Lunedì 15 aprile 2019 sarà inaugurato con la preghiera dei Pastori/e delle diverse Confessioni la nuova mensa del nostro abside
L’altare in una Chiesa Ecumenica: perché? Che bisogno c’è? Che senso ha?
L’Ecumenismo non è il luogo di una spogliazione per togliere tutto ciò che non è condiviso; ma è il luogo in cui ogni identità ha diritto di esistere assieme alle altre e in armonia con le altre. Tra le Chiese cristiane alcune hanno l’altare come luogo di celebrazione dell’Eucaristia, altre non lo hanno perché non celebrano l’Eucaristia. Queste ultime, poi, in alcuni giorni dell’anno fanno lo stesso una Commemorazione della Cena del Signore. Luogo veramente ecumenico è, quindi, quello che consente a tutti di sentirsi a casa. Chi celebra l’Eucaristia lo userà come altare e chi non ha Eucaristia semplicemente non lo userà o magari vi poggerà sopra il libro dei Vangeli, che hanno la centralità nella vita delle Chiese e nei loro culti. Così accade in ogni famiglia, nella quale i membri non sono identici e non si omologano, ma stanno assieme – ciascuno nelle sue peculiarità, magari sopportando qualche elemento proprio del fratello - proprio perché c’è un legame di amore che va sempre al di sopra e al di là di tutto.
Otre al nostro pensiero circa l'ecumenismo "di fatto" ci sono esigenze di carattere pragmatico che ci hanno spinto alla scelta di adeguare l'abside con una mensa. Il nostro Ordine oltre alle attività ecumeniche proprie fa assistenza spirituale ai fedeli anglicani (quindi che conservano la Celebrazione dell'Eucarestia) del territorio o che per lavoro e/o turismo passano dalle nostre parti. In oltre come Ordine Monastico Ecumenico offriamo il nostro luogo di Culto a tutte quelle realtà con corroborata tradizione per ritiri, celebrazioni del proprio Culto che per qualsiasi motivo ne facessero richiesta.
Quali significati ha l’altare nelle diverse Chiese che lo usano? Fondamentalmente sono due: il luogo dell’offerta del sacrificio e la mensa della comunione.
Luogo del sacrificio: questa espressione dà qualche problema in campo ecumenico. Anzitutto perché il sacrificio di redenzione è uno ed è quello che ha offerto Gesù con la sua vita sulla Croce. Quel sacrificio è stato offerto una volta per tutte ed è l’unico che dona la salvezza. E poi perché da questa teologia del sacrificio di Cristo è nato tutto un filone di pensiero che ha portato a parlare del sacrificio degli uomini per continuare o addirittura – come si diceva per un periodo – «per completare» il sacrificio di Gesù. Dal sacrificio nacque facile tutta la questione della salvezza che va meritata e conquistata, facendone perdere il carattere di gratuità e di universalità: la salvezza ci è donata ed è per tutti, non è da meritare e non è solo per coloro che pensano di meritarla. Queste interpretazioni teologiche oggi sono molto sfumate. È cambiato anche il modo con cui viene tradotto il famoso testo di Paolo in Colossesi 1,24: l’apostolo dice che con le sue sofferenze completa ciò che manca in sé dei patimenti di Cristo e non come prima veniva tradotto e compreso come se l’apostolo potesse completare una qual certa mancanza nei patimenti di Cristo. Questo scoglio ormai è stato abbondantemente superato. Questo testo parla delle progressiva assimilazione a Cristo dell’apostolo e della sua vita e non di un valore redentivo delle sofferenze dell’apostolo, come di ogni uomo. Rimane però una domanda: la precedente ed errata traduzione (con tutto l’impianto teologico che l’ha seguita) è imputabile all’altare? Cioè era colpa dell’altare se qualcuno comprendeva male il senso di sacrificio? Assolutamente no. È stata piuttosto la errata comprensione di quel testo a generare una errata comprensione dell’altare. Il sacrificio di Gesù è pieno, completo, definitivamente salvifico per tutti. Su quell’altare alcune Chiese ritengono di celebrare un memoriale e altre di vivere una commemorazione. Neppure il memoriale vuol dire un nuovo sacrificio ma significa rendere presente quell’unico e universale dono d’amore. C’è però un dato che rimane al di là delle differenze: sia che si celebri un memoriale sia che si celebri una commemorazione, nessuna Chiesa può fare a meno – a modo suo – di collegarsi a quell’evento. L’altare allora è uno strumento non pericoloso che ricorda a tutti i cristiani ed a tutti gli uomini di essere stati salvati dall’unica Croce di Gesù. E questo nessuna Chiesa potrà mai negarlo, a pena della sua stessa identità di Chiesa.
Mensa della Comunione: questo significato è quello meno crea problemi. L’altare è una tavola imbandita, la mensa a cui siedono tutti i fratelli perché nella comunione d’amore tra di loro possano fare esperienza dell’amore dell’unico Padre. E che l’altare porti con sé primariamente il significato dell’unione lo dimostra chiaramente Gesù quando, in Matteo 5,23-24 dice che condizione previa per presentarsi all’altare è la riconciliazione con il fratello. L’altare è allora il segno che ci ricorda costantemente – sia se usato sia se non usato – che nessuna comunione con Gesù può avvenire pienamente senza una altrettanto piena comunione con i fratelli. La piena unità e comunione tra i fratelli deve essere l’anelito di tutti i cristiani, che non devono lasciare nulla di intentato per favorire la ritrovata unità. Per sedersi alla stessa mensa, occorre accogliere un invito, fare una strada, entrare in un luogo. Questo può comportare rinuncia e fatica, che non devono essere un ostacolo, perché solo uscendo da se stessi per andare verso l’altro si possono creare le condizioni dell’incontro e della rinnovata comunione. Se è vero il desiderio dell’unità, allora nessuna fatica troppa, nessuna rinuncia è troppo grande, nessun cammino è troppo lungo.
L’altare della Casa di Preghiera della Christiana Fraternitas si inserisce, come vera e propria opera d’arte, in questo ricco simbolismo cristiano. Il nostro Abate, in quanto artista, ha ideato quest’opera con la collaborazione di un architetto e di artigiani finissimi della pietra, che si inserisce nel solco della tradizione ma risplende di una contemporaneità che alla sua vista ci mette tutti a proprio agio. La forma cubica: anzitutto non è una forma inventata ma essa porta con sé richiami biblici decisivi. Nell’Israel Museum di Gerusalemme si conserva un altare dell’VIII sec. A. C. Ed è esattamente di forma cubica. Il nostro altare quindi richiama le radici ebraiche della nostra fede ed esprime il nostro amore per i fratelli ebrei, giacché da essi abbiamo ricevuto le Scritture Antiche e da essi è nato il nostro Salvatore. I quattro lati di questo cubo, inoltre, si rivolgo ai quattro punti cardinali. L’altare è un centro propulsore che si proietta verso l’universalità del mondo perché – come abbiamo detto – la salvezza è rivolta a tutti gli uomini. Questo significato poteva essere reso anche con la forma di un parallelepipedo, ma in questo caso sarebbe mancato un elemento importante: l’uguaglianza dei lati. I quattro lati uguali infatti ci ricordano non solo l’universalità della salvezza, ma anche che essa è offerta e donata a tutti in modo uguale, senza che nessuno possa sentirsi più salvo o più santo dell’altro. Tutti siamo ugualmente salvati e giustificati, tutti siamo ugualmente amati, tutti siamo ugualmente chiamati ed eletti. Inoltre, la regolarità dei lati di questa mensa crea una equidistanza dal centro. Chiunque sieda a questa mensa è ugualmente distante (o ugualmente vicino) al centro. Il centro è Gesù che effonde su ogni creatura la pienezza del suo amore e della sua salvezza ed essi sono ugualmente riversati da ogni parte e verso chiunque. Così commentava già un autore cristiano. Del XV sec., Simeone di Tessalonica: «La mensa è quadrata, perché da essa si sono nutrite e sempre si nutriranno le quattro parti del mondo; alta e rivolta verso il cielo, perché il suo mistero è alto e celeste e del tutto trascendente la terra». Ispirato da questa frase, il progetto, ha previsto che il masso cubico della Mensa fosse sollevato al quanto da terra. Questo altare si mostra come un masso unico, come una pietra compatta per ricordare a tutti che l’unica pietra angolare, l’unica pietra su cui si fonda la Chiesa ed ogni Chiesa è il Signore Gesù, scartato dai costruttori ma divenuto pietra fondamentale (cf Mt 21,42; Mc 12,10; Lc 20,17-18; At 4,11; Ef 2,20). Infine, sono presenti delle incisioni: 1. sul piano d'appoggio vi sono incise cinque croci che rimandano alle piaghe del Redentore e che quindi marcano ancor di più il concetto cristologico della "pietre". 2. Mentre nella parte sottostante dei quattro prospetti, come un anello, vi è una frase: "AD MMXIX - I Ep. di Mark Edington l'Abate Antonio Perrella eresse invocando la piena comunione di questa santa mensa". Il progetto della mensa è del nostro Abate Antonio Perrella che si è avvalso della collaborazione di un architetto e di finissimi artigiani della pietra. L'Opera - in travertino romano (pietra povera e schietta) - si inserisce nel solco di una tradizione bimillenaria che si esprime armonicamente nella contemporaneità.
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