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II domenica d'Avvento. Expectantes beatam Spem: la Chiesa Canta l'avvento del Regno.

Sul Verbum supernum prodiens: "una sintesi meravigliosa e poderosa che ci offre una comprensione chiara della vita cristiana, cioè della vita che nasce in noi dalla incarnazione del Verbo, che è etica, ma non moralistica". Sono le parole tratte dall'omelia dell'Abate dom Antonio Perrella per la II domenica del Tempo d'Avvento alla Christiana Fraternitas.


Sabato 3 dicembre 2022, II domenica d'Avvento, presso la Cappella monastica ecumenica "Santi Benedetto e Scolastica", si è tenuta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola arricchita dal lucernario tratto dalle "Constitutiones Apostolorum". Ogni settimana d'avvento l'Abate dom Antonio Perrella terrà la predicazione sugli Inni della liturgia delle ore propri di questo tempo forte. Il secondo Inno, oggetto della condivisione, è stato Verbum supernum prodiens.



Testo integrale della I predicazione sul Verbum supernum prodiens

del nostro Rev. mo Abate dom Antonio Perrella


Care Sorelle e Fratelli,

il secondo Inno, che incontriamo nella liturgia delle ore del tempo di Avvento, è quello dell’Ufficio delle Letture, un tempo chiamato Mattutino. È l’inno Verbum supernum prodiens. Si tratta di un bel testo, che corrisponde alle composizioni di scuola ambrosiana, infatti è metricamente composto in dìmetro giambico, che era un verso ritmico che Ambrogio aveva imparato a conoscere ed usare nella sua permanenza in Grecia anche se qualcuno attribuisce quest’Inno alla scuola di Gregorio Magno. La datazione della sua composizione è collocata tra il IX ed il X secolo. Pensate, certamente era conosciuto anche da Tommaso d’Aquino, che compone un Inno eucaristico che comincia esattamente con le stesse parole e che deve aver ispirato il teologo domenicano. L’Inno Verbum supernum prodiens è attestato anche nel Breviario gotico della Liturgia mozarabica (in uso in Spagna già dal V secolo) e nella Liturgia delle Ore del rito romano.

Il fatto che l’utilizzo liturgico sia attestato nella Liturgia mozarabica mi fa propendere più per una sua dipendenza dalla scuola ambrosiana che non da quella gregoriana. Le comparazioni liturgiche – secondo le norme stabilite dal Baumstark – infatti ci mostrano reciprocità di influssi tra gli usi ambrosiani, quelli celtici e quelli ispanici. I contatti tra gli usi liturgici dell’Europa Nord-occidentale ed occidentale con la liturgia romana venivano sempre mediati attraverso quella ambrosiana. Milano, infatti, trovandosi nel cuore del territorio imperiale e godendo di un’autorevolezza indiscussa per l’importanza della sua sede episcopale e l’autorevolezza personale dei suoi vescovi, era necessariamente uno snodo di incontri e rapporti osmotici, anche degli usi liturgici.

Nel commentare quest’Inno farò riferimento ad una mia traduzione, che trovo più aderente al testo. La traduzione liturgica, infatti, rende il testo più scorrevole nella proclamazione e più adatto al canto, ma fa perdere alcune sfumature semantiche e teologiche che, invece, mi appaiono capitali. Leggo il testo per intero per poi insieme commentalo.


Verbo celeste che scaturisci, luce che promana dal Padre, tu, con la tua nascita, soccorri il mondo nel corso del tempo che declina; Dunque, illumina i cuori e infiammali con il tuo amore; per l’ascolto dell’annuncio sia ricacciato lontano ciò che è viscido. E, quando in futuro verrai come giudice

a scrutare le opere del cuore, rendendo il contraccambio per le cose nascoste e il regno ai giusti per il bene, alla fine, fa’ che non veniamo schiacciati dai mali,

secondo la qualità della colpa, ma con i beati siamo eredi dei beni celesti.

Già da una prima lettura, ci accorgiamo di due andamenti del testo, che sono specifici del tempo di Avvento: l’andamento cristologico e l’andamento escatologico. Sull’andamento cristologico abbiamo già detto nell’omelia della scorsa settimana e non vale la pena ripetersi. Soffermiamoci oggi su quello escatologico. Sappiamo che il tempo di Avvento non ha come priorità tematica la preparazione al Natale, ovvero alla celebrazione memoriale della nascita di Gesù. Le prime tre settimane di Avvento sono fortemente connotate e concentrate sul destarci e riportarci al fondamentale atteggiamento dei credenti in Cristo, della Chiesa, ovvero: all’attesa del Regno di Dio. Del resto, anche i testi e le invocazioni neotestamentarie che noi riferiamo alla nascita umana del Verbo – come marana-thà dell’Apocalisse – originariamente erano invocazioni escatologiche. L’Avvento ci prepara al Natale nel senso che ci ricorda che, come il Padre ha realizzato le promesse fatte tramite i profeti, e l’Emmanuele è venuto, così manterrà fede alla promessa fatta attraverso il suo stesso Figlio cioè che questi ritornerà nella gloria, a giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine.


La struttura interna dell’inno ci conferma questa lettura. Esso infatti è costruito in forma chiastica, per così dire a “x”, mi spiego: esiste un chiaro collegamento tra la prima e la quarta strofa ed un altro collegamento tra la seconda la terza. La prima strofa fa riferimento alla generazione eterna del Verbo (Verbo che promani, luce che scaturisci) e alla sua nascita umana (con la tua nascita soccorri il mondo). Fa da eco la quarta strofa in cui si chiede che noi diventiamo co-eredi, con Cristo, dei beni eterni del cielo (la venuta escatologica). Il rapporto invece tra la seconda e la terza strofa, è meno visibile, ma una volta disvelato questo rapporto si manifestano chiaramente la potenza teologica e l’intelligenza scritturistica dell’Inno stesso.


Analizziamo insieme queste due strofe per comprenderne il rapporto. La seconda strofa inizia con un dunque (nunc) ed è, quindi, collegata a quanto precede (la prima strofa). Lì -come abbiamo letto- si diceva che il Verbo che scaturisce dal Padre e da lui promana come luce, soccorre il mondo. Quel “dunque” sta a significare quindi: allora soccorrilo adesso, in questo momento. Ora chiediamoci: ed in che modo il Verbo incarnato deve soccorrere il mondo? Attraverso due doni rispondono i versi: un cuore infiammato dall’amore e la potenza dell’Evangelo che scaccia ciò che è lubricum. Ed è su questo aggettivo sostantivato che dobbiamo assolutamente soffermarci per comprendere il rapporto tra la seconda e terza strofa. Lubricus significa instabile, scivoloso, incerto. La traduzione italiana della liturgia delle ore lo traduce con “tentazioni” ma se ci pensiamo è generico oltre che moralizzante. Lubricus può indicare ciò che è instabile (e, quindi, le incertezze), ma non ci sono indizi nel testo dell’inno che possano farci pensare alle incertezze della fede. L’altro significato dell’aggettivo è ciò che è scivoloso, perché malizioso, tendenzioso, spesso perché nascosto... adombrato. Ed è proprio usando questa traduzione di Lubricum che ci accorgiamo che nella terza strofa c’è un riferimento chiaro, la prova della struttura chiastica del Verbum supernum prodiens quando si dice: renderai il contraccambio per le cose nascoste.

Nella prima strofa si fa riferimento al Verbo, generato come luce da luce, e nella seconda gli si chiede di ricacciare la malizia del cuore che si nasconde, le intenzioni malvagie che albergano inconfessate nel cuore incattivito delle persone.

Il legame – che sembrava non evidente –, tra la seconda e la terza strofa allora sta proprio qui: illumina i cuori e con la potenza della Parola tieni lontano la menzogna del cuore (seconda strofa) e, quando verrai come giudice, smaschera i cuori davanti a te, rendendo la verità alle cose tenute nascoste e fatte nel buio (terza strofa); infiamma i cuori con il tuo amore (seconda strofa) e, quando verrai come giudice, dona il tuo regno ai giusti per la bontà della loro vita, ovvero per il dono d’amore della loro vita (terza strofa).


Si tratta, ancora una volta, di una sintesi meravigliosa e poderosa che ci offre una comprensione chiara della vita cristiana, cioè della vita che nasce in noi dalla incarnazione del Verbo, che è etica, ma non moralistica. E questa vita nuova, portata dal Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, è racchiusa nei binomi, nelle antinomie luce-tenebra, menzogna-verità, malizia nascosta-bene.


Come non notare che queste antinomie sono di chiaro eco biblico e neotestamentarie, in particolare. A me sembra che sono di ambiente giovanneo e lucano.

Giovanni infatti costruisce spesso le sue narrazioni, ambientandole di notte. È notte quando si scatena la tempesta sul mare e Gesù raggiunge i suoi camminando sulle acque (6,16); è notte quando Giuda esce dal Cenacolo per andare a consegnare il Maestro al Sinedrio (13,30), infine è notte (20,1) quando Maria di Magdala scopre la tomba vuota e quando i discepoli, scoraggiati per la morte di Gesù, tornano a pescare senza prendere nulla (21,3). Ed ogni volta, a questa notte, risponde luminosa la presenza di Gesù.

Luca (10,8) metterà chiaramente in evidenza la differenza tra i figli del mondo e quelli della luce: i figli di questo mondo, verso i loro pari, sono più scaltri dei figli della luce. E sempre lo stesso evangelista ricorderà ai discepoli che l’ipocrisia del cuore è una malattia mortale: Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia. 2 Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. 3 Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti (Lc 12,1b-3).

Circa, poi, il portare alla luce la verità dei cuori, potremmo fare riferimento anche alla parabola escatologica di Mt 25,31-46. Lì il giudice divino separa le pecore dai capri. Nei dialoghi di questa parabola si nota che né i buoni né i cattivi hanno consapevolezza di quando hanno fatto o non hanno fatto ciò che Gesù si aspettava: quando, Maestro, ti abbiamo visto bisognoso e ti abbiamo soccorso – quando ti abbiamo visto bisognoso e non ti abbiamo soccorso?». Nessuno dei due gruppi è pervenuto ad una chiara coscienza della presenza di Gesù nei fratelli (ogni volta che avete fatto una di queste cose ai miei fratelli l’avete fatta a me); né i buoni, per comprendere il bene compiuto, né i cattivi per comprendere il bene non compiuto. Dove sta, allora, la malizia? La malizia sta nel fatto che, dopo il dialogo con i buoni, i cattivi avrebbero dovuto comprendere, ed invece si ostinano a ripetere la stessa domanda: quando ti abbiamo visto? L’ostinazione del cuore a non riconoscere la verità, mentre essa si sta imponendo proprio dinanzi agli occhi è la malizia, è quella malattia mortale del cuore! Quante volte a Gesù hanno fatto obiezioni viscide e maliziose: sciaccia i demoni in nome di Beelzebul, arrivarono a dire l’assurodo… La negazione della verità, quando essa oramai risplende davanti a tutti, è la malizia viscida, l’ostinazione nella propria colpa, la menzogna del cuore, che il nostro Inno stigmatizza.


Quanti tra noi sono assidui alla Scrittura e alla preghiera dei salmi avranno notato che in questo Inno risuona la teologia del Sal 138, un gioiello di spiritualità e poesia, di cui vale la pena riascoltare i passi salienti:


1b Signore, tu mi scruti e mi conosci, 2 tu sai quando seggo e quando mi alzo. Penetri da lontano i miei pensieri, 3 mi scruti quando cammino e quando riposo. Ti sono note tutte le mie vie; 4 la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore, già la conosci tutta. 5 Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano.

7 Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? 8 Se salgo in cielo, là tu sei, se scendo negli inferi, eccoti.

11 Se dico: «Almeno l'oscurità mi copra e intorno a me sia la notte»; 12 nemmeno le tenebre per te sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; per te le tenebre sono come luce. 13 Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. 14 Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo. 15 Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. 16 Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno.

19b Allontanatevi da me, uomini sanguinari. 20 Essi parlano contro di te con inganno: contro di te insorgono con frode.

23 Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore, provami e conosci i miei pensieri: 24 vedi se percorro una via di menzogna e guidami sulla via della vita.


Agostino d’Ippona ha tenuto, anche se per sbaglio, una meravigliosa omelia, uno splendido commento su questo Salmo. Lo tenne per sbaglio, perché lui aveva scelto un altro brano, ma il lettore – salito all’ambone si confuse e lesse il Salmo 138 che appena condiviso. Agostino, all’inizio del suo commento, lo ammette candidamente e dice che in quell’errore del lettore aveva visto un segno della volontà di Dio.

Nel suo commento a questo Salmo ringrazia Dio, che lo ha cercato, prima ancora che Agostino cercasse Dio, anzi mentre Agostino era fuggiasco e cercava di scappare da Dio. Leggiamo un passo di questo commento:

«La notte mi si è cambiata in luce, poiché era proprio notte quando disperavo di poter traversare un mare così immenso, di percorrere una via così lunga e, perseverando sino alla fine, raggiungere il traguardo. Siano pertanto rese grazie a colui che mi ha cercato mentre ero fuggiasco.

Ripensiamo a quella donna che aveva perso la dramma. Accese la lucerna. Anche la sapienza di Dio aveva perso la sua dramma. L'uomo infatti era stato creato a immagine di Dio, ma era andato perduto. Ora cosa fece quella donna saggia? Accese la lucerna. Lucerna della sapienza è dunque la carne di Cristo, nata dalla terra ma rilucente del suo Verbo. Fu lei che ritrovò quanti si erano perduti. E la notte [sia] luce nelle mie delizie.

La notte mi si è trasformata in gaudio. Nostro gaudio è infatti Cristo. E cos'è che vi dà tanta dolcezza, se non il sapere che la vostra notte è diventata piena luce, che anche a voi è annunziata la buona novella di Cristo Signore?

Egli vi ha cercati prima ancora che voi cercaste lui e vi ha trovati permettendo che anche voi a vostra volta trovaste lui!

E la notte [sia] luce nelle mie delizie».


Cari fratelli e sorelle, dopo le parole del Vescovo d’Ippona come non dilatare il nostro cuore e concludere insieme questa meditazione sull’inno Verbum supernum prodiens con una preghiera:

Signore, tu che scruti e conosci il mio cuore; rendimi cosciente che sono cercato da te e ti cercherò, disponimi all’esperienza di essere trovato da te e ti troverò, perché tu solo sei e mi riveli la verità di me stesso! Amen.

dom Tonino +


Qualche scatto.



Qui sotto il video integrale della predicazione


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UT UNUM SINT




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