"Se la mia vita è il tempo favorevole, in cui il Regno di Dio si è avvicinato a me, allora la Comunità è il luogo favorevole di questa prossimità. Nessuno crede da solo o si salva da solo!". Sono queste alcune parole dell'omelia dell'Abate Antonio in occasione della Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola e la commemorazione della Cena del Signore per la Solennità.
Sabato 23 gennaio 2021, presso la Cappella della Casa d'Amministrazione
Testo integrale dell'omelia
del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella
Testo di riferimento Mc 1, 14-20
Carissime Sorelle e carissimi Fratelli, Cari Amici,
oggi celebriamo il dono del tempo! Sì, il tempo! Uno dei doni più preziosi, eppure anche evanescenti, che Dio ci ha dato. Celebrare un anniversario – come il quarto della Fondazione della Christiana Fraternitas – vuol dire prendere coscienza del tempo: del tempo che ci è stato donato e di come lo abbiamo vissuto; del tempo che scorre e della qualità che noi – con le nostre scelte e con il nostro impegno – abbiamo dato a quello scorrere del tempo. Esiste un tempo usato ed un tempo perso, un tempo proficuo ed un tempo inutile, un tempo che stanca ed un tempo che rigenera e rinnova. Sta sempre a noi decidere! Rimanere inerti non ci è permesso né come uomini e donne, né come monaci. Infatti nostro padre Benedetto, nel capitolo 48 della Regola, sentenzia: l’ozio è nemico dell’anima!
La qualità ed il valore del tempo risiedono in noi ed in ciò che scegliamo come senso e valore assoluto del nostro tempo.
Il brano dell’evangelo secondo Marco, che abbiamo appena ascoltato, sembra quasi un dono della premura di Dio. Si tratta della chiamata dei primi discepoli di Gesù ed è una scelta che lui stesso fa, subito dopo aver annunciato il compimento del tempo e la vicinanza del Regno di Dio.
Sappiamo che l’evangelista Marco ama essere sintetico ed andare subito al punto. Ed anche in questo brano, in cui ci offre le coordinate del vero discepolato di Gesù, fa la stessa cosa.
Dopo il suo battesimo e le tentazioni, Gesù dà inizio all’annuncio del vangelo di Dio, che Marco sintetizza con queste parole: il tempo favorevole è giunto a pienezza e il regno di Dio si è avvicinato: convertitevi e credete al Vangelo (1,14). Ora cerchiamo insieme di entrare nella grazia di ciascuna di queste parole.
1. Il tempo favorevole
Il tempo favorevole è giunto a pienezza: il testo greco non usa la parola kronos (che potrebbe essere tradotta semplicemente tempo), ma la parola chairós (che è il tempo di grazia, il tempo di Dio che irrompe nella storia umana, è il tempo del favore di Dio verso gli uomini e le donne). Si tratta come di uno squarcio nel tempo umano attraverso il quale Dio entra con la sua grazia e trasforma la vita. L’immagine dello squarcio era già stata usata da Marco, nell’episodio del battesimo: vide il cielo squarciato (1,10) e lo Spirito discendere. La stessa immagine tornerà, alla fine del vangelo, quando alla morte di Gesù il velo del tempio si squarcerà dall’alto in basso (15,38), scoprendo alla vista di tutti ciò che era proibito guardare: il Santo dei Santi. Ogni volta che Marco usa il termine o l’immagine dello squarcio ci troviamo dinanzi ad un evento epocale che cambierà radicalmente la storia umana e la storia delle singole persone coinvolte. Tuttavia, perché il tempo favorevole possa essere efficace ed operare la grazia del tempo e della vita è necessario che di esso ci si renda consapevoli e che esso venga accolto. Se c’è una cosa che può farci sprecare la grazia è la disattenzione, l’apatia, la non curanza, il vivere le cose come una stanca, noiosa e pesante routine. Solo un cuore aperto e disponibile alle sorprese di Dio sa guardare al tempo come ad una grazia, cioè come al tempo del favore, della benevolenza di Dio verso ciascuno.
È per questo motivo che Gesù dice che il tempo favorevole è giunto alla sua pienezza, attraverso la sua venuta in mezzo a noi, e che il Regno di Dio si è avvicinato. Ciò che era distante e separato, fino a quel momento, da quel punto in poi è divenuto prossimo! Accoglie il tempo favorevole chi si accorge del dono della prossimità del Regno. Non si tratta di convertirsi per accogliere il Regno, si tratta di accorgersi che il Regno è qui, già adesso, e quindi – ma solo di conseguenza – convertirsi, ovvero cambiare parametri di giudizio e stili di vita perché essi risplendano della luce del Regno.
La condizione imprescindibile, tuttavia, è accorgersi del Regno, rendersi conto che il Regno è ed è qui ed è adesso. Anche l’apostolo Paolo ci ricorderà quanto decisiva sia questa consapevolezza: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno! (Rm 13,11); e, tanto più decisiva è per noi monaci, che il padre Benedetto ci ha impressa questa stessa espressione nel Prologo dellaRegola. Non perché monaci e monache possiamo esimerci dal verificare quanto questo restar desti si realizzi concretamente nel nostro quotidiano, nel tempo che inesorabile ci vien donato. Anzi forse proprio perché cerchiamo di stare alla sequela di Gesù questa è una verifica da compiere costantemente. La tentazione del sonno non guada in faccia a nessuno. Nei momenti della massima rivelazione di Gesù, della sua divina identità, della sua missione, i discepoli si sono lasciati sopraffare dal sonno o da qualcosa di simile: così alla trasfigurazione sul Tabor (cf Mt 17,7: risvegliatevi) così nell’orto degli ulivi (cf Mc 14,37). L’ostacolo al Regno per il discepolo non è il peccato, né il rifiuto, ma l’indifferenza sonnolenta, che è una tentazione specifica di chi ha iniziato a seguire Gesù. Quando ci si lascia sopraffare dal sonno, tutto scorre come se non ci riguardasse: le cose, gli eventi, le occasioni, le opportunità, le sfide, le prove… tutto ci scorre sulla pelle senza lasciare traccia: è il sonno del cuore, dell’anima, è il sonno dello spirito umano dal quale occorre necessariamente destarsi. Senza questo deciso risveglio il tempo smette di essere vissuto come tempo di grazia, tempo favorevole e torna ad essere subito l’inesorabile, quanto insignificante, scorrere dei minuti e delle ore…
L’inizio del ministero di Gesù e le prime parole del suo annuncio, quindi, sono un invito a svegliarsi gioiosamente, perché il Regno di Dio si è avvicinato a noi e ci è messa davanti la scoperta meravigliosa che la vita ed il tempo – pur faticosi – se vissuti con Gesù ed in Gesù, sono una grazia infinita, sono il bene più prezioso che non possiamo in alcun modo sprecare!
2. La Comunità: il “luogo” favorevole
Solo dopo Gesù chiamerà i suoi primi discepoli, perché sa che, se qualcuno deve seguirlo, deve farlo perché ha scoperto la forza del suo vangelo, la capacità che lui e la sua parola hanno di dare nuovo slancio alla vita, nuovo senso alla vita, anzi pienezza di vita! Sì, perché seguire Gesù vuol dire decidere una volta per tutte non di sopravvivere, non di stiracchiare la vita, ma di viverla in pienezza, o – come oggi si direbbe – di viverla a mille!
Desta una qualche sorpresa che sin dall’inizio Gesù decida di chiamare e riunire attorno a sé una comunità, i suoi discepoli. Nel nostro immaginario, Lui, il Figlio di Dio potrebbe non avere bisogno di nessuno. Ed, invece, sin da subito coinvolge delle persone, perché condividano la vita con lui e, solo dopo, continuino la sua opera. Nessuno basta a se stesso, neppure il Figlio di Dio! Così, anche la compagnia umana, la comunità è un dono della grazia di Dio. Con-dividere, con-laborare, con-patire, con-unità: questa è la strada che Gesù ha scelto per annunciare il tempo favorevole, l’anno di grazia del Signore! Anche in questo caso, però, è necessario non farsi sorprendere dal sonno dell’anima! Un cuore spento guarda alla comunità come ad un impegno che si aggiunge ad altri impegni, ad una fatica che si aggiunge ad altre fatiche. L’esempio di Gesù, sempre in cammino, in costante movimento con i suoi discepoli, invece, ci dice un’altra cosa: la Comunità è la grazia benedetta che Dio si è degnato di donare alla mia vita perché io non sia solo, non mi senta solo! Sappiamo bene che non sono le difficoltà, né le sofferenze a farci paura: ciò che può farci veramente paura e paralizzarci è la solitudine! Se non siamo e non ci sentiamo soli, possiamo affrontare tutto! È per questo che noi celebriamo un anniversario di Fondazione: per ricordare anzitutto a noi stessi che la Comunità è un dono che Dio ha fatto alla nostra vita! Occorre, però, che convertiamo sempre il nostro sguardo, il nostro modo di pensare: spesso accade che nella vita comunitaria ci si senta chiamati a dare, a fare qualcosa. Così iniziano le rivendicazioni: io ho fatto questo, quest’altra cosa non è compito mio, ecc. ecc. Tutte cose che abbiamo visto ripetutamente. Questo accade quando si cede alla presunzione di essere un dono per la Comunità, dimenticando che è anzitutto la Comunità ad essere un dono per ciascuno di noi. Nella nostra Comunità monastica ecumenica, abbiamo deciso di scrivere a chiare lettere nel nostro Statuto che accogliere un fratello o una sorella significa cambiare: cambia chi è accolto, ma cambiamo anche noi che accogliamo. Solo così la Comunità diventa un dono per me e, di conseguenza, io lo divento per la Comunità, mettendo a suo servizio me stesso, i miei talenti, tutto me stesso. Se la mia vita è il tempo favorevole, in cui il Regno di Dio si è avvicinato a me, allora la Comunità è il luogo favorevole di questa prossimità. Nessuno crede da solo o si salva da solo!
3. La ordinarietà della vita: “spazio” favorevole
Come, dove e quando Gesù chiama i suoi discepoli? Marco dice: camminando… Gesù cammina sempre, in continuazione e tutto ciò che fa lo fa mentre cammina. Sembra quasi che la sua azione principale sia quella di camminare e che tutto il resto sia come un corollario, come un complemento esplicativo all’impegno prioritario: camminare per le strade. Del resto, anche l’Antico Testamento inizia con Dio che esce e cammina nel giardino in cerca di Adamo (cf Gen 3,8).
Gesù sta camminando sulle rive del lago e lì vede uomini ordinari, intenti ad azioni ordinarie, a fare ciò che di più normale esiste nella vita: lavorare. [O per lo meno dovrebbe esserlo! Oggi sembra quasi che il lavoro sia diventata l’eccezionalità. Preghiamo ed auspichiamo vivamente che chi regge le sorti della vita pubblica metta al centro della propria agenda politica il tema del lavoro, senza del quale non c’è dignità e sicurezza di vita].
È interessante notare che Marco non costruisce uno scenario straordinario per la chiamata: nessuna pesca miracolosa, per esempio! La chiamata avviene nella ordinarietà della vita. Ed anche le parole con cui essa si compie sono significative: vi farò pescatori di uomini (1,17). Gesù usa il linguaggio normale, comprensibile ai destinatari della chiamata che erano pescatori, si adatta al loro ordinario modo di parlare.
Gesù prende l’iniziativa e chiama ad un movimento: venite dietro a me. Ed anche la risposta dei chiamati si realizza sulla stessa linea: lasciando (le reti) lo seguirono. Questa chiamata non li colloca in un particolare stato di vita separato da quello comune, ma li immette in un dinamismo di movimento che Gesù aveva già iniziato.
Anche la missione e la responsabilità che dovranno assumersi (vi farò pescatori di uomini) non li porterà fuori del mondo, non li renderà partecipi della gloria e dei privilegi di una casta di eletti, ma li collocherà nelle strade del mondo, quasi in continuità con la vita precedente, dalla quale vengono ripresi i termini della pesca, ma in modo nuovo: non pescare per togliere la vita a favore di se stessi, ma pescare gli uomini per dare loro la vita!
Da questo momento in poi inizierà il camminare dei discepoli dietro Gesù, andando sulle strade del loro mondo, le loro strade, quelle conosciute e familiari, quella della vita quotidiana ma con un cuore ed un’anima nuovi. Non si tratta di fare cose nuove, ma di fare nuove tutte le cose, di farle in modo nuovo!
Miei cari fratelli e sorelle, monaci e monache, questo è ciò che è accaduto a noi. Abbiamo sentito nel cuore un bisogno, un desiderio: cercare Dio nella nostra vita e, nel cercarlo costantemente, nasceva in noi l’anelito dell’unità, perché chi cerca veramente Dio non può non cercare con altrettanta forza e slancio il proprio fratello e la propria sorella. Non ci siamo separati dal mondo, non ci siamo staccati dalle cose necessarie della nostra vita quotidiana. Ci siamo staccati e dobbiamo staccarci dalla sonnolenza della vita, per prendere sempre e in modo nuovo coscienza che la vita è una grazia che non possiamo sprecare, è un dono troppo grande che non possiamo lasciar correre senza consapevolezza. Non siamo chiamati a fare cose straordinarie, ma a rendere straordinaria la quotidianità della vita; non siamo chiamati a rendere miracolosi i nostri giorni, ma a vivere il miracolo dei nostri giorni; non siamo chiamati a stupire con opere meravigliose, ma a stupirci della meraviglia delle cose.
Sì, è proprio l’ordinarietà della vita, vissuta con la consapevolezza di essere discepoli di Gesù, ad essere per noi lo spazio favorevole che ci è stato elargito.
Auguro di cuore, a voi e a me, di non stancarci mai di camminare e di camminare dietro Gesù; auguro di tenere gli occhi sempre aperti, desti dal sonno, per essere pronti a riconoscere ed accogliere Gesù che passa sulle sponde del lago della nostra vita. Amen!
dom Tonino+
Qui sotto il video integrale
della Preghiera Capitolare per le Professioni
Al termine della Celebrazione il canto del "Te Deum"
Con le seguenti parole l'Abate ha invitato al canto di lode: "Uniamoci nella lode del te Deum per ringraziare il Signore per tutto quello che ci ha donato in questi primi quattro anni di cammino alla sua sequela, alla luce della sua Parola, per tutto quello che ci ha tolto per cui oggi ci riteniamo essere persone più libere, per tutto quello che ci ha promesso che mette in noi il seme della speranza che non spegne la nostra passione per continuare il nostro cammino di ricerca e vita piena".
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