"la casa, la famiglia, la comunità sono il tabernacolo (mishkan) della presenza di Dio (shekinàh) nella nostra vita". Alcune delle parole tratte dal sermone dell'Abate dom Tonino
Mercoledì 5 gennaio 2022 alle ore 19:30, presso la Cappella della Casa Apostolica della Christiana Fraternitas si è svolta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola e la Commemorazione della Cena del Signore "in Epiphania Domini". La preghiera è stata arricchita anche dalla "benedizione" dei gessetti serviti poi per la "benedizione dei magi" fatta alle famiglie nel giorno seguente. La Celebrazione è stata trasmessa in diretta Facebook per raggiungere quanti desideravano condividere con la Famiglia Monastica l'Epifania del Signore.
Sermone del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella
in occasione della Celebrazione della Parola
"In Epiphania Domini" 2022
Testo di riferimento Mt 2, 1-18
Il brano dell’adorazione dei magi è probabilmente uno dei più conosciuti del Nuovo Testamento ed è stato sottoposto alle più svariate investigazioni, sia di carattere scientifico-esegetico sia spirituale-mistico sia devozionale-leggendario. Ad esso abbiamo dedicato un’ampia riflessione lo scorso anno. Da quella riflessione è, poi, nato un approfondimento che ha dato vita al libro Interpellati dal Cielo: sulla strada con i Magi, paradigma del cammino di ogni persona. Lì abbiamo approfondito la pericope evangelica matteana attraverso diversi approcci metodologici, per cercare di liberarne al meglio le potenzialità ed i differenti significati.
C’è, però, un elemento di questo brano che spesso (o quasi sempre) rimane in ombra: ovvero il luogo in cui i magi entrano per adorare il bambino e chi altri vi trovano. Matteo 2,11, abbiamo ascoltato, dice: entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, gettatisi a terra, si prostrarono davanti a lui.
Il luogo è la casa, oikìa leggiamo nel testo greco. E con il bambino c’è solo Maria. Dopo che i magi saranno tornati indietro, per altra strada, Erode capisce di essere stato ingannato ed ordina l’uccisione di tutti i bambini di Betlemme dai due anni in giù. La scelta di far uccidere i bambini dai due anni in giù deriva dal fatto che all’arrivo dei magi Erode si era informato accuratamente del tempo in cui avevano visto spuntare la stella. Lo spuntare di una sella nell’imaginario comune del tempo stava ad indicare il sorgere, il nascere di un re. L’insieme di questi dati può spiegarsi in un modo solo: Gesù nasce a Betlemme, città ove vivevano Maria e Giuseppe. I magi, alla nascita di Gesù, vedono la stella e si mettono in cammino, giungendo a destinazione circa due anni dopo. Da questo punto di vista, le immagini dei presepi e dell’iconografia in generale a cui siamo abituati ci traggono in inganno, perché ci mostrano i magi giungere a qualche giorno dalla nascita. La tradizione popolare tarantina invece probabilmente aveva intuito più precisamente il dato storico ed esegetico: il 6 gennaio si tiene la processione del cosiddetto Bambino all’erta (Bambino in piedi), proprio perché si tratta di un bambino più cresciuto e non di un neonato.
Ma ora tralasciamo le curiosità e torniamo al testo. Il luogo nel quale i magi entrano per adorare il bambino è la sua casa natale, la casa dei suoi genitori; ma c’è un fatto insolito: i magi entrano in casa ma Giuseppe non viene menzionato, di lui non c’è traccia nella casa né nel racconto. E questo è un fatto insolito dal momento che l’uso in quel tempo era che, entrando in una casa, si doveva salutare anzitutto il capo-famiglia, il padrone di casa; ma qui, nel nostro racconto, Giuseppe è assente. A mio parere non a caso. Possiamo spiegare questo “non detto” cercando di contestualizzare il momento della giornata in cui sono arrivati i sapienti d’oriente. Probabilmente, dovevano esser giunti in un momento della giornata in cui Giuseppe era a lavoro o di ritorno dal lavoro dal momento che per vedere la stella fermarsi sulla casa il sole doveva essere già calato.
L’avrete notato o avvertito, in questi elementi, tutt’altro che solo suggestivi, si intravvede un certo contrasto. Da un lato c’è il cammino dei magi, che è straordinario sia per ciò che lo muove (la stella) sia per la natura misteriosa dei personaggi (i magi), dall’altro lato c’è invece lo stare del bambin Gesù e Maria nella loro casa, che non ha affatto nulla di straordinario: una madre intenta alle cure del figlio nella propria abitazione. È quanto di più feriale si possa incontrare e vedere. Eppure i magi, entrati in casa, si prostrano a terra: incontrano il Figlio di Dio, in un bambino, nella ordinarietà di una casa e nella ferialità di un giorno qualsiasi visto che Giuseppe ancora non era rientrato.
Per comprendere fino in fondo l’importanza di questo singolo versetto, dobbiamo prima apprendere un dato dell’intero Evangelo di Matteo. Esso si apre con il nome messianico di Gesù, tratto dalla profezia di Is 7,14: Emmanuele, Dio-con-noi (Mt 1,23). Lo stesso Evangelo, poi, si chiude con la promessa di Gesù: io sono [non sarò, ma sono] con voi, tutti i giorni» (Mt 28,20). “Con (metà, in greco) – voi/noi” è una formula che attraversa tutto il primo Evangelo. Recenti studi esegetici hanno mostrato che questo “stare con” di Gesù è la traduzione matteana (neotestamentaria) della shekinàh veterotestamentaria, che indica la “fisicità” della presenza di Dio, ciò che Dio rende visibile e percepibile di se stesso. Nella tradizione dell’Antico Testamento Dio rimane inaccessibile ed ineffabile e, tuttavia, manifesta la sua presenza in modi fisici: pensiamo al fuoco che arde nel roveto senza consumarlo dal quale Dio parla a Mosè (cf Es 3,2), alla nube che scende nella tenda e la riempie (cf Es 33,7-11; 34,5-9), la colonna di fuoco che guida il popolo nel cammino di notte (cf Es 13,21-22), il mormorìo del vento (cf 1Re 19,9-16). Tutto ciò è la shekinàh di Jahvè, lo stare con noi di Dio. Per fare un passo ulteriore proviamo a prendere la radice del sostantivo shekinàh e vediamo che da essa deriva anche il sostantivo mishkan ovvero il tabernacolo, il luogo in cui questa presenza si lascia percepire.
Tornando allora al racconto dei magi, ci troviamo dinanzi ad un espediente letterario proprio dell’uso di Matteo: Gesù che sta con (metà) Maria è, quindi, una forma di shekinàh, un modo con cui Dio si rende visibile (la carne umana del Figlio di Dio). E sta in una casa, che è il tarbenacolo (mishkan) di questa presenza (shekinàh).
Il luogo in cui Dio pone la sua presenza e la manifesta è, quindi, la casa della vita famigliare e la ferialità di un giorno qualsiasi. La casa si riferisce alla famiglia (nel senso più inclusivo del termine), ai rapporti quotidiani, a quei rapporti che ci sembrano, al tempo stesso, così scontati e normali, eppure sono i rapporti meravigliosi che ci danno sicurezza: sulla nostra famiglia sentiamo di poter contare, sempre. La casa si riferisce, però, anche alla nostra famiglia di fede, quella che chiamiamo la nostra comunità. È nella comunità famigliare ed ecclesiale che Dio sta con noi, abita con noi. Allora dobbiamo domandarci: e noi abitiamo con Lui? E, forse, prima ancora dobbiamo chiederci: ma noi sappiamo abitare?
Saper abitare è un’arte che si apprende nel corso della vita e richiede una buona dose di coraggio e di umiltà. Forse per questo oggi siamo sempre in fuga, non riusciamo a stare fermi un istante (La pace sia con te di Renato Zero), stare nello stesso luogo, non riusciamo a rimanere fedeli ad un posto e ad uno o più legami relazionali. Anzi, la parola stessa “legame” ci terrorizza perché la colleghiamo a legacci. Eppure sono i nostri legami e le nostre appartenenze che ci definiscono, che ci strutturano.
Se ci guardiamo dentro, alla fine, chi siamo noi veramente? E per chi siamo qualcuno o qualcosa? Per le persone e per i luoghi (ovvero le realtà) con cui abbiamo costruito e alimentato legami. Sono i legami che ci fanno essere qualcuno per qualcun altro. Né basta dire “io appartengo a me stesso”, perché equivale a non appartenere a niente, che è la desolante esperienza di una vita vissuta come un deserto arido.
- «Chi sei?» domandò il piccolo principe, «sei molto carino...».
- «Sono una volpe», disse la volpe.
- «Vieni a giocare con me», le propose il piccolo principe, «sono così triste...».
- «Non posso giocare con te», disse la volpe, «non sono addomesticata».
- «Ah! scusa», fece il piccolo principe. Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: «Che cosa vuol dire “addomesticare”?».
- «È una cosa da molto dimenticata» - rispose la volpe. «Vuol dire “creare dei legami”...».
- «Creare dei legami?».
- «Certo», disse la volpe. «Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo».
Questo breve estratto della splendida opera letteraria Il piccolo principe ci ricorda bene quanta importanza abbiano per la vita di tutti noi i legami e quella che noi chiamiamo “casa”. Solo lì facciamo esperienza dell’importanza delle persone e nostra, solo da lì, dai luoghi che abbiamo imparato ad abitare, possiamo imparare a dare importanza a tutto ed a tutti. Perché se non so dare importanza alla mia casa, non darò importanza a niente; se non darò importanza ai miei legami, non darò mai importanza a nessuno.
Per noi, poi, che cerchiamo di seguire Gesù, tutto questo assume un significato ancor più urgente, perché la casa, la famiglia, la comunità sono il tabernacolo (mishkan) della presenza di Dio (shekinàh) nella nostra vita.
Domandiamocelo sul serio: qual è davvero la nostra casa, quale la nostra comunità, quali i nostri legami e le nostre appartenenze? Se le risposte ci metteranno in atteggiamento di gratitudine e adorazione come è successo ai magi siamo sulla giusta strada, altrimenti dovremo camminare ancora, intercettare la nostra stella perché Dio possa manifestarsi a noi… e non dimentichiamolo, il nostro è un Dio concreto, si lascia trovare nel nostro quotidiano, nella ferialità della nostra vita, nella casa delle nostre relazioni.
dom Tonino +
Qui sotto il video dell'intera celebrazione.
Qui sotto nel video la "Benedizione dei Magi" invocata per la Famiglia Monastica Ecumenica Christiana Fraternitas al termine della Celebrazione in Epiphania Domini.
Nel giorno dell'Epifania, come di vetusta trazione, l'Abate ha visitato i fedeli che hanno desiderato ricevere la "benedizione dei Magi". Qui sottoinsieme college di alcune famiglie che hanno voluto immortalare il momento. Se si desidera sapere di più sulla "benedizione dei Magi" nel seguente link ci sono molte informazioni:
https: //www.cf-abbazia-ecumenica.com/post/benedizione-dei-magi-tradizione-che-consente-alle-persone-di-guardare-al-cielo-e-al-cielo-parlare
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