Domenica 11 ottobre alle ore 19, presso Villa Pantaleo in Taranto, la Comunità della Christiana Fraternitas si è stretta attorno all'Abate dom Tonino nella Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per ringraziare il Signore del Ministero Abbaziale conferitogli due anni or sono dal suo Ordinario.
"Ossa e carne rinate e destinate unicamente al servizio della mia Comunità e di ogni uomo e donna - in ogni condizione e stato di vita - che voglia sentire la paternità e maternità di Dio, la prossimità del suo Amore, la potenza di quella Energia primordiale dalla quale siamo venuti, alla quale aneliamo e tutti siamo diretti". Alcune delle parole dell'Abate Perrella, riferite al suo servizio Abbaziale, nel discorso di ringraziamento.
La Celebrazione Ecumenica della Parola, essendosi svolta di domenica, ha seguito le letture del calendario liturgico romano (il più comune in Italia). Le letture proclamate sono state: Isaia 25, 6-10; Salmo 22; Lettera di Paolo ai Filippesi 4, 12-14.19-20; Matteo 22, 1-14. Per la circostanza ha predicato un presbitero della Chiesa Cattolica Romana, amico dell'Abate e della Comunità. Di seguito si riposta il testo integrale dell'omelia.
Omelia di don Gianni
Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella,
Reverende Monache e Monaci,
Pregiatissimi Consultori del Capitolo Apostlico,
Care Amiche e Amici,
Illustri Ospiti,
è con grande gioia e non poca emozione che questa sera partecipo a questa Liturgia della Parola durante la quale ringraziamo il Padre, unico dispensatore di doni e ministeri, perché ha compiuto grandi cose e ha posato la sua benevolenza su un suo figlio rendendolo padre e fratello di questa piccola ma operosa comunità ecumenica di ispirazione benedettina.
Rileggendo la storia della Christiana Fraternitas sono fortemente persuaso che tutto ciò che si dispiega nella vita di ognuno di noi non accade mai per caso ma porta dietro di sé una causa originaria che, agli occhi dei più attenti, rimanda a Colui che è l’artefice nel nostro destino…e spesso sono proprio i viaggi più duri che la Provvidenza di Dio ci fa intraprendere a rivelarci chi realmente siamo e chi davvero amiamo!
Il Vangelo di questa domenica ci conforta in questo. È la parabola del re che fa un banchetto di nozze e, giunto il momento, manda a chiamare gli invitati. Al loro rifiuto, si indegna; decide di sostituire gli invitati della prima ora con altri, dicendo:
“il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle
strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”.
Come non vedere in queste parole di Gesù la fonte primaria d’ispirazione e d’impegno fattivo dei nostri amici? Una comunità accogliente, includente, dove nessuno, proprio nessuno ha l’alibi di potersi sentire estraneo ma dove chi vuole trova la sua casa, trova comprensione e calore umano.
Ma partiamo dal Vangelo: questa parabola, come molte altre che abbiamo già incontrate, ha anzitutto un’applicazione storica precisa. Gli invitati di diritto erano gli ebrei che avevano atteso per secoli l’avvento del regno messianico. Matteo dice che essi non si curarono dell’invito e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari. Qui si vede l’utilità della sinossi evangelica cioè l’utilità di leggere i tre vangeli uno di fianco all’altro integrando l’uno con l’altro. Il Vangelo di Luca infatti, su questo punto è più dettagliato e presenta così le motivazioni del rifiuto:
“Il primo disse: ho comprato un campo e devo andare a venderlo;
Ti prego, considerami giustificato.
Un altro disse: ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli;
Ti prego considerami giustificato.
Un altro disse ho preso moglie e perciò non posso venire” (Luca 14,18-20).
Cos’hanno in comune questi personaggi? tutti e tre hanno qualcosa di urgente da fare, qualcosa che non può aspettare, che reclama subito la loro presenza. E cosa rappresenta invece il banchetto nuziale? esso indica i beni messianici, la partecipazione alla salvezza recata da Cristo, quindi la possibilità di vivere in eterno, il banchetto rappresenta dunque la cosa importante nella vita anzi, cosa importante, perché:
“…che giova all’uomo guadagnare anche il mondo intero se poi perde la propria anima?”
…mentre gli invitati trovati ai crocicchi sono gli esclusi di un tempo pubblicani e peccatori e soprattutto i convertiti del paganesimo, ma sono anche e soprattutto gli esclusi di oggi, sono quelli che altrove il Vangelo presenta come gli operai dell’ultima ora.
Ma lasciamo da parte, questa volta, il senso storico immediato della parabola e cerchiamo di cogliere il suo nucleo perennemente attuale: questa parabola del Maestro, ci invita a considerare che il nostro compito primario è quello essenziale di dover combattere la società dell’esclusione, dell’iniquità e dell’indifferenza; ci invita a riconoscere l’uomo caduto e a farci carico del suo dolore e a farlo non solo con il nostro, come dire, amore privato, ma col nostro amore politico.
Questo è lo stile evangelico che deve contraddistinguerci, perché questo è l’amore che ci ha lasciato come preziosa eredità il Maestro. L’amore che egli ci presenta non si lascia irretire in un solo stampo, in una sola proposta, in un unico codice. È impressionante come questo amore lasci aperte sempre altre possibilità, altre considerazioni del reale, altre strade possibili, perfino dinanzi al peccato e all’orrore sempre invoca la pluralità, mai il relativismo, sempre il gusto delle differenze, del non ancora compreso.
L’esempio da seguire dunque è quello del Figlio di Dio, che avvicina gli esclusi, si sporca le mani, insegna alla Chiesa che non si può fare comunione senza vicinanza.
Questa parabola evangelica mostra il valore imprescindibile di una parola: vicinanza. Non si può fare comunità, sia essa ecclesiale, monastica, di amici, senza vicinanza. Non si può fare pace senza vicinanza. Non si può fare il bene senza avvicinarsi.
Il miracolo più grande che compie il Maestro, che compie Gesù è quello di eliminare le distanze. Nel momento in cui il padrone manda i suoi servi ad invitare i lontani, gli esclusi, gli emarginati, i malati, compie qualcosa di prodigioso: l’impuro diventa puro.
E questo è il mistero più grande: prende su di sé le nostre sporcizie, le nostre cose impure. Paolo lo dice bene: “essendo uguale a Dio, non stimò un bene irrinunciabile questa divinità; annientò sé stesso”. E poi, Paolo va oltre: “si fece peccato”. Gesù si è fatto peccato. Gesù si è escluso, ha preso su di sé l’impurità per avvicinarsi a noi.
“Vi ho dato l’esempio, perché facciate anche voi lo stesso”.
Vorrei, in ultimo, concentrare l’attenzione sui motivi per cui quei primi invitati rifiutano di venire al banchetto.
“Il primo disse: ho comprato un campo e devo andare a venderlo;
Ti prego, considerami giustificato.
Un altro disse: ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli;
Ti prego considerami giustificato.
Un altro disse ho preso moglie e perciò non posso venire” (Luca 14,18-20).
È chiaro allora in che consiste l’errore commesso dagli invitati; consiste nel tralasciare l’importante per l’urgente,l’essenziale per il contingente!
Ora questo è un rischio così diffuso e così insidioso che vale la pena riflettervi sopra un poco.
Anzitutto, appunto, sul piano religioso. Tralasciare l’importante per l’urgente, sul piano spirituale significa rimandare continuamente il compimento dei doveri religiosi, Perché ogni volta si presenta qualcosa di urgente da fare… Dio? Dio può aspettare, il resto no.
Il secolarismo strisciante nel quale ci troviamo immersi ci ricorda che questo è un rischio attuale nella vita di ognuno: mentre contro l’anticlericalismo dell’Ottocento sapevamo contro chi combattere… perché si odiava l’istituzione, i preti, ma non si odiava Dio, il sentimento religioso era ancora molto radicalizzato nella gente; oggi, con il secolarismo, appunto, si fanno avanti due strade: deus sive natura di spinoziana memoria (ecologismo esasperato) o peggio si arriva all’assunto: Dio o c’è o non c’è non c’entra con me… Dio ci lascia indifferenti!
Scendendo ad un livello più basso…Per noi questo avviene per la preghiera; tanti sentono che dovrebbero dedicare con calma del tempo alla preghiera; ma si ricordano che c’è quella faccenda da sbrigare quella telefonata da fare e così rinviano, rinviano. Il guaio è che di cose urgenti o supposte tali, ne abbiamo sempre a decine da fare, e così finiamo per rimandare sistematicamente il compimento dei doveri spirituali per le preoccupazioni materiali.
Il Vangelo ci offre un bell’esempio al riguardo. Un giorno Gesù fece visita gli amici di Betania. Maria capisce subito qual è la cosa importante da fare: stare con Gesù, ascoltarlo, fargli compagnia, non sciupare un’occasione così preziosa. Marta invece si lascia prendere dalle molte faccende di casa e anzi si lamenta che la sorella l’ha lasciata sola. Conosciamo la risposta di Cristo:
“Marta, Marta, tu ti preoccupi ti agiti per molte cose ma una sola e la cosa di cui c’è bisogno. Maria, si è scelta la parte migliore che non sarà tolta!” (Luca 10,41 -42).
Questa felice occasione allora ci ricorda una cosa importantissima: una sola è la cosa assolutamente importante e necessaria nella vita: guadagnare Dio e, con lui, la vita eterna; trascurare questo per piccole faccende, per quanto urgenti, è stoltezza e fallire tutto.
Concludendo, allora, nella vita si può fallire in molti modi: come marito come moglie, come padre o come madre, come amico, come artista, come professionista…ma sono tutti fallimenti relativi. Uno può essere un fallito in tutti questi campi ed essere una persona degnissima di stima. Non così quando si perde Dio, qui il fallimento e radicale, senza appello. E un fallire lo scopo stesso per cui si è al mondo.
Kierkegaard che, oltre ad essere uno dei più grandi filosofi della storia, era anche un grande credente, diceva: “Esistono certamente pene e disgrazie terribili in questo mondo, vite del tutto sprecate…Io stesso ne ho conosciuto diversi casi da vicino. Ma veramente sprecata è solo la vita di colui che la lascia passare, ingannato dalle gioie di quaggiù e correndo dietro ora a questa ora a quella preoccupazione. Senza mai rendersi conto che esiste un Dio e che lui, proprio lui, sta davanti a questo dio. Mi sembra di poter piangere per un’eternità al pensiero che esiste al mondo questa miseria”.
Sento di fare questo augurio a tutti e di consegnarvi semplicemente quello che intravedo nel banchetto della nostra parabola: l’unica cosa certa e che saremo invitati anche noi, poveri derelitti di questo mondo, a prendere parte alla grande festa nuziale solo se, alla fine della nostra vita, indossando l’abito bello della festa che è la carità, saremo giudicati degni dell’amore ricevuto e dell’amore che, a nostra volta, avremo donato gratuitamente e, nonostante sia ancora tanta la strada da fare, non spaventiamoci, abbiamo il percorso tracciato dalle orme del Maestro che ci invita a fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi, nella consapevolezza che con la misura con cui misuriamo sarà misurato a noi in cambio.
DGF
Gli auguri della Comunità nella persona del Cancelliere
fr. Franzino Renzullo
Al termine della Celebrazione della Parola, fr. Franzino ha rivolto gli auguri, da parte di tutta la Comunità all'Abate Antonio. Nella medesima circostanza è stato donato da parte di tutti, all'Abate, un mosaico raffigurante l'apostolo Simon Pietro che viene salvato dalle acque come riportato in Matteo 14. Qui sotto il testo integrale degli auguri.
Reverendissimo Padre Abate, Caro Antonio, eccoci qui... DUE ANNI!!!!
Sai quando la Comunità ha chiesto a me di porgerti i nostri auguri mi sono chiesto: proprio io?!? Io che come tu scherzosamente e fraternamente mi chiami, sono “l'ufficio complicazione affari semplici".
E allora, ho preso coraggio e mi sono sentito lusingato di questo onore… e ho iniziato a riflettere, cercare e trovare una frase, un evento, un qualcosa che semplicemente potesse riassumere [a mio parere] tutto il tuo percorso di vita, il tuo essere Monaco e Abate, il tuo essere Pastore di questa Comunità.
Mi è venuta in mente, quindi, una TUA frase che mi ha colpito immensamente e che per me è stato il punto di partenza per una recente rinascita interiore... Ed è questa:
"Non controluce, ma verso la luce".
Ecco.... Per me questo sei Tu... Questo è Antonio Perrella... Questo è l'abate Tonino...
Una persona, un uomo di fede, un pastore che non ha mai vissuto controluce, non si è mai nascosto dalla luce... E non ha mai avuto paura di essa...
Una luce che, invece, hai sempre ricercato, voluto e ardentemente desiderato... Una luce che da sempre regali [forse senza nemmeno rendertene conto] a chi ti conosce, a chi ti è affianco o molto semplicemente a chi ti segue come amico o pastore.
Una luce che non hai mai perso ed abbandonato neppure quando la vita ti ha messo a dura prova, neppure quando qualcuno ha cercato di oscurare quella luce... Ma, anzi, quando gli eventi e gli uomini hanno cercato di rendere difficile intravederla Tu non ti sei abbattuto, ma hai tenacemente combattuto con lo strenuo delle tue forze...
E tu, Tonino, questo ci hai sempre insegnato... a credere e camminare verso quella luce... Senza tentennamenti... Senza grandi interrogativi previ... Senza dubbi…
Senza perplessità...
Ma con un unico imperativo: camminare verso la luce!!!
Ed io stasera, a nome di tutta la Nostra Comunità, Ti auguro proprio questo... Che la tua vita ed il Tuo Ministero sia costantemente verso la luce... E che insieme, sotto la tua saggia e prudente guida, possiamo seguire solo e soltanto la luce...
La luce di Cristo!!!
AUGURI DOM TONINO.
La TUA COMUNITÀ.
Qui sotto il video degli auguri
Il discorso di ringraziamento del
Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella
Care Sorelle e Fratelli,
innanzitutto grazie per aver accettato l’invito a condividere con me e la mia Comunità il ricordo di quel giorno in cui ci radunammo in preghiera, con il mio Vescovo, per implorare il Signore affinché si degnasse di “far risplendere in me la luce del Volto di Dio” (cf LPL Litanie) nel Ministero Pastorale che per elezione della Comunità e per mandato divino, attraverso la benedizione abbaziale, stavo assumendo. Grazie davvero! Sono molto felice di avere avuto tutti e tutte voi al mio fianco in questo rendimento di grazie innanzitutto al Signore.
Come oggi, correva l’11 ottobre nel 2018: ero steso a terra sul telo, che ora ricopre la Mensa della Parola, mentre il Vescovo e voi tutti con la preghiera litanica imploravate Dio perché, come nella storia si è servito di uomini e donne - ora riconosciuti santi e sante del cielo - potesse donare anche a me, come a loro, la Grazia necessaria a corrispondere con disponibilità e verità alla vocazione pastorale a cui mi chiamava.
Lì a terra, più giù di tutte e tutti voi, ho incontrato me stesso e la pochezza di quel che sono dinanzi a quanto Dio, attraverso la mia Comunità, mi stava chiedendo. Ho provato sensazioni contrastanti: da sempre -nella mia vita- mi son fatto avanti, mi sono sempre ritenuto all’altezza di una posizione da leader religioso ma, mentre ero lì a terra, - nel canto delle litanie - veniva per me scomodato il paradiso ed erano ricordate le Opere di Dio in Maria madre di Gesù, negli Apostoli, nei Martiri, in Benedetto da Norcia e sua sorella Scolastica e così per tutti gli altri Santi. Vi garantisco: avrei voluto sparire! Ero – per così dire – soffocato dalla mia umanità ferita, dalle mie debolezze, dalla mia insufficienza. Ho avuto paura come non mai nella mia giovane, ma difficile vita. Lì ho compreso che c’era un’unica cosa da poter fare: chiedere aiuto. Ho capito che potevo affrontare il ministero pastorale, solo se mi fossi lasciato aiutare da Dio; solo se mi fossi abbandonato nelle sue mani - come un bimbo in braccio a sua madre, dice il salmo 131, 2 - e da Lui lasciato usare come uno specchio, specchio imperfetto, opaco si intende, ma che deve riflettere né le mie capacità, né le mie debolezze, ma solo “la luce del suo Volto”.
Dopo la specifica preghiera di benedizione, mi rialzai da terra con una nuova consapevolezza quasi che le mie ossa e la mia carne fossero state ri-create, come avvenne nella terra per Adamo (cf Gen 2, 7), come avvenne per il cumulo di ossa di cui parla Ezechiele (cf Ez 37, 1-13) o come il cieco nato (cf Gv 9, 1-41) dell’Evangelo di Giovanni: ossa e carne rinate e destinate unicamente al servizio della mia Comunità e di ogni uomo e donna - in ogni condizione e stato di vita - che voglia sentire la paternità e maternità di Dio, la prossimità del suo Amore, la potenza di quella Energia primordiale dalla quale siamo venuti, alla quale aneliamo e tutti siamo diretti.
Il primo ringraziamento allora va alla mia Comunità che ha saputo e continua a saper guardare non quel che io posso con la mia umanità, ma ciò che opera Dio nel suo misterioso disegno su di noi e su quanti condividono il nostro cammino di ricerca spirituale. Grazie fratelli miei e sorelle mie!
Ringrazio tutti coloro che hanno scelto di farsi sentire vicini, in questa circostanza, attraverso il dono di questa opera, quasi un micromosaico, che riproduce un ritaglio di un mosaico più ampio del XIII secolo che dimora nel Duomo di Monreale. Penso che l’immagine di questo pezzo d’arte sia particolarmente significativa in questa occasione tanto per me, come pastore, quanto per tutti noi che ci sentiamo discepoli di Gesù o comunque persone in ricerca della verità. La scena rappresenta il brano di Matteo 14,22-33: c’è Simone, ai più conosciuto come l’apostolo Pietro, che manca di fiducia nel Signore. Percepisce le sue capacità come qualcosa che viene unicamente da lui e così sprofonda nel mare. In senso biblico le acque, gli abissi, sono il male che soffoca e porta morte. Sì, l’autosufficienza soffoca la vita e porta morte. Sarà il riconoscersi bisognoso d’aiuto che consentirà a Simone di gridare: “Signore, salvami!”. In quel momento Simone, che era pescatore e che tanto pensava di conoscere il mare e la pesca, fa un’esperienza del tutto singolare: teme il mare e viene - questa volta lui - “pescato” da Gesù perché le acque della sua paura non gli recassero la morte, ma potesse vivere ancora e vivere in pienezza. A lui, ed in lui a tutti noi, Gesù ha insegnato la pesca divina che non reca morte come quella che l’uomo fa con i pesci, ma dà vita! Solo in quel momento Simone comprese ciò che Gesù aveva fatto con lui all’inizio della loro amicizia allorquando fu chiamato alla sequela insieme a suo fratello Andrea. Siamo sempre nel vangelo di Matteo, ben dieci capitoli prima: il Signore lo invita a seguirlo per renderlo - dice Gesù - pescatore di uomini (cf Mt 4, 19).
Essere pescatori di uomini, allora, non vuol dire anzitutto fare proseliti, ma vuol dire aiutare l’uomo - che finalmente riesce a comprendersi non autosufficiente - ad uscire da ogni forma di morte, di avvilimento, di sopraffazione, di emarginazione, perché egli risorga alla vita e alla vita piena.
Essere pescatori di uomini non vuol dire anzitutto prendere gli uomini per farli soggetti religiosi, ma prenderli per mano al fine di farli tornare pienamente uomini, ristabiliti nella loro inalienabile dignità, liberi di costruire la loro piena felicità, di realizzare i loro sogni e progetti, gioiosi nella pienezza della loro vita corrispondendo alla specifica vocazione legata intrinsecamente al senso della propria esistenza che viene da Dio.
Non si può pescare un uomo o una donna, per metterli nell’acquario o nella padella di un nuovo sistema avvilente. Si pesca un uomo o una donna perché sia libero di prendere la sua strada senza temere nulla. È la gioia di Dio che dona e ridona la vita, sempre e comunque, a chiunque!
Se guardiamo bene a noi stessi, a chi siamo ed a come la provvidente Sapienza di Dio ci ha fatti incontrare e ci ha messi l’uno sulla strada dell’altro, possiamo dire che è proprio questo “filo rosso” che accomuna la storia di ciascuno di noi: la ricerca di una vita piena e gioiosa per tutti!
Questo servizio all’uomo, che in me e nella Comunità che servo ha origini e motivazioni di fede, in molti di voi ha altre origini: quelle della luce sfolgorante del diritto, della luce calorosa del volontariato, della luce armoniosa del buon senso. Per questo vorrei ringraziare il Comitato di Taranto della Federazione Italiana per i Diritti dell’Uomo, con il suo Presidente, l’Avv. D’Elia per aver averci onorato della sua presenza insieme agli altri membri. Ringrazio per la presenza dell’Associazione Ethra Accademia Sociale nella persona della Presidente Angela Pietra Blasi; le Associazioni CEST, NPS puglia onlus, T-Genus Magna Grecia nella persona del Presidente Michele Formisano. Tutti noi siamo qui, proprio perché uniti da questa passione per l’umanità, questo desiderio di servire l’umanità. Anche voi siete per me un dono di Dio, perché una realtà ecclesiale che non sappia creare legami di rispettosa e reciproca collaborazione sarebbe come una pianta morta, che non dona ombra, ristoro e vita al terreno in cui affonda le sue radici.
Ritengo di interpretare i sentimenti ed i pensieri di tutti, nell’esprimere la comune gratitudine ai Consultori del Capitolo Apostolico che mettono a nostra disposizione le loro competenze e professionalità; ed in modo del tutto particolare ai carissimi Gerardo e Matilde De Benedetto, ancora una volta, con la gentilezza di cui sono maestri, ci hanno messo a disposizione la loro casa, questo scrigno di bellezza, di eleganza e di armonia con il creato che è Villa Pantaleo.
Da ultimo ma non per ultimo, come si sol dire: dulcis in fundo grazie a don Gianni, che ha spezzato per noi il pane della Parola, unendo sapienza evangelica e senso pratico, e per il viaggio non breve che ha fatto per essere vicino a me nell’amicizia spirituale e umana e a tutti in questo giorno di festa.
Grazie a tutti voi, che a vario titolo, siete qui, perché con la vostra condivisione rendete ancora più bella e gioiosa non solo questa sera, ma anche la nostra voglia di servire il Signore, servendolo nell’uomo. Grazie!
dom Tonino +
Qui sotto il video del discorso dell'Abate Antonio Perrella
Gli auguri del Vescovo, Ordinario dell'Abate, S.E.R. Mons. Mark Edington
Con una missiva autografa anche il Vescovo per la Convocazione delle Chiese Episcopali in Europa della Comunione Anglicana, ordinario del nostro Abate, è stato vicino alla nostra Famiglia Monastica.
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