"Eucharistomen è l’inno di lode che sale al Dio vivente, il Quale si degna di piegarsi sulla nullità dei suoi servi. Così Martin Lutero traduce il Magnificat (cf Lc 1, 46-56) di Maria di Nazareth. Nello scorrere degli anni e dei tempi, è la fedeltà dell’amore di Dio, è la irrevocabilità dei suoi doni e della sua chiamata che ci dà la forza ed il sostegno necessari a camminare e servire con gioia, nell’Opera che Egli ci ha affidati. Solo la consapevolezza, intima e spirituale, che è Dio la fonte della nostra chiamata e del nostro servizio ci tiene saldi nella fedeltà del cammino e del ministero". Queste le parole con cui l'Abate ha introdotto il suo discorso di ringraziamento al termine della Celebrazione.
Martedì 11 ottobre alle ore 19.30, presso Villa Pantaleo in Taranto, la Comunità della Christiana Fraternitas si è stretta attorno al suo pastore dom Tonino nella Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per ringraziare il Signore del Ministero Abbaziale conferitogli quattro anni or sono dal suo Ordinario.
Hanno preso parte alla preghiera tre presbiteri della Chiesa Cattolica Romana e il Maestro Ghesce Gnyma Tsultrim del Centro Buddista di Taranto.
Anche quest'anno il Sindaco della Città di Taranto, dott. Rinaldo Melucci, non ha fatto mancare la sua vicinanza inviando l'Assessore ai Servizi Sociali e all'Integrazione, la dott.ssa Maria Immacolata Riso.
Presente anche la dott.ssa Simona Scidone, Capoarea dei Sevizi Sociali dell'Ufficio Esecuzioni Penali Esterne in Taranto del Ministero della Giustizia con il quale ufficio la Christiana Fraternitas collabora.
Il ministero liturgico del canto e della musica è stato svolto dalla Schola "Santa Cecilia" della Parrocchia di Sant'Arcangelo invita dal proprio parroco per la stretta amicizia tra le Comunità.
L'omelia è stata tenuta da don Matteo prof. Monfrinotti,
docente di Patrologia
Le letture proclamate sono state:
Ger 3, 14-17; Salmo 18; IPt 5, 1-4; Gv 10, 1-6.
Il testo evangelico di questa Celebrazione che abbiamo ascoltato contempla e ci fa contemplare il risorto quale pastore: E nessuna immagine di Cristo nel corso dei secoli è mai stata più cara al cuore dei cristiani di quella di Gesù Buon Pastore; una delle primissime raffigurazioni che noi troviamo nell’arte figurativa cristiana - pensiamo anche alle raffigurazioni all’interno delle catacombe - ci presenta Gesù proprio come il Buon Pastore. E l’idea fondamentale espressa in tutta questa tradizione che raffigura Cristo Buon Pastore, l’idea fondamentale è presentare Gesù come il salvatore delle pecore. Gesù conduce i suoi al di là della morte, verso i pascoli celesti nella casa del Padre. Ma per meglio cogliere la portata del passo evangelico che abbiamo ascoltato è necessario inserirlo, rileggerlo all’interno della grande sezione alla quale questo testo di Giovanni appartiene. Siamo in una parte del Vangelo particolarmente significativa. Dal capitolo sette al capitolo decimo noi siamo di fronte a una parte significativa del racconto della vita pubblica di Gesù. Gesù si trova insieme ai suoi discepoli a predicare il messaggio centrale del suo insegnamento, la motivazione profonda per la quale lui è venuto, e evidentemente tutta questa sezione culmina nel suo rivelarsi come il nuovo tempio di Gerusalemme. E pensate che questi quattro capitoli, dal sette al decimo, sono tutti capitoli contraddistinti come una unità narrativa, sia dal punto di vista geografico che dal punto di vista cronologico, perché Gesù in questa sua predicazione si trova sempre a Gerusalemme, si trova vicino al tempio e tutto si svolge sempre nel tempo della festa dei Tabernacoli, una festa alla quale gli ebrei erano particolarmente legati. Quindi è chiaro che l’evangelista Giovanni, nel consegnare questo insegnamento di Gesù, lo sta contestualizzando, e la contestualizzazione, carissimi, è quella della rottura profonda di Gesù nei confronti del mondo giudaico. Era la religione di Gesù, era la religione nella quale Gesù è cresciuto, è stato educato. E Gesù proprio attraverso questi discorsi, di cui noi oggi abbiamo ascoltato solo la parte finale del capitolo decimo - abbiamo ascoltato solo alcuni versetti del capitolo decimo - con tutto il discorso dal sette al decimo, Gesù vuole dire “guardate, quanto fino adesso vi è stato insegnato è un messaggio incompleto, quel messaggio deve essere completato, deve essere portato a compimento proprio grazie al mio insegnamento”. E quindi noi dobbiamo inserire il tutto proprio in questa polemica forte di Gesù nei confronti del mondo giudaico.
E in maniera particolare del testo ascoltato io vorrei soffermarmi su tre punti, per comprenderli meglio e per poi leggerli alla luce della nostra vita, evidentemente.
Il primo è quello del recinto. Abbiamo ascoltato all’inizio del testo evangelico, Gesù parla del recinto delle pecore, e la traduzione del recinto delle pecore diciamo che può sviarci dal significato profondo di questo testo. Infatti il termine greco, il termine αὐλή che è alla base del recinto, all’interno della scrittura è utilizzato molte volte, 117 sono le volte, e nella stragrande maggioranza dei casi in cui questo termine è utilizzato non vuole indicare il recinto delle pecore così come noi ce lo possiamo immaginare, ma sta ad indicare il luogo del tempio, con precisione una parte del tempio, il vestibolo; era quella sezione del tempio che si trovava di fronte ai tabernacoli, uno dei luoghi più sacri del tempio di Gerusalemme. Quindi Gesù nel momento in cui parla del recinto ha in mente, e coloro che lo ascoltano evidentemente allo stesso modo, ha in mente proprio questa sezione del tempio. Una sezione del tempio verso la quale egli entra in polemica, con la quale egli entra in discussione. Infatti, e questo è il secondo punto del testo evangelico che vorrei evidenziare, Gesù invita, se avete fatto caso, ad uscire dal recinto. Gesù invita ad abbandonare questo luogo. Il significato dell’uscire era un gesto particolarmente caro a tutta la tradizione biblica e giudaica. Il popolo di Israele era uscito dall’Egitto, proprio grazie all’opera grandiosa che Adonai aveva compiuto nei suoi confronti. Ma non solo, Dio aveva manifestato il suo amore, la sua provvidente presenza nel popolo di Israele anche durante l’esilio, aveva liberato Israele dal dominio, [Es 3,10; 6-27] dalla prigionia e aveva permesso a Israele di uscire dall’esilio per tornare, evidentemente, nella terra promessa. Quindi Dio nei confronti di Israele era stato colui che l’aveva fatto uscire, che lo aveva portato alla liberazione, alla libertà, in una condizione dove poteva riconoscersi un popolo degno. Gesù, che vuole rompere con la tradizione giudaica, che cosa dice: “bene, voi in questo momento siete chiamati ad uscire da quel luogo chiuso del tempio, del recinto delle pecore”. Gesù quindi al popolo di Israele, a coloro che lo ascoltavano, evidentemente sta dicendo “la tradizione che fino adesso ha caratterizzato la vostra vita, il vostro modo di relazionarvi, con gli altri, con Dio, con le vostre tradizioni religiose è una forma che deve essere abbandonata e superata”. Uscire da questa chiusura che contraddistingueva la condizione degli Ebrei.
Ed ecco che, arriva il terzo punto, Gesù porta a compimento questo suo discorso, il recinto, l’uscire dal recinto, Gesù stesso a questo punto si presenta come la porta per le pecore stesse. Tra Gesù e i suoi sono ora abbozzati i nuovi rapporti, dicevo abbandonare la condizione precedente per accogliere una nuova condizione, contraddistinta da quella novità relazionale che Gesù stesso vuole instaurare. Le pecore ora devono entrare attraverso la porta, e la porta non è più il rito del tempio, non è più un luogo, come poteva essere il vestibolo e il recinto. La porta in questo momento è la vita stessa di Gesù, è la vita nuova. Ma Giovanni in questo testo evangelico non lo dice, sottolinea come entrare in Gesù non significa semplicemente aderire al suo insegnamento. Perché, vedete, aderire ad un insegnamento il rischio è di mantenersi a un livello meramente etico e morale. Ma la vita di Cristo è qualcosa di più grande di una morale, non sono soltanto dei comandamenti da eseguire, aderire a Cristo è una scelta esistenziale.
Ed ecco allora che Gesù, nel momento in cui si presenta come porta, chiama i suoi ad una relazione con lui; ma ad una relazione che non è univoca, perché è una relazione vissuta anche con il Padre stesso nello Spirito. Quindi l’immagine della porta è l’immagine di una relazione, di un rapporto, con una realtà - permettetemi di dire - con una realtà comunitaria. Che è la comunità della trinità del Padre, del Figlio, nello Spirito.
Ecco allora il recinto, l’abbandono del recinto, la scelta di entrare attraverso la porta, questi tre elementi, sono quelli che caratterizzano in maniera particolare la prima parte del testo che è stato proclamato, dove Gesù quindi si presenta come mediatore, attraverso la porta, una mediazione che fa entrare e dà accesso ad una forma nuova relazionale. Come dicevo prima completamente diversa rispetto a quella che l’ebreo poteva costruire all’interno del tempio, all’interno del rito e del culto giudaico.
Recinto, uscire e porta, i tre termini che mi sembrano particolarmente rilevanti.
A questo punto il secondo passo che vorrei fare con voi è quello di vedere come questi tre termini, queste tre parole chiave del testo evangelico hanno una rilevanza per noi. Abbiamo cantato insieme, nel canto che introduceva la proclamazione della Parola, che Cristo è la luce della nostra vita, lumen vitae, noi cantavamo, Christe lux mundi, lumen vitae: e quindi ogni testo per ciascuno di noi si configura come un testo, una parola che illumina la nostra vita
Altrimenti noi saremmo qui a fare semplicemente una lezione di scrittura, non è questo evidentemente il nostro recinto.
Il recinto. Parto proprio da questo aspetto. Credo che l’immagine del recinto ricordi in qualche modo a ciascuno di noi come spesso nella nostra vita, nella quotidianità del nostro vivere, ci possiamo riconoscere prigionieri, prigionieri legati alle nostre catene. Certamente c’è una prigionia - se noi vediamo nel contesto nel quale ci troviamo, quella della secolarizzazione - che non porta tanto al rifiutare Dio, - ormai la secolarizzazione sotto questo punto di vista non si caratterizza come rifiuto di Dio - quanto piuttosto nel vivere come se Dio non ci fosse, come se la nostra vita non fosse abitata dall’amore e dalla tenerezza di Dio.
Ma, vedete carissimi, c’è una prigionia, c’è un recinto ancor più grande di quello della secolarizzazione, del mondo esterno, è il recinto della prigionia che noi stessi costruiamo intorno a noi. E’ la prigionia del nostro egoismo, della nostra incapacità ad amare, è la prigionia della nostra autoreferenzialità, che continuamente si oppone al riconoscere l’altro come un dono nella mia vita. L’altro non è semplicemente la persona da incontrare, l’altro è il dono che Dio ha preparato per me. Questa ovviamente è una logica di continua estroversione, cioè una logica che continuamente mi spinge ad uscire da me stesso per incontrare l’altro, riconoscendolo come dono. E’ la prigionia del silenzio assordante del nostro cuore, perché soltanto quello che noi proviamo, quello che noi sentiamo è rilevante; e diventiamo così sordi, invece, di fronte al grido, alla richiesta di aiuto della persona che ci è davanti. La prigionia dei nostri preconcetti, delle nostre durezze relazionali. Quante volte i nostri preconcetti ci condizionano nelle relazioni, e ci impediscono di costruire relazioni. Questo è il nostro recinto, queste sono le diverse forme di prigionia delle quali spesso noi siamo i primi costruttori. Ed ecco allora che di fronte a queste prigionie oggi l’immagine della porta è una immagine che invita ciascuno di noi ad un rinnovamento profondo del nostro vivere. L’immagine della porta è immagine della chiusura e dell’apertura, della intimità e della relazione, della protezione e, allo stesso tempo, dell’esposizione. E’ l’immagine di Gesù che vuole dire a ciascuno di noi, che vuole indicare a ciascuno di noi di uscire dalle nostre prigionie, per poter intraprendere una vita nuova. Quella vita che lui stesso ci dona, nella quale lui stesso ci fa entrare. E’ la vita della continua ricerca dell’altro, è la vita del continuo riconoscere il grande dono d’amore che Dio fa al nostro quotidianità. Un amore che non sarebbe vero se non si concretizzasse nei tanti eventi, nei tanti gesti, nelle tante relazioni che ciascuno di noi ogni giorno ha la grazia, ha la possibilità di vivere. E’ la logica, ripeto, della estroversione, dell’uscire da noi stessi per poter cogliere tutta la ricchezza che il Signore continuamente e in maniera instancabile ogni giorno vuole donarci. Dobbiamo vigilare perché, ripeto, molto spesso siamo noi stessi a voler rimanere prigionieri. Il Signore ci chiede invece, e ci dà la forza, la grazia di abbandonare questa prigione per poter, insieme, godere del suo amore. Della sua tenera presenza.
Mi piace concludere con una frase di Ignazio di Antiochia. Ignazio di Antiochia è uno dei primissimi autori cristiani, probabilmente è stato martirizzato a Roma nel 114.
Ignazio scrive sette lettere. E’ riconosciuto dalla tradizione cristiana come il Doctor unitatis, il dottore dell’unità, perché nella sua predicazione, nelle sue lettere continuamente, in maniera instancabile, ha invitato le comunità a mettere al loro interno quella comunione divina rappresentata dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito. E Ignazio coglie l’immagine di Cristo e così egli scrive: “Cristo è la porta del Padre, attraverso la quale entrano Abramo, Isacco e Giacobbe, i profeti, gli apostoli e la chiesa” (Ai Filadelfesi IX,1).
Cristo è la porta del Padre, è la porta che ci dà accesso non ad uno spazio, ma ad una relazione. Ma in questa relazione non ci siamo noi e Dio, in questa relazione ci sono tutti i nostri fratelli, Abramo, Isacco e Giacobbe, i profeti, gli apostoli, cioè coloro che sono venuti prima di noi. Ma poi c’è tutta la chiesa, una chiesa pellegrina nel tempo, che cammina e che cerca di vivere il comandamento dell’amore così come Gesù ci ha insegnato.
Due nuovi Consultori per il Collegio dei Consultori del Capitolo Apostolico
Al termine dell'omelia l'Abate ha annoverato tra coloro che consigliano il direttivo due nuovi membri. Si tratta di Michele Formisano il quale è stato nominato Consultore per la Pastorale inclusiva e i rapporti con le persone e le famiglie LGBTQ+ e di Angela Pietra Blasi per i rapporti con gli Enti associativi e la diffusione della cultura religiosa della Christiana Fraternitas.
Gli auguri da parte di tutta la Famiglia della Christiana Fraternitas rivolti dal neo Consultore Michele Formisano
Reverendissimo Abate, caro amico dom Tonino, "le pecore, lo seguono, perché conoscono la sua voce".
Ecco, oggi siamo qui a ringraziarTi perché in Te e grazie a Te abbiamo riconosciuto nuovamente la voce del Signore, che parla attraverso la Parola.
La Tua pragmaticità ed il Tuo quotidiano impegno al servizio degli ultimi è sempre un grande monito per tutti noi. Il Tuo amore e la Tua continua vicinanza agli esclusi, è emblema di quel Dio prossimo che non si nega a nessuno.
Grazie a Te io ho riscoperto la fede. E Ti ringrazio immensamente per il prestigioso e oneroso incarico che hai voluto amorevolmente conferirmi insieme ad Angela.
Una cosa è certa ed io ne sono testimone: la Tua comunità è oggi un porto sicuro per Tutti noi, per tutti quelli che travagliati dalle tempeste della vita qualvolta perdono di vista la giusta direzione. Un porto dove nessuno si sente ospite, ma tutti sono parte di una grande famiglia. Una famiglia che sotto la Tua saggia guida segue solo la voce di Cristo.
Oggi, dunque, rendiamo grazie a Dio per il Tuo ministero abbaziale ed io Ti porto l'augurio dei Tuoi Monaci, dei Consultori del Capitolo Apostolico, dei Pastori oggi qui presenti e di quanti sono giunti per ringraziare Dio e festeggiarTi.
Siamo tutti qui per dirTi semplicemente: Grazie dom Tonino!
L'augurio del Sindaco di Taranto, dott. Rinaldo Melucci, per mezzo della sua rappresentante: l'Assessore alle Politiche Sociali e d'Integrazione
la dott.ssa Maria Immacolata Riso.
Buona sera a tutti, buona sera dom Tonino. Io sono qui per portarvi i saluti del Sindaco e vi ringrazio per averci resi partecipi di questo momento così importante. Giusto qualcosa che mi ha colpito moltissimo, e sono le parole di dom Tonino nel momento in cui dice “rientrare in se stessi significa riscoprire l’energia e la potenza di vita che ciascuno, nessuno escluso, si porta dentro”; questo in virtù di quanto si è detto prima - cioè dell’"essere prigionieri, prigionieri di tanti vincoli, di tanti pregiudizi" -, e anche in virtù della capacità di uscire da questa prigione attraverso quello che è il sentiero segnato da Dio: passare attraverso il Cristo per arrivare a Lui e soprattutto per far esplodere la nostra capacità di amore e di essere portatori di pace, soprattutto in un momento così delicato per tutta la nostra umanità. Quindi penso che questi siano i concetti importanti ed essenziali su cui riflettere; e soprattutto con questa nostra presenza dimostriamo anche la sensibilità del Sindaco verso la vostra Comunità e ancora una volta vi ringraziamo per averci invitati.
Discorso di ringraziamento del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella
Eucharistomen: rendiamo grazie!
Questa parola di Paolo, che troviamo nel primo capitolo della sua lettera ai Colossesi (1, 3), chiude la preghiera che ho composto per il giorno della solennità del Corpo e Sangue del Signore e che ho deciso di divulgare nella “immaginetta ricordo” per il IV anniversario della mia Benedizione Abbaziale e del Ministero pastorale che svolgo per questa Comunità ecclesiale.
Ed è con questa parola – che racchiude molteplici significati – che voglio salutare e ringraziare tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, carissime amiche ed amici.
Eucharistomen è l’inno di lode che sale al Dio vivente, il Quale si degna di piegarsi sulla nullità dei suoi servi. Così Martin Lutero traduce il Magnificat (cf Lc 1, 46-56) di Maria di Nazareth. Nello scorrere degli anni e dei tempi, è la fedeltà dell’amore di Dio, è la irrevocabilità dei suoi doni e della sua chiamata che ci dà la forza ed il sostegno necessari a camminare e servire con gioia, nell’Opera che Egli ci ha affidati. Solo la consapevolezza, intima e spirituale, che è Dio la fonte della nostra chiamata e del nostro servizio ci tiene saldi nella fedeltà del cammino e del ministero.
Eucharistomen – rendiamo grazie a tutti voi, che oggi siete il segno della vicinanza di Dio alla mia vita e al mio ministero.
Voglio esprimere la profonda gratitudine per la vicinanza dell’Amministrazione comunale di Taranto e del Sindaco Rinaldo Melucci, che ci ha inviato – quale sua Rappresentante – l’Assessore ai Servizi Sociali e all’integrazione, la dott.ssa Maria Immacolata Riso. Questa presenza ci ricorda la serietà dell’impegno politico e amministrativo, proprio a poche settimane dalle elezioni in cui si è registrata nuovamente, purtroppo, un’alta percentuale di astensionismo, che potrà essere superata solo ritrovando una nuova alleanza tra la politica e la cittadinanza. Occorre – a mio parere – avere il coraggio di rifondare le esperienze ed i movimenti politici, partendo dal basso, dalla creazione di una cultura politica, una cultura di partecipazione concreta e fattiva, una cultura del bene comune. La politica – se vuole tornare ad essere la forma più alta e nobile di carità, ovvero la cura per il bene comune – deve ripartire proprio dalla vicinanza, dalla prossimità e dall’ascolto delle istanze concrete dei cittadini e delle cittadine. In quest’opera benefica di raccordo e di mediazione, carissima Assessore, noi – sebbene piccola Comunità - ci siamo, noi siamo disponibili. Abbiamo voglia di stare accanto all’Amministrazione per l’edificazione degli uomini e delle donne, del bene comune, partendo dalla nostra cara terra Jonica.
Eucharistomen – rendiamo grazie a Dio, per la presenza fisica e spirituale dei pastori e dei fratelli delle altre Comunità cristiane presenti nel territorio jonico, oltre regione e oltre nazione. Un sentito ringraziamento ai presbiteri della chiesa cattolico-romana qui presenti – don Gianni e don Antonio – e, in modo del tutto particolare, al carissimo ed esimio Prof. don Matteo Monfrinotti, docente di patrologia, che ci ha dato l’onore di spezzare per noi il Pane della Parola e della vita. A te, don Matteo vorrei esprimere questa gratitudine facendoti dono delle mie pubblicazioni: sono il tentativo di cercare Dio e le radici del cristianesimo per attingere al tesoro inestimabile della Rivelazione. Cari fratelli pastori, siete venuti da Roma e dalla Basilicata, per cielo e per terra ci avete raggiunto, affrontando anche sacrifici di levatacce, per tornare ai vostri ministeri. Grazie di tutto cuore!
Come non ringraziare, in modo del tutto particolare, don Adelmo ed il Coro “Santa Cecilia” della Parrocchia di Sant’Arcangelo che ci ha donato la grazia del bel canto per la gloria di Dio. Il nostro cuore vi è riconoscente per questo dono e per questo servizio che avete reso alla nostra Famiglia Monastica Ecumenica e ai fedeli che ci seguono in questa occasione ed invochiamo per voi, per le vostre famiglie e per la vostra Comunità parrocchiale ogni eletta grazia del Signore. Anche a voi, abbiamo voluto esprimere in una piccola forma concreta questo ringraziamento: abbiamo pensato ad una targa che ricordasse questa occasione per far si che in futuro se ne creino altre e altre ancora al fine di essere più credibili agli occhi del mondo come cristiani, che camminano assieme nella differenza che sanno fare della differenza un’opportunità: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 35). Grazie!
Eucharistomen – rendiamo grazie a Dio , per l’amicizia e, ci auguriamo presto, la collaborazione fraterna con il Centro Buddista di Taranto qui rappresentato dal Maestro Ghesce Gnyma Tsultrim. Anche la conoscenza di altre prospettive di ricerca ed altre esperienze di fede, diverse da quella cristiana, ci arricchisce profondamente e ci unisce nella fratellanza umana.
Eucharistomen – rendiamo grazie a Dio, per i Consultori del Capitolo Apostolico (Consiglio dell’Abate) che offrono il consiglio e la collaborazione, nei diversi campi religiosi, culturali e sociali del nostro impegno. Oggi, in questo mondo profondamente interdisciplinare e profondamente specializzato, una comunità religiosa, che voglia seriamente essere impegnata nella costruzione del Regno di Dio, non può procedere “a vista”, a “tentoni”, su saperi e modi di vedere vetusti, senza dotarsi di collaborazioni e competenze e senza valorizzare la conoscenza di ciò che non è di sua immediata pertinenza. Cari Consultori – ai quali oggi si sono aggregati i carissimi Michele ed Angela, - grazie per il vostro contributo e per l’impegno generoso che profonderete per una più decisa ripresa, dopo la pausa forzata della pandemia. Una particolare parola di gratitudine – affettuosa – va ai nostri meravigliosi Anfitrioni, ormai Decani del Collegio dei Consultori: i coniugi Gerardo e Matilde Di Benedetto che non ringrazieremo mai abbastanza per la amabile generosità con cui ci aprono le porte della loro casa, questa splendida Villa Pantaleo, inestimabile gioiello di eleganza e bellezza, racchiuso nello scrigno della nostra bella Città. Non posso non citare i Consultori in pectore che nel silenzio si spendono senza risparmiarsi al fine di promuovere il carisma e la spiritualità di questa Comunità Monastica Ecumenica in ogni modo possibile.
Eucharistomen – rendiamo grazie a Dio, per i responsabili di Istituzioni e Associazioni con cui collaboriamo ed abbiamo intessuto rapporti umani di amicizia, stima e condivisione. La dott. Simona Scidone, Capoarea del Servizio Sociale dell’ULEPE Taranto con il quale si è instaurata si dal nostro primo incontro una sintonia di animo e di mente ed anche una collaborazione con la nostra Comunità. Attraverso questo impegno possiamo compiere segni concreti di edificazione del sociale, per il reinserimento di chi ha sbagliato e per diffondere la cultura della legalità. Si tratta di un impegno dal valore altamente civico, ma anche profondamente profetico, perché ci permette di annunciare l’anno di grazia del Signore e la libertà ai prigionieri, come diceva Gesù citando il profeta Isaia (cf Lc 4); è presente il Presidente del Centro Servizi Volontariato, Francesco Riondino insieme a sua moglie Luisa, che ci permette di raccordarci alle forze buone e propositive, presenti nel nostro territorio; il Presidente della Pro Loco di Pulsano, Filippo Stellato, che ringrazio non solo per la collaborazione in diverse occasioni, ma anche per l’amicizia umana – insieme a Mattia – amicizia che è tanto cara al mio cuore. Vedi, Filippo? Non ti ringrazio quando facciamo iniziative in partenariato (per i “difetti” della mia memoria) e ti ringrazio oggi, anche per riparare all’involontario “torto” del passato… coraggio; la Presidente del Club Unesco per Taranto, la prof.ssa Carmen Galluzzo Motolese insieme a suo marito Edmondo, con la quale ci accomuna la convinzione che sia la cultura il vero motore di ogni ripartenza e, in modo speciale, una cultura inclusiva ed aperta alle differenze, Grazie alla dott. Angela Cafaro, Vicepresidente dell’Ordine dei dottori Commercialisti di Taranto che, nonostante gli impegni istituzionali fuori Città, si è resa presente tra noi - ormai puntuale a questo appuntamento annuale - insieme al dott. Angelo La Gioia. Grazie anche a voi poiché non avete mai fatto mancare il vostro competente e professionale consiglio alla nostra Famiglia Monastica con tutta generosità.
Eucharistomen – rendiamo grazie a Dio, per i miei fratelli e le mie sorelle, monache e monaci della Christiana Fraternitas, con cui vivo l’avventura e la sorte benedetta della chiamata del Signore nella vita monastica e per i quali esercito il Ministero della paternità abbaziale. Voi mi siete fratelli e figli; voi siete la porzione eletta del mio cuore, il dono di grazia più radioso che il Signore, Pastore dei Pastori, potesse fare a me e alla mia vita. Con voi condivido la quotidiana grazia della lode e del servizio del Signore e la fatica di mostrare che è possibile vivere insieme, diversi, senza essere divisi.
Eucharistomen – rendiamo grazie a Dio per tutti i nostri benefattori, piccoli e grandi, che ci consentono di sostenere le opere della Christiana Fraternitas. In modo particolare i nostri vicini ed amici di Lido Azzurro. A Mimmo Bianchi l’afflato spontaneo della nostra riconoscenza per un’opera, che presto vedrete con i vostri occhi, per la quale non esistono parole sufficienti di gratitudine! Al caro Pino Girolamo, solerte e nostro S.O.S. in tante situazioni di pasticcio pratico a cui, tecnicamente incapaci, non riusciamo a provvedere da soli… Grazie!
Eucharistomen – rendiamo grazie a Dio per ciascuno di voi: avrei molti motivi per citare in questi ringraziamenti ogni persona presente qui stasera ma il tempo non ce lo consente. Grazie a tutti voi, fratelli, sorelle, amici ed amiche, che ci fate dono della vostra presenza e della vostra condivisione non solo in questa occasione, per i legami di fraternità spirituale e di amicizia umana. Siete il lievito che fermenta la massa, il motivo delle nostre occupazioni e preoccupazioni pastorali, ma ancor di più il motivo della gioia del nostro donarci al servizio di Dio e del suo Regno. Amen!
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