In occasione del II anniversario di Fondazione, l'Ordine ha vissuto tre giorni di fraternità, preghiera e riflessione, culminate nella Celebrazione Ecumenica della Parola del 23 gennaio 2019.
In un clima di gioia e di gratitudine al Signore, per i doni che ci ha elargito, abbiamo vissuto una tre-giorni intensa di preghiera, riflessioni e lieta fraternità, assieme a quanti in questo tempo ci hanno conosciuto, apprezzato e sostenuto. Erano presenti i rappresentanti di ben cinque Comunità Cristiane: la Chiesa Episcopale, il Patriarcato di Mosca, il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, la Chiesa Cattolico-Romana, Chiesa Evangelica.
Ven.le Arc. Walter Baer, Rev. Can. Michael Rusk (Chiesa Episcopale)
I presenti alla Celebrazione, tra cui alcuni fratelli della Chiesa Evangelica
L'omelia dell'Abate
Cari Fratelli e Sorelle, Care Amiche ed Amici,
a distanza di due anni dall’inizio del nostro cammino insieme – dapprima come associazione e poi come Ordine Monastico ecumenico, riconosciuto dalla Chiesa Episcopale – ci ritroviamo insieme per ringraziare il Signore per tutto il cammino che ci ha fatto percorrere e poi per accogliere ancora una volta da Lui i segni della sua benevolenza.
Vorrei rivolgere il mio fraterno saluto di benvenuto all’Arcidiacono Walter Baer, all’Arcidiacona Maria Vittoria Longhitano, Commendataria del nostro Ordine, cui non cesseremo mai di dire la nostra gratitudine per il suo affetto ed il suo aiuto, al Can. Michael Rusk, Rettore della Chiesa dell’Emmanuele in Ginevra. Questi tre fratelli Presbiteri della Chiesa Episcopale ci fanno sentire parte di un corpo, qual è la Convocazione delle Chiese Episcopali in Europa. Attraverso di loro, salutiamo con affetto filiale il nostro amato Vescovo Pierre ed il Vescovo eletto Mark, cui rinnoviamo la nostra fedeltà e filiale obbedienza. Un sincero ringraziamento ai Venerati Fratelli delle altre Chiese: p. Arsenio e p. Antonio dei Patriarcati Ortodossi di Costantinopoli e di Mosca. Avere questa sera con noi due fratelli, presbiteri di due venerande ed amate Chiese, che in questo momento stanno vivendo alcune difficoltà è per noi motivo di particolarissima gioia e per intensificare la preghiera perché ogni problema venga presto e positivamente risolto. Siamo infinitamente grati al Rev.do Francesco Tenna, Incaricato per il Dialogo Ecumenico ed Interreligioso della Curia di Taranto della Chiesa Cattolica Romana. Voglia cortesemente portare il nostro rispettoso e fraterno saluto all’Arcivescovo Filippo. La presenza di questi Pastori apre il nostro cuore ad una appartenenza ancor più grande: alla Chiesa di Cristo, all’unico ovile del Signore che contiene e supera le differenti nomenclature cristiane, che ci tiene uniti – al di là delle differenze e delle specificità – nell’unità della fede. Questo legame fraterno è sempre più grande di ogni divisone e motivo di separazione.
1. Se noi ci guardiamo oggi, forse possiamo fare la stessa esperienza di Balaam nella prima lettura. Egli, guardando alle tende di Israele, cioè all’insieme del popolo eletto non può che esclamare: Come sono belle le tue tende! Anche noi oggi esclamiamo: Come sono belle le tende del nostro stare insieme, della nostra fraternità! Il canto di lode e di benedizione di Balaam non inneggia ad una città, con case fisse e dimore, costruita su fondamenta inamovibili; egli canta le tende, che sono la caratteristica abitazione dei nomadi e dei pellegrini. Noi questo siamo e questo dobbiamo sentirci: nomadi e pellegrini! Siamo cristiani costantemente in cammino, che mai presumono di aver raggiunto la perfezione nella fede, né nei cammini personali né in quelli ecclesiali, perché la fede non sarà perfetta fino a quando non sarà vissuta in una nuova e perfetta unità. La tenda porta con sé l’esperienza della precarietà e dell’essere realtà penultima e non ultima: neppure le belle tende delle nostre istituzioni ecclesiali sono realtà ultima. La realtà ultima è il Regno di Dio verso cui tutti siamo in cammino. Infine la tenda ha la caratteristica di essere facilmente smontata e rimontata per spostarsi, per raggiungere gli accampamenti amici e per essere portata lì dove sono i fratelli. La Chiesa è sempre e nomade e pellegrina perché non può rimanere imprigionata dalle proprie strutture fisse e inamovibili se a farne le spese sono la fraternità e l’unità! Credo che la sapienza del Signore abbia fatto passare il suo popolo, e con esso tutti noi che da quel popolo siamo nati, dall’esperienza del nomadismo proprio perché anche il futuro popolo dei battezzati ricordasse di rimanere nomade e pellegrino. La stabilità porta con sé sicurezze, ma anche molti pericoli: colui che si sente sicuro non vuole camminare, non vuole andare incontro all’altro, non è disposto a lasciare una terra conquistata per correre il rischio, per correre in libertà e raggiungere gli altri.
Noi della Christiana Fraternitas, ispirati anche dall’esperienza monastica benedettina e dalla ecclesiologia della Comunione Anglicana, ci sentiamo irrinunciabilmente nomadi e pellegrini: andiamo ovunque ci porti il bisogno di gettare ponti, di costruire relazioni, di far crescere gli spazi della comunione. Non ci può essere alcuna situazione conquistata che ci possa appagare fino in fondo: siamo inguaribili cercatori di Dio, del fratello e della comunione con Dio e con gli uomini. Ecco perché nel gennaio 2017 nella medesima circostanza e l’11 ottobre dello scorso anno, in occasione della mia benedizione abbaziale e della rinnovazione dei voti dei miei fratelli monaci e monache co-fondatori, ho citato nel discorso l’espressione di Giovanni XXIII: tantum aurora est!Amiamo ritenerci, per vocazione battesimale, per spiritualità propria, sempre bisognosi di meravigliarci della fantasia di Dio che si manifesta nella pluralità delle Confessioni suscitate dallo Spirito Santo; percorritori di strade, sia che si tratti di esperienze sia che si tratti di persone, sempre nuove da percorrere, da vivere; gioiose persone pronte ad affrontare le novità del giorno che l’alba ci regala.
2. La benedizione che Balaam pronuncia non è del tutto spontanea. Infatti Balak, re di Moab, nemico degli Israeliti, aveva chiamato il veggente Balaam per maledire Israele. Balaam aveva aderito all’invito, ma il Signore lo minacciò, imponendogli di pronunciare solo le parole che Lui gli avrebbe messo sulle labbra. Fu così che Balaam, giunto dinanzi all’accampamento, non riuscì a maledire Israele ma fu costretto da Dio a benedirlo. L’ira del re si scatenò contro Balaam, lo minacciò di non dargli la ricompensa promessa per la maledizione che avrebbe dovuto mettere in atto, ma Balaam non riuscì a pronunciare altre parole se non di benedizione e per ben tre volte!
Questo episodio del libro dei Numeri ci mostra con tristezza quanto pericolosa sia la commistione tra il potere politico (Balak) e quello religioso (Balaam). Essi si erano accordati, per interessi personali, per maledire Israele. Solo il potente intervento di Dio ha custodito il suo popolo. Alla fine Balak e tutto Moab cadrà per mano di quel popolo che avrebbero voluto maledire.
In questi anni anche noi abbiamo fatto un’esperienza simile. Mentre molte persone si avvicinavano a noi, entusiasmate dalla proposta ecumenica, qualcuno ha voluto metterci in cattiva luce, attuando anche una estenuante campagna denigratoria, ricorrendo a mezzi più o meno espliciti di ingerenza nelle scelte dell’autorità pubblica. Alcuni non hanno ceduto per convinzione, altri non hanno ceduto per convenienza, altri ancora hanno ceduto la propria libertà e la propria coscienza, svendendola alla logica distruttiva del più forte.
Sembra incredibile che ancor oggi, mentre tutte le Chiese dichiarano la necessità della riconciliazione e della unità tra gli uomini, qualcuno in esse viva ancora con una mentalità medievale, pensando che una singola esperienza religiosa abbia da sola la verità divina racchiusa nelle mani e con essa voglia schiacciare la coscienza e la libertà delle persone! E quel che è ancora più triste è che qualcuno, supinamente, accetta di farsi schiacciare. Se queste persone avessero impiegato la metà del tempo che hanno usato per gettare fango su di noi e screditarci, per farci terra bruciata attorno, solo la metà di quel tempo per accostarsi alla Parola di Dio, si sarebbero accorti quanto lontani sono dalla volontà e dal modo di agire di Dio e del Signore Gesù. Quest’Ordine rispetterà sempre tutti, ma innanzitutto perseguirà e rispetterà la Verità che ci rende liberi!
Come abbiamo ascoltato nella prima lettura, Dio non consente e non consentirà che l’Opera sua venga depredata! Tant’è che noi oggi siamo ancora e di nuovo qui a continuare il nostro cammino, crescendo persino con una nuova Sorella che oggi entra nella Comunità dei Discepoli. In questo modo il Signore ci rinnova l’invito a fare uso buono della nostra libertà, che egli stesso ci ha donato perché noi ne facciamo un dono ed uno strumento di promozione di noi stessi e degli altri, e non certo perché la usiamo per distruzione della vita di colui che osiamo persino chiamare “fratello”.
Il Signore ci aiuti a camminare con fede, gioia, libertà e senza rancore, così che anche le nostre tende – piccole ma accoglienti verso tutti – potranno essere come giardini lungo un fiume, come àloe che il Signore ha piantato e come cedri lungo le acque.
3. Mia cara Sorella Alicia, che oggi entri a pieno titolo nella nostra Comunità Monastica Ecumenica, permettimi ora di rivolgermi specialmente a te. Dopo un cammino nella Comunità delle Folle, hai scelto e chiesto di emettere la tua Professione religiosa nella Comunità dei Discepoli. Rispondi così alla chiamata del Signore, che non ti chiede di cambiare vita, né di cambiare confessione di religiosa. Ti chiede solo di continuare a vivere la tua fede e l’appartenenza alla tua chiesa con uno spirito nuovo, con una nuova consapevolezza: cioè con una costante dedizione e passione verso l’anelito di Gesù che ha pregato ed offerto se stesso per la salvezza degli uomini e perché i suoi discepoli rimanessero uniti. La rete della Chiesa noi uomini l’abbiamo lacerata! Non possiamo quindi non sentire il peso e la responsabilità delle nostre azioni, che ci hanno allontanato da coloro che il Signore ci aveva donato come fratelli e sorelle. Aderendo alla spiritualità della Christiana Fraternitastu accogli nella tua vita la missione dell’unità. Sì! La preghiera e la testimonianza dell’unità sono una vera e propria forma di missione. Scegliere di pregare insieme, di vivere insieme, di operare insieme a fratelli e sorelle di altre Chiese vuol dire vivere una specifica missione, una specifica spiritualità. Essere missionari non vuol dire anzitutto fare adepti, fare proseliti. Essere missionari vuol dire mostrare il volto di amore di Gesù verso tutti gli uomini, qualunque sia la loro condizione di vita; vuol dire aiutare gli uomini a scoprire che la fede cristiana offre spazi di vita sempre più ampi e gioiosi; essere missionari vuol dire anche aiutare quanti portano il nome di Gesù a sentirsi e vivere come fratelli. Tutte le nostre Chiese di provenienza di sentono personalmente interpellate nella causa dell’ecumenismo. A livello centrale e apicale sono costituite commissioni teologiche di dialogo e confronto. Però occorre anche dire che a livello di base l’impegno ecumenico spesso si risolve in sporadiche iniziative ed incontri, spesso solo in veglie di preghiera. Tutte cose belle, ma non sufficienti, perché il fratello va conosciuto ed amato nella sua quotidiana esperienza di fede. Questa è la missione specifica della nostra Comunità e questo è ciò che noi abbiamo la presunzione di aggiungere all’esperienza normale della vita di fede che tutti facciamo nelle nostre amate Comunità: noi siamo un luogo in cui i cristiani possono conoscersi, condividere, sperimentarsi come una ricchezza gli uni per gli altri. Quante volte abbiamo partecipato a veglie ecumeniche e ci è sembrato di assistere ad uno spettacolo, ove ci si guardava con curiosità, come quando si va ad uno zoo per vedere con i propri occhi animali di cui fino ad allora avevamo sentito solo parlare o che avevamo visto solo in fotografia? La nostra spiritualità e missione è fare delle differenze e delle specificità un’esperienza positiva, un’esperienza che arricchisce, uno strumento di armonia accogliente e non di divisione. Questa è la specifica missione che oggi tu abbracci e sposi, cara Alicia.
Da oggi in poi, la tua vita personale, famigliare, lavorativa, di fede e monastica sarà un canto di lode al Signore che ti ha dato fratelli e sorelle, differenti da te, e che proprio perché diversi ti amano e sono da te amati. La tua vita sarà un canto ed un sacrificio di lode che incessantemente si innalzerà al Signore e Pastore Sommo ed Unico perché il suo gregge sia congregato in uno. Dalle cellule del tuo corpo, dal battito del tuo cuore, dalla voce delle tue labbra, dalla operosità delle tue mani, che si stringono amorevolmente a quelle dei tuoi fratelli e sorelle, si sprigionerà il canto di supplica: Facci uno, Signore! Abbatti gli steccati della diffidenza ed indifferenza, che recano morte, ed innalza i ponti del dialogo e della condivisione, costruisci le strade dell’incontro e dell’accoglienza, estendi gli spazzi dell’agorà! Della piazza dove gli uomini e le donne convivono con gioia, in pari dignità e con uguali diritti.
Questa sarà la tua spiritualità e la tua missione, questa è la nostra specifica missione: espedire e mostrare al mondo che si può essere uniti senza essere omologati, si può convivere senza essere assuefatti, si può costruire insieme senza distruggersi l’un l’altro.
Se è questo che vuoi mostrare al mondo, allora: Vieni, cara sorella, ed oggi anche figlia, Alicia! Vieni come un dono del Signore alla vita di tutti noi.
4. Il Padre cerca adoratori in spirito e verità! Questa frase di Gesù, tanto provocatrice quanto spesso disattesa, è risuonata con forza nel Vangelo. Alla Samaritana, che si poneva la domanda su quale fosse il vero luogo del culto, il luogo gradito a Dio, Gesù risponde che non esiste altro “luogo” gradito a Dio se non il cuore, la vita delle persone. Adoratori in spirito e verità questo vuol dire: non importa se adori a Gerusalemme o sul monte Garizim, importa se adori, nel tuo cuore e nella tua vita, ovunque ti trovi. E adori il Padre che è nei cieli, il quale riflette il suo volto in ogni uomo e donna, se rispetti, ami e servi la sua creatura prediletta. Questa centralità della persona, al di là della sua origine nazionale, culturale, sociale e persino religiosa, è l’affermazione più chiara del Nuovo Testamento. Gesù non ha mai amato questioni di distinzione o specificazioni quando si tratta delle persone e della loro vita: ha guarito i malati sempre di sabato, affermando la superiorità dell’uomo sulla legge; ha perdonato la adultera immediatamente, mostrando l’ipocrisia degli accusatori; ha guarito il paralitico alla piscina, sebbene fosse umanamente poco simpatico; ha accolto i greci esattamente come i figli di Israele; ha mangiato e bevuto insieme a pubblicani e peccatori.
L’uomo, la donna, la persona: questo è il pensiero primo ed ultimo del Signore! Noi siamo di Cristo solo se riusciamo a seguire il suo esempio, cioè se anche per noi la persona è al centro delle nostre attenzioni, del nostro rispetto sempre e comunque, anche a dispetto di questioni personali, teologiche, dottrinali e morali. Gli antichi autori cristiani dicevano: caro salutis cardo! La carne è via della salvezza! La salvezza è per l’uomo e l’uomo è via di salvezza.
Il nostro Ordine Monastico Ecumenico, attingendo al patrimonio comune dell’antropologia cristiana, compie ogni sforzo perché la persona sia sempre messa al centro: non c’è più giudeo né greco, né circonciso né incirconciso, né schiavo né libero, ci ricorda l’apostolo delle genti. Ogni altra questione, dinanzi alla gioia e alla vita delle persone, è sempre messa in secondo piano. Nessuna visione personale, nessun convincimento individuale o comunitario può mai farci dimenticare la inviolabile sacralità della persona. Ciò che oggi è patrimonio della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo proprio dal cristianesimo e dalla sua teologia sul concetto di persona ha preso inizio e forma. E, tuttavia, non possiamo non constatare, con profonda amarezza, che proprio nelle Chiese questo patrimonio è talvolta dimenticato e la persona è sottoposta a principi e assiomi. L’uomo, il suo valore, la sua dignità, ed il servizio all’uomo sono, invece, il vasto campo in cui le fedi cristiane ed anche le altre fedi possono sempre incontrarsi. Nell’uomo, in ogni uomo e donna, è presente Cristo come egli stesso ci ha detto. Il padre del monachesimo europeo, Benedetto da Norcia, al quale ispiriamo la nostra vita comunitaria, lo aveva compreso ed espresso bene nella sua famosa massima: Nihil amori Christi praeponere. Nulla anteporre all’amore di Cristo. Questa è la via comune che noi ci sforziamo e sempre ci sforzeremo di perseguire: la centralità della persona! Non anteporre nulla all’amore di Cristo si rende vero e credibile nel non anteporre nulla all’amore del fratello. Questo può essere uno dei significati del tema scelto dal Consiglio Ecumenico delle Chiese per la attuale settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: Cercate di essere veramente giusti (Dt 16,18-20)!Tutti sappiamo che nel linguaggio biblico la giustizia di Dio si manifesta anzitutto nell’amore verso l’uomo, nel riscattarlo dal suo peccato, nel restituirgli la libertà e dignità; la giustizia divina si manifesta infine nella sua predilezione e custodia dei poveri.
5. Cari fratelli e sorelle, continuiamo il nostro cammino ed accogliamoci sempre reciprocamente con rispetto e amore fraterno, perché tutti siamo membri della stirpe eletta, del sacerdozio regale, del popolo che Dio si è scelto. Ed oggi accogliamo con particolare gioia il dono di una nuova pietra viva, nell’edificio spirituale del nostro Ordine, attraverso la nostra sorella Alicia. In lei, come in ciascuno di noi, riconosciamo un dono del Signore alla nostra vita e al nostro cammino di sequela di Gesù. Cari fratelli e sorelle, monaci e monache di questo nostro amato Ordine, possiamo affermare che in questo giorno di grazia tutto cambia: cambiamo noi, perché non siamo più quelli degli inizi ma ci viene elargito il dono di una nuova sorella, e cambia Alicia, perché non è più solo lei, ma è lei e la sua comunità monastica. Cambiare per accogliere qualcuno è sempre un dono del Signore; vuol dire prendere la propria tenda e spostarla o renderla più spaziosa per la gioia di un progetto che, in questa crescita, dimostra di non appartenerci. Noi siamo strumenti, l’opera è e resta Sua! Amen, alleluja!
Rev. Francesco Tenna (Chiesa Cattolico-Romana), Protopresbitero Antonio Lotti (Patrircato di Mosca), Ieromonaco Archimandrita Arsenio Aghiarsenita (Patriarcato ecumenico di Costantinopoli), Rev. Can. Michael Rusk, Ven.le Arc. Walter Bear, Commendataria Maria Vittoria Longhitano (Chiesa Episcopale). Di lato, la Prof.ssa Carmen Galluzzo Motolese, Delegata del Sindaco per i Rapporti con le Realtà Religiose
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