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II domenica d'Avvento: "Ascoltai dentro di me una gran voce" (Ap 1,11) La speranza per una Chiesa che ascolta e vive responsabilmente nella storia.

"Memoria delle opere di Dio e vigilanza costante nel cammino della fede sono l’unico cammino che può ridare vita a quella comunità. Solo la conoscenza e l’amore per la Parola di Dio permette alla Chiesa di custodire la memoria di ciò che Dio ha fatto e continua a fare per la salvezza degli uomini. E la vigilanza nasce da questo ricordo, perché rinvigorisce l’impegno della fede". Sono parole tratte dall'omelia dell'Abate dom Antonio Perrella, pronunciate commentando la lettera alla chiesa di Sardi del Libro dell'Apocalisse.

Sabato 7 dicembre 2024, presso la Cappella "Santi Benedetto e Scolastica", si è svolta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola arricchita - come ormai da tradizione - dal lucernario tratto dalle "Constitutiones Apostolorum" per la II domenica di Avvento. Ogni settimana d'avvento l'Abate dom Antonio Perrella terrà la predicazione sul Libro dell'Apocalisse. Sarà un testo oggetto di indagine anche delle Lectio che proseguiranno mensilmente durante l'anno.



Testo integrale della II predicazione sul secondo e terzo Capitolo

del Libro dell'Apocalisse

del nostro Rev. mo Abate dom Antonio Perrella


«Ascoltai una gran voce» (Ap 1,11):

La speranza per una Chiesa che ascolta e vive responsabilmente nella storia.

 

Testi di Riferimento

2, 1 All'angelo della Chiesa che è a Èfeso scrivi:

"Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro. 2Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza, per cui non puoi sopportare i cattivi. Hai messo alla prova quelli che si dicono apostoli e non lo sono, e li hai trovati bugiardi. 3Sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti. 4Ho però da rimproverarti di avere abbandonato il tuo primo amore. 5Ricorda dunque da dove sei caduto, convèrtiti e compi le opere di prima. Se invece non ti convertirai, verrò da te e toglierò il tuo candelabro dal suo posto. 6Tuttavia hai questo di buono: tu detesti le opere dei nicolaìti, che anch'io detesto. 7Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Al vincitore darò da mangiare dall'albero della vita, che sta nel paradiso di Dio".


8All'angelo della Chiesa che è a Smirne scrivi:

"Così parla il Primo e l'Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita. 9Conosco la tua tribolazione, la tua povertà - eppure sei ricco - e la bestemmia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma sono sinagoga di Satana. 10Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita. 11Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte".


12All'angelo della Chiesa che è a Pèrgamo scrivi:

"Così parla Colui che ha la spada affilata a due tagli. 13So che abiti dove Satana ha il suo trono; tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure al tempo in cui Antìpa, il mio fedele testimone, fu messo a morte nella vostra città, dimora di Satana. 14Ma ho da rimproverarti alcune cose: presso di te hai seguaci della dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balak a provocare la caduta dei figli d'Israele, spingendoli a mangiare carni immolate agli idoli e ad abbandonarsi alla prostituzione. 15Così pure, tu hai di quelli che seguono la dottrina dei nicolaìti. 16Convèrtiti dunque; altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca. 17Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi lo riceve".


18All'angelo della Chiesa che è a Tiàtira scrivi:

"Così parla il Figlio di Dio, Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i piedi simili a bronzo splendente. 19Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza e so che le tue ultime opere sono migliori delle prime. 20Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Gezabele, la donna che si dichiara profetessa e seduce i miei servi, insegnando a darsi alla prostituzione e a mangiare carni immolate agli idoli. 21Io le ho dato tempo per convertirsi, ma lei non vuole convertirsi dalla sua prostituzione. 22Ebbene, io getterò lei in un letto di dolore e coloro che commettono adulterio con lei in una grande tribolazione, se non si convertiranno dalle opere che ha loro insegnato. 23Colpirò a morte i suoi figli e tutte le Chiese sapranno che io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini, e darò a ciascuno di voi secondo le sue opere. 24A quegli altri poi di Tiàtira che non seguono questa dottrina e che non hanno conosciuto le profondità di Satana - come le chiamano -, a voi io dico: non vi imporrò un altro peso, 25ma quello che possedete tenetelo saldo fino a quando verrò. 26Al vincitore che custodisce sino alla fine le mie opere darò autorità sopra le nazioni: 27 le governerà con scettro di ferro, come vasi di argilla si frantumeranno, 28con la stessa autorità che ho ricevuto dal Padre mio; e a lui darò la stella del mattino. 29Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".


3,1 All'angelo della Chiesa che è a Sardi scrivi:

"Così parla Colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle. Conosco le tue opere; ti si crede vivo, e sei morto. 2Sii vigilante, rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato perfette le tue opere davanti al mio Dio. 3Ricorda dunque come hai ricevuto e ascoltato la Parola, custodiscila e convèrtiti perché, se non sarai vigilante, verrò come un ladro, senza che tu sappia a che ora io verrò da te. 4Tuttavia a Sardi vi sono alcuni che non hanno macchiato le loro vesti; essi cammineranno con me in vesti bianche, perché ne sono degni. 5Il vincitore sarà vestito di bianche vesti; non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli. 6Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".


7All'angelo della Chiesa che è a Filadèlfia scrivi:

"Così parla il Santo, il Veritiero, Colui che ha la chiave di Davide: quando egli apre nessuno chiude e quando chiude nessuno apre. 8Conosco le tue opere. Ecco, ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, hai però custodito la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. 9Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di Satana, che dicono di essere Giudei, ma mentiscono, perché non lo sono: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato. 10Poiché hai custodito il mio invito alla perseveranza, anch'io ti custodirò nell'ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. 11Vengo presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona. 12Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, dal mio Dio, insieme al mio nome nuovo. 13Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".


14All'angelo della Chiesa che è a Laodicèa scrivi:

"Così parla l'Amen, il Testimone degno di fede e veritiero, il Principio della creazione di Dio. 15Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! 16Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. 17Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. 18Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista. 19Io, tutti quelli che amo, li rimprovero e li educo. Sii dunque zelante e convèrtiti. 20Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. 21Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono. 22Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese".

 

Sorelle e fratelli carissimi, cari amici ed amiche,

questa II domenica di avvento è caratterizzata dalla figura del Battista, che si definisce come una voce che grida. Egli prepara la strada del Signore nel cuore delle persone e nelle vene della storia, gridando l’annuncio di conversione. Conversione e annuncio vanno insieme: la conversione, infatti, richiede la disponibilità ad ascoltare la voce di Colui che ci chiama a cambiare radicalmente la nostra vita, cambiando il nostro modo di pensare.

Sappiamo, infatti, che metanoia (conversione) indica un capovolgimento del modo di pensare, perché l’agire segue il pensiero. Se vogliamo agire secondo Dio, dobbiamo pensare secondo Dio, anzi come Dio.

I capitoli 2 e 3 dell’Apocalisse, a cui dedichiamo la nostra meditazione odierna, corrispondono esattamente a questo principio. In essi sono raccolte sette lettere, sette messaggi che il Cristo, vivo e presente nell’assemblea che celebra, consegna a sette Chiese del circondario di Efeso. Come abbiamo detto, queste sette Chiese sono la simbolizzazione della totalità della Chiesa.

Le sette lettere sono costruite secondo uno schema ben preciso che si ripete ogni volta. Nella produzione dei testi scritti antichi, la ripetizione dello schema, come la ripetizione delle parole e persino di intere frasi era uno strumento per facilitare la memorizzazione. Il fine può essere duplice: uno immediato e l’altro a più lungo termine. Facilitare la memorizzazione immediatamente serviva alla proclamazione in pubblico e, nel nostro caso, in contesto liturgico, celebrativo; ma a più lungo termine, ricordare quelle parole serviva a farle scendere profondamente nell’animo e nel cuore per poterle vivere.

Ci troviamo, quindi, dinanzi a parole da ricordare, da masticare per farle diventare tessuto esistenziale della nostra vita di fede. Esse provocano la nostra attenzione, ma provocano anche e soprattutto la nostra decisione di viverle. Misero è colui che ascolta la Parola e se la lascia scivolare addosso, senza permettere a quella Parola di scavargli il cuore, di sconvolgergli la vita. Non solo resta nel pantano di una esistenza mediocre, ma spreca anche la grazia di Dio.


Vediamo, ora, da vicino lo schema delle sette lettere:

1) Indirizzo: «all’angelo della comunità di… scrivi»

Sulla figura di questo angelo per ciascuna delle chiese si è dibattuto molto. Alcuni lo ritenevano riferito al vescovo, ma questo richiederebbe una struttura monocratica che non si era ancora formata nel periodo di composizione dell’apocalisse. Le altre ipotesi sono che si riferisca ad un qualche leader spirituale o ad un emissario concreto, come ad una persona che dovrà portare la lettera a destinazione. Tuttavia, sappiamo che queste non sono lettere – per così dire – spedite e poi raccolte nel libro. Restano, quindi, due ipotesi: la prima è che l’autore dell’Apocalisse si riferisca a quell’angelo che, nella letteratura apocalittica giudaica, fungeva come da custode di gruppi umani come le nazioni; la seconda ipotesi è che si riferisca all’essenza della chiesa, quindi l’espressione “angelo della Chiesa” equivarrebbe semplicemente a “tutta la chiesa di…”;


2) Autopresentazione di Cristo, con titoli cristologici

Spesso questi titoli sono collegati all’esortazione che segue. Cioè il Signore sottolinea un aspetto della sua identità o della sua missione in base alla quale poi emetterà il suo giudizio sull’agire di quella specifica Chiesa e la esorterà a fare qualcosa. Questo collegamento è di particolare interesse perché lega l’identità di Cristo all’agire della Chiesa. Come a dire, che la Chiesa è se stessa solo nella misura in cui è riflesso della persona di Cristo; essa è il prolungamento della incarnazione del Verbo di Dio ma anche il prolungamento della sua missione di salvezza.

C’è poi un altro aspetto che è opportuno sottolineare: dopo aver indicato con precisione l’identità della Chiesa, il Signore indica altrettanto precisamente la sua propria identità. In fondo si tratta di un dialogo: c’è un Io divino che si relaziona ad un tu umano. Si tratta di una storia d’amore a tu per tu che deve continuare ad essere scritta e si esprime talvolta in termini di correzione, altre di apprezzamento, altre di incoraggiamento. È lo Sposo che parla alla sua Sposa e si prende cura di lei.


3) Giudizio sulla situazione della singola Chiesa

Il Signore risorto, presente nella comunità, parla alle Chiese e dimostra di conoscerne la storia, il vissuto e le condizioni. Egli continua ad essere presente in ciascuna di esse ed a seguirle. Nulla gli sfugge, nulla gli è nascosto. Sebbene la forma della sua presenza sia mutata, essa comunque rimane efficace. Spesso il riferimento alla situazione della Chiesa si concentra su nomi di persone (Gezabele) o di gruppi (nicolaiti) che tuttavia più che riferirsi a situazioni concreti appaiono come simbolizzazioni, come per indicare possibili rischi o tentazioni in cui ogni Chiesa può sempre incorrere nel suo cammino di discepolato.


4) Ordine e promessa

Dopo aver descritto la situazione della singola Chiesa, il Risorto le indica la via e le fa una promessa che talvolta suona come una promessa di bene e talvolta come una promessa di castigo.

Questa struttura letteraria, con il binomio ordine-promessa, ci ricorda che Dio comanda e dona, ma comanda solo nella misura in cui dona. Dio non chiede, senza darci la grazia di vivere ciò che ci chiede. Il Signore ci raggiunge con il suo comandamento, ma ci precede con la grazia del suo dono.

D’altra parte, questo binomio ci ricorda che la fede e la vita di fede sono un dono, ma anche una responsabilità. Il tempo di Avvento, che stiamo vivendo, ci ricorda che il Signore glorioso tornerà a giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine. Spesso oggi le persone vivono schiave dei propri capricci e delle proprie voglie, come se avessero solo diritti senza doveri, proprio perché hanno dimenticato che la vita è fatta anche di responsabilità e che della vita dovremo tutti dare conto a Dio.


5) Invito generale e promessa escatologica

Ogni lettera si chiude con un invito generale: chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Questo invito non è soltanto un invito all’ascolto, ma un invito all’ascolto nella fede, cioè a riconoscere che nelle parole dell’apostolo è lo Spirito a parlare. Senza questa visione alta di fede, ogni parola va sprecata. Lo sciupìo delle Parole di Dio deriva proprio dal fatto che, quando Lui ci parla, noi non riconosciamo la divinità delle sue Parole e le prendiamo come parole qualsiasi, come uno dei tanti inviti che ci vengono presentati nella vita. Dimentichiamo che Dio solo ha parole di vita e di vita eterna e che, se non ascoltiamo Lui, ci restano solo parole di morte. Anche la conclusiva promessa escatologica è, in fondo, un invito a recuperare uno sguardo di fede sulla vita e sulla storia. Persa la dimensione della vita eterna e del Regno di Dio, la vita quotidiana si appiattisce sulla sola dimensione dell’immediato, del qui e subito, che è poi la logica del mercato oggi così diffusa. Secondo questa logica, niente ha senso in sé ma solo per ciò che serve e può produrre. Neppure la vita vale in sé ma solo se è produttiva, economicamente fruttuosa.


Dopo aver presentato lo schema generale delle sette lettere, vorrei ora dare uno sguardo alla situazione concreta di essa, su cui il Risorto emette il suo giudizio. Da quelle situazioni, infatti, possiamo imparare molto per la nostra vita di fede personale e comunitaria. Prima, però, vorrei ricordare che nello schema generale delle lettere abbiamo detto che esiste un legame, talvolta più evidente, talvolta più sottile, tra il modo con cui il Signore si presenta ed il giudizio che emette sulla situazione delle Chiese.


1) Alla Chiesa di Efeso: l’amore da rinnovare perché rimanga fedele

Gesù si presenta come Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro. In questo modo egli sta affermando la sua signorìa sulle Chiese (le sette stelle in mano), ma anche la sua costante presenza in esse (cammina in mezzo ai sette candelabri). L’immagine è fortemente sacerdotale; Gesù appare come un sommo sacerdote che sta nel centro di un’azione liturgica e ne costituisce il centro dinamico. L’immagine, poi, è descritta usando participi presenti, per indicare che si tratta di un’azione costante del Signore: egli non si stanca di stare in mezzo alla sua Chiesa e di esserne il centro propulsore.

Invece, la comunità di Efeso ha affrontato molte prove, ha avuto la resistente pazienza di restare fedele alla verità di Gesù, tanto da rifiutare falsi apostoli e rifiutare un gruppo di persone chiamate “nicolaiti”. Su di loro non sappiamo molto, è difficile comprendere che se erano un gruppo cristiano di natura sincretista (che mescolavano tradizioni giudaiche, paganesimo e cristianesimo) o se erano un gruppo gnostico. Al di là di questo, come abbiamo detto prima, i nomi simbolizzano problemi generali. La Comunità di Efeso, quindi, viene lodata per aver resistito a quanti in essa si erano insinuati per confonderne la fede.

Tuttavia, a questo sforzo di custodia della verità della fede, non era corrisposto uno sforzo per mantenere vivo l’amore dei primi tempi. L’esperienza della fede di Efeso doveva essersi concentrata sull’aspetto della conoscenza, ma non dell’amore. È un rischio sempre possibile e sempre permanente nella Chiesa. L’esperienza cristiana, soprattutto quando vissuta per tutta la vita, può diventare un’esperienza intellettuale, una “conoscenza delle cose di Dio” senza però che corrisponda ad un vero “amore per Dio”.

Il Risorto si era presentato come colui che sta sempre in mezzo alla sua Chiesa, costantemente fedele al suo amore verso di lei, mentre Efeso è rimasta fedele nella mente ma non nel cuore. L’esperienza della fede va alimentata con una frequentazione costante del Signore, con un dialogo giornaliero con lui, cuore a cuore. Sapere chi è il Signore, cosa ha fatto e detto non è sufficiente: occorre alimentare l’amore verso di lui, parlando al suo cuore e lasciandolo parlare lui al nostro cuore.


2) Alla Chiesa di Smirne: la sofferenza alla luce della Pasqua di Cristo

Alla comunità di quel grande centro commerciale che era Smirne, Gesù si presenta come il Risorto vittorioso sulla morte, colui che era morto e divenne vivo. Smirne era una città dell’Impero, che tuttavia manteneva salde le sue tradizioni ellenistiche. In essa era presente una forte e potente comunità giudaica che doveva ostacolare in tutti i modi la locale chiesa cristiana.

I cristiani di Smirne certamente dovevano vivere un doppio problema. Uno è evidente nel testo: le persecuzioni in atto e quelle che stanno per arrivare. L’altro è intuibile dal testo, ma non così evidente. A quella comunità il Signore dice: conosco la tua tribolazione e la tua povertà. Probabilmente i membri della comunità cristiana di Smirne non provenivano dal ceto medio alto, dovevano essere invece della classe povera. Questa estrazione sociale, in quel contesto, li rendeva più vulnerabili di fronte alle opposizioni ed angherie di chi era più facoltoso e quindi più influente.

Questo doppio problema doveva evidentemente causare scoraggiamento in quella piccola comunità. Il Signore però le annuncia e le ricorda: tu sei ricco! Questa affermazione del Signore viene dal fatto che la chiesa di Smirne gli rimane fedele!

Presentandosi come il Signore, vittorioso sulla morte, Gesù sta ricordando a Smirne che essa sta vivendo quello che lui prima di lei ha vissuto: la povertà e la persecuzione, che lo ha portato fino alla morte. Ma, attraverso quella morte, ha vinto.

Senza questa logica pasquale sulla storia, la Chiesa perde il senso della storia stessa. Quando la Chiesa pensa di essere trionfante per la sua potenza, allora deprava sé stessa. La Chiesa trionfa secondo la logica di Cristo e la logica di Cristo è logica pasquale. Quando sono debole, allora sono forte (2Cor 12, 10): aveva scritto Paolo; so chi è colui al quale ho dato la mia fiducia (2Tm 1, 12).

L’ossessione per i numeri, l’ossessione per la capacità di imporsi sulla scena sociale e politica manifestano una perdita della fede pasquale nel Cristo. I tempi gloriosi della Chiesa di Gesù sono sempre stati quelli delle persecuzioni, della minorità, della debolezza umana nella quale si manifesta la potenza divina. Solo se rimane vaso di creta ( 2Cor 4, 7) la Chiesa manifesta la forza della grazia che essa contiene.

Quello che vale per la Chiesa in generale, però, vale per tutti i credenti: siamo ossessionati dalla forza, dalla perfezione estetica, dal successo mediatico, dall’affermazione sociale ed economica; siamo impauriti dalla malattia e terrorizzati dalla morte. Ci diciamo cristiani e ci siamo dimenticati della risurrezione! Non siamo forti perché tutti ci rispettano o ci temono, non siamo potenti perché accumuliamo denaro, non siamo neppure eterni: faremo i conti – tutti – con la sofferenza e con la morte. Ma la nostra vera forza sta nella Pasqua di Gesù che ci risuscita con lui. Con lui siamo morti, con lui siamo risorti (Rm 6, 3), nuovamente Paolo viene in nostro soccorso.

Quando perdiamo questa logica pasquale sulla vita e sulla storia, allora sì siamo davvero poveri…


3) Alla Chiesa di Pergamo: discernere il bene dal male

Nella presentazione, che il Risorto fa di sé stesso alla Chiesa di Pergamo, utilizza l’immagine della spada. Questa immagine ha due significati: uno è il richiamo al combattimento, alla visione della fede come un combattimento; e l’altro è quello alla Parola di Dio. I due significati, tuttavia, sono connessi. La fede è un combattimento! San Paolo dirà: ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede (2Tm 4, 7-9). Si combatte contro lo spirito del male che seduce, contro le sue forze che ostacolano il cammino della fede, contro gli oppositori al nome e alla volontà di Gesù. Questa battaglia, però, non si fa con le armi ma con il discernimento.

Eb 4,12 dice: Infatti, la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Ed il libro della Sapienza afferma che la sapienza è più penetrante di ogni movimento e riflette la luce, proprio come una spada.

Nel descrivere la situazione della Chiesa di Pergamo il Signore la elogia perché – pur abitando dove Satana ha il suo trono – essa tiene saldo il suo Nome, fino al martirio (viene fatto il nome del martire Antipa, che nel VI secolo verrà identificato come vescovo di Pergamo, ma che qui evidentemente sta come simbolo di tutti coloro che rimangono fedeli fino all’effusione del sangue). Nel rimproverarla, però, Colui che è la Sapienza di Dio lamenta che in quella Chiesa ci sono alcuni che sostengono la setta dei nicolaiti.

Probabilmente a Pergamo c’erano state forme di sincretismo tra cristianesimo e culture pagane. Qualcuno doveva aver sostenuto che la fede in Cristo poteva essere compatibile con usi tradizionali come l’adorazione di idoli e la prostituzione (forse sacra o forse semplicemente come forma di divertimento e soddisfazione del piacere sessuale). La comunità è quindi esortata a discernere il bene dal male non in forza delle mode culturali o della cultura egemone, ma solo in forza della Parola e della Sapienza di Dio.

La Chiesa non può inseguire il mondo, deve conoscerlo, amarlo, farne emergere i semi di bene che in esso sono sempre presenti, ma la griglia di valutazione che essa deve avere non può che essere la Parola di Dio; essa soltanto infatti giunge nelle pieghe più intime delle cose e dei cuori e discerne, separa il vero dal falso, il bene dal male. Il conformismo a tutti i costi o per apparire alla moda ed essere in ogni caso graditi non può essere un atteggiamento delle Chiese di Cristo.


4) Alla Chiesa di Tiàtira: fedeli in mezzo alla infedeltà

La situazione della Chiesa di Tiatira non è differente.

Gesù si presenta per la prima e unica volta nell’Apocalisse come il Figlio di Dio. Sta rivendicando la sua natura ed autorità divina per la sua uguaglianza con Dio il Padre. I suoi occhi sono incandescenti, perché scrutano e purificano come il fuoco, ed i suoi piedi sono di bronzo incandescente, perché sono solidi, stabili ma anche capaci di incendiare ciò che calpestano.

In quella Chiesa alcuni sono paragonati alla regina Gezabele che contaminò il regno di Israele con l’idolatria. Essi sono una sorta di eresia interna alla comunità cristiana perché vorrebbero che i credenti si adeguassero ai costumi locali (di nuovo prostituzione e mangiare carni immolate agli idoli).

Le opere di Tiatira sono migliori delle prime, la Chiesa di Tiatria ha progredito nelle opere, ma essa non deve lasciarsi ingannare, deve rimanere fedele anche in un contesto di diffusa infedeltà.

Questo vuol dire che la fedeltà costa fatica e impegno e non può mai dirsi perfettamente raggiunta. Ci vuole poco perché la stanchezza o la presunzione di essere santi faccia cadere nella infedeltà.


5) Alla Chiesa di Sardi: l’illusione di essere perfetti

Il Signore si presenta come colui che ha i sette spiriti e le sette stelle. Quindi rivendica il suo possesso della totalità dello Spirito Santo ed il suo dominio sulla totalità della Chiesa. Il Risorto sta rivendicando la unicità della sua Signorìa e la perfezione, unica e irraggiungibile della sua divinità.

Al cospetto della sua gloria e perfezione emerge invece la situazione disastrosa della comunità di Sardi: essa si illude di essere viva ed invece è moribonda. L’illusione di essere perfetta ha portato quella comunità in fin di vita, perché nella fede se non si cammina e si rimane fermi, si regredisce.

Sardi deve ricordare ed essere vigilante. Memoria delle opere di Dio e vigilanza costante nel cammino della fede sono l’unico cammino che può ridare vita a quella comunità. Solo la conoscenza e l’amore per la Parola di Dio permette alla Chiesa di custodire la memoria di ciò che Dio ha fatto e continua a fare per la salvezza degli uomini. E la vigilanza nasce da questo ricordo, perché rinvigorisce l’impegno della fede.

Una Chiesa che non scruti le Scritture, che non ricordi le meravigliose opere di Dio non sarà mai una Chiesa vigilante perché senza memoria del passato non ha neppure speranza per il futuro. Ed è amara l’illusione di essere perfetti: poi ci si scopre sempre nella propria imperfezione.


6) Alla Chiesa di Filadelfia: l’unica forza è quella di Dio

In questa lettera ci troviamo dinanzi a due fatti nuovi. Il primo riguarda Cristo ed il secondo la situazione della Chiesa.

Finora nell’autopresentazione il Risorto ha usato titoli utilizzati nel primo capitolo che abbiamo trattato la scorsa settimana. Qui invece utilizza titoli che non erano presenti fino a questo momento (santo, veritiero, colui che ha la chiave di David). Poi, questa è la prima lettera che presenta una situazione totalmente positiva, alla quale il Signore non deve fare alcun rimprovero ma rivolgere solo incoraggiamento.

È interessante notare che la presentazione che il Risorto fa di sé utilizza titoli che richiamano potenza, ma la Chiesa di Filadelfia ha “poca forza”, è socialmente irrilevante. Si trova in un territorio ed in una situazione per cui non può contare su altro che sulla potenza di Dio e sul suo rapporto costante con la Parola del Signore e con Cristo stesso. Eppure essa è stata tanto fedele che il Signore le farà dono di nuovi fratelli che provengono da quella che viene definita la sinagoga di Satana. La fedeltà di questa Chiesa, povera di mezzi e di potere, convertirà le persone e le attirerà a Gesù.

Addirittura il Risorto attribuirà a Filadelfia quello che i profeti attribuivano a Gerusalemme: i popoli verranno e si prostreranno dinanzi a te (Is 45,14; 49,23; 60,14).

La promessa è quella di una reciproca fedeltà e custodia: poiché tu hai custodito il mio invito, io custodirò te.

Una Chiesa che cerca la propria forza in sé stessa o nella sua capacità di imporsi sulla scena sociale e culturale vedrà ben presto la sua rovina. Solo quando si basa sulla potenza di Dio e fonda la sua certezza sul rapporto vivo con Gesù, solo allora la Chiesa è forte pur nella sua umana debolezza.


7) Alla Chiesa di Laodicea: con Cristo non si può rimanere tiepidi

Questa lettera è un testo davvero interessante che meriterebbe una analisi a sé stante, anche perché sembra riflettere la situazione di molti che oggi amano definirsi cristiani e credenti.

Anzitutto il Risorto si presenta come l’Amen ed il Testimone degno di fede e veritiero, poi come il Principio della creazione. Nella successione degli appellativi c’è una logica stringente. È principio di creazione, cioè di vita solo l’Amen, ovvero colui che dice di sì alla volontà di Dio, ed è testimone fedele di questa volontà. Senza questo sì e questa fedeltà non si genera alcuna vita.

A Laodicea c’è una comunità che non è fedele ed è persino arrogante. Pensa di essere ricca (evidentemente nella fede) e di non aver bisogno di nulla, cioè di aver raggiunto un alto livello nella esperienza della fede ed invece è infelice, miserabile, povera, cieca e nuda, perché è tiepida; né calda né fredda, indifferente. Gesù arriverà a dire: magari tu fossi calda e persino fredda, anche quello andrebbe bene; ma la tiepidezza lo disgusta. Davanti a lui occorre prendere posizione. La tiepidezza della fede lo porta ad un giudizio drastico: sto per vomitarti dalla mia bocca.

Laodicea deve mettere collirio agli occhi, cioè purificare il suo sguardo per avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, la amara verità della sua situazione di fede. Solo dopo potrà ricevere oro per essere ricca e vesti bianche per coprire la sua vergognosa nudità. Ovvero, dovrà tornare al Signore con tutto il cuore, con la totalità vera e concreta della sua vita per potersi definire veramente ricca.

Una Chiesa tiepida, un cristiano tiepido è disgustoso agli occhi di Dio. Miseri coloro che si illudono di essere credenti, ma non si lasciano cambiare la vita da Gesù; miseri coloro che amano definirsi cristiani, ma a Gesù danno così poco (e persino nulla) della loro esistenza e non gli danno invece il trono del loro cuore e della loro vita.


Cari fratelli e sorelle, cari amici ed amiche,

abbiamo potuto dire, nel tempo di un’omelia, molto poco rispetto alla ricchezza del testo. Tuttavia, quello che abbiamo detto è sufficiente perché ognuno di noi si metta dinanzi allo specchio di queste lettere e si ponga una domanda seria: io a quale di queste sette Chiese assomiglio? Sono la Chiesa infedele che si conforma al mondo? Sono la Chiesa arrogante che presume di essere perfetta ed invece è miserevolmente tiepida? Sono la Chiesa che si prostituisce agli idoli? Sono la Chiesa povera di mezzi ma fedele nel cuore?

Guardiamoci allo specchio, con verità e senza maschere; lasciamo che il Risorto ci parli con la sua disarmante franchezza, permettiamo che la spada della sua Parola ci penetri nel profondo del cuore e prostriamoci dinanzi alla sua Parola di verità su di noi.

Solo allora potremo dire di aver preparato la strada del Signore ed aver celebrato veramente, con cuore libero la commemorazione del suo Natale.

dom Antonio Perrella

Abate della Christiana Fraternitas


Qui sotto il video integrale della predicazione






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