la nostra umanità. Scegliendo di limitarsi ci ha mostrato, perché noi imparassimo ad accogliere e vivere i nostri limiti, che solo questa è la via per offrire spazio all’altro, per fare di sé e della propria vita un dono. Esistono come due modi per protendersi fuori di sé verso l’altro: uno è quello che cerca di prendere, di possedere per estendere all’infinito il proprio confine; ma questo modo è quello della distruzione di tutto ciò che circonda la persona. L’altro modo, quello scelto da Gesù, è quello di limitarsi, di offrire il proprio limite per condividere tutto. E questo è il modo che genera vita, che genera vera libertà, che genera gioia, perché genera dono, genera amore!
La conversione, che dobbiamo cercare, è anzitutto come cambiamento radicale di uno stile di vita. E non dobbiamo nasconderci dietro la paura di cambiare, quasi che oramai fosse impossibile per noi: perché si è troppo vecchi, perché crediamo di avere fatto sufficienti esperienze, perché essendo giovani – questi – sembrano discorsi lontani alla realtà in cui viviamo oggi. Con Dio mai è impossibile cambiare; Egli è sempre e soltanto il Dio delle nuove possibilità! Non esiste uomo o donna che possa, con i propri errori, impedirgli di provare fiducia verso la sua creatura, tanto da essere disponibile sempre ad entrare in dialogo con lei, per farla rinascere. Ancora Isaia ci convince di questo: Su, venite e discutiamo» dice il Signore. «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana (Is 1,18).
È possibile accogliere, accettare la realtà benefica del nostro essere limitati, rispettare il nostro limite per rispettare la pienezza del mondo che ci circonda, dei fratelli che vivono con noi, di Dio che è nostro Padre e pienezza della nostra vita. Per accogliere, però, il proprio limite, è necessario imparare ad amare noi stessi, per come Dio ci ha fatti, non come vorremo ci avesse fatti. Noi spesso invece entriamo in conflitto con noi stessi e con la nostra natura limitata e per questo cerchiamo continuamente di invadere il campo altrui, così sfruttiamo il mondo, ci affanniamo nel costruire realtà e situazioni che appagano le nostre insoddisfazioni ed in quietudini, disprezziamo l’altro e cerchiamo di sottometterlo, in ultima analisi presumiamo di costruire la nostra felicità senza Dio.
Torniamo, però, in questo modo all’inizio: nessuna conversione, nessuna metanoia può iniziare se non dalla consapevolezza di un amore pieno che Dio ci elargisce sempre e comunque nella situazione concreta in cui ci troviamo.
Fratelli miei, sapremo essere cenere, cioè concime di vita per noi stessi e per tutti, solo quando ci saremo lasciati condurre nel deserto, avremo lasciato a Dio la libertà di parlare al nostro cuore per attirarci a sé; avremo imparato ad abitare nel deserto, come il limite gioioso che ci fa tenere il cuore aperto a Dio e all’altro. Lì, in quel deserto – mid-bar – allora saremo noi stessi la parola – da-bar – che Dio pronuncia dinanzi al mondo: ed è una parola di vita, di pienezza, di libertà, di rinascita, di dono e di amore!
4) Una parola per Emiliano.
E adesso mi rivolgo a te, caro fratello Emiliano. Talvolta nel deserto ci si viene spinti, spinti nel deserto del rifiuto, della esclusione, della emarginazione, della persecuzione. È sotto gli occhi di tutti che godi di un dono specifico: la creatività. È con essa infatti che hai saputo reinterpretare la tua vita a seguito di forti spinte. Ora il Signore ti dice: Emiliano, faccio per te una cosa nuova, nel deserto dove sei stato spinto ti apro una strada nuova. Tieni ben presente, figlio mio, che questa strada è nuova! Non misurarla o comprenderla in base alle esperienze del passato. Apriti con la tua bella creatività all’avventura di una nuova prospettiva di vita alla quale Dio ti sta chiamando ovvero di misurarti e discernere sulla radicalità di una scelta esistenziale: la tua vita nella nostra Famiglia monastica. Tu ami l’esercizio fisico, il Noviziato sia per te la palestra dove giorno dopo giorno ti alleni all’obbedienza, alla conversione dei costumi e alla stabilità nelle relazioni con i fratelli e le sorelle della nostra Comunità per giungere con convinzione e libertà di mente e di spirto al giorno della tua professione religiosa. Emiliano, non te ne accorgi? Il deserto in cui sei stato spinto è diventato una nuova strada! Non avere timore, chi ama non ha timone (cf 1Gv, 4-18), goditi l’amore di Dio, della strada che ti ha spianato, dei compagni di viaggio. Amen.
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