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I domenica d'Avvento: "Mi voltai per vedere" (Ap 1,12) La speranza per una Chiesa che è capace di contemplare.

"...ho deciso di dedicare, ed inaugurare con il Tempo dell’Avvento, una riflessione comunitaria sul libro dell’Apocalisse. I motivi sono molteplici e tutti importanti: anzitutto il libro dell’Apocalisse ci educa a prendere sul serio la storia ed i suoi avvenimenti, dando essi però una lettura sapienziale e profetica; ci insegna cioè a leggere ciò che accade con lo sguardo di Dio". Sono le parole tratte dall'omelia dell'Abate dom Antonio Perrella che hanno aperto le predicazioni del Tempo d'Avvento alla Christiana Fraternitas sul Libro dell'Apocalisse.

Sabato 30 novembre 2024, presso la Cappella monastica ecumenica "Santi Benedetto e Scolastica", si è inaugurato il tempo d'Avvento alla Christiana Fraternitas con la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola arricchita - come ormai da tradizione - dal lucernario tratto dalle "Constitutiones Apostolorum". Ogni settimana d'avvento l'Abate dom Antonio Perrella terrà la predicazione sul Libro dell'Apocalisse. Sarà un testo oggetto di indagine anche delle Lectio che proseguiranno mensilmente durante l'anno.



Testo integrale della I predicazione sul primo Capitolo

del Libro dell'Apocalisse

del nostro Rev. mo Abate dom Antonio Perrella


«Mi voltai per vedere» (Ap 1,12):

La speranza per una Chiesa che è capace di contemplare


Carissimi Fratelli e Sorelle, Cari Amici ed Amiche,


la bontà misericordiosa del nostro Dio (Lc 1,78) ci dona un nuovo anno liturgico, un nuovo tempo di grazia per lasciarci plasmare dal suo Spirito e conformarci all’immagine di Gesù Cristo, nel quale abita corporalmente la pienezza della divinità (Col 2,9). Celebrare l’Avvento, prepararsi alla commemorazione del Natale di nostro Signore è ben più che apprestarsi a vivere un ricordo, significa piuttosto permettere a Gesù di nascere nella Betlemme della nostra esistenza, per trasformarla da un villaggio insignificante, sperduto ai confini del mondo, nel centro della vita e della storia, nel punto scatenante una rivoluzione definitiva della storia di ciascuno e dell’umanità. Non siamo qui a soddisfare i nostri sentimenti religiosi; siamo qui per permettere a Dio di scombussolarci la vita e di compiere, attraverso di noi, il suo progetto di salvezza sull’umanità. Possiamo dire che ogni Avvento è il tempo della decisione; ma è capace di decidere solo chi ancora nutre speranza, perché nel suo cuore porta sogni… Spesso ci lasciamo trascinare dal flusso della vita che scorre sempre uguale, perché abbiamo smesso di sperare; ed abbiamo smesso di sperare perché abbiamo smesso di credere e di sognare.

L’Avvento, in ambito celebrativo, porta con sé una iridescenza di colori: il viola dell’attesa, una volta si usava il blu che rimandava ai cieli nuovi e alla maternità di Maria, il bianco della gioia e l’oro della luce; ma anche le multicolorate luci dell’albero, degli addobbi e dei presepi nell’ambito della tradizione. I linguaggi simbolici della liturgia e della tradizione in fondo vogliono educarci al recupero della multiforme colorazione della vita, ma questo non può essere relegato ad un tempo – come quello natalizio – in cui “si può dare di più” o perché “a Natale siamo tutti più buoni” e altre stucchevoli frasi inutili che oramai sono diventati oppiacei della coscienza…

No! Il tempo dell’Avvento è tempo del recupero della speranza e, quindi, è il tempo della scelta!

Per questo motivo ho deciso di dedicare, ed inaugurare con il Tempo dell’Avvento, una riflessione comunitaria sul libro dell’Apocalisse. I motivi sono molteplici e tutti importanti: anzitutto il libro dell’Apocalisse ci educa a prendere sul serio la storia ed i suoi avvenimenti, dando essi però una lettura sapienziale e profetica; ci insegna cioè a leggere ciò che accade con lo sguardo di Dio. Di conseguenza – ed è il secondo motivo della scelta – essa ci fa guardare al futuro con speranza. Oggi, lo sguardo umano sulla storia è infettato dal pessimismo: si ha la sensazione che stiamo andando verso un’epoca di autodistruzione. Lo sguardo umano sulla storia si limita a registrare i fenomeni, lo sguardo di Dio sulla storia invece permette di agire, di intervenire, di reagire alla situazione; è con la forza che proviene dal guardare dalla parte di Dio che si decide di non subire gli eventi, ma di viverli e di orientarli verso la edificazione del Bene. Ed infine, l’Apocalisse ci parla con un linguaggio simbolico. Ho scelto di dedicare questo tempo indeterminato a questo meraviglioso libro del Nuovo Testamento perché il suo linguaggio, che sembra così distante dal nostro per le sue immagini ed i suoi contenuti, in realtà proprio perché simbolico è così vicino a noi, che possiamo definirci una società di immagini. Oggi le parole raramente sono ascoltate, ma le immagini invece sono sempre guardate, basta pensare ad Instagram o a tik tok... Prima leggevamo i libri, poi siamo passati ai fumetti ed infine alla televisione. Si è ridotto lo spazio della parola, per dilatare a dismisura – possiamo dire - lo spazio delle immagini.


Entriamo ora nel vestibolo del testo, immergiamoci nella lettura e nella meditazione di questo prezioso libro e soprattutto nella Parola di Dio che esso contiene.


Il primo capitolo è breve: è infatti costituito di appena 20 versetti, che però sono di una densità enorme.


Titolo:

1Rivelazione di Gesù Cristo, al quale Dio la consegnò per mostrare ai suoi servi le cose che dovranno accadere tra breve. Ed egli la manifestò, inviandola per mezzo del suo angelo al suo servo Giovanni, 2il quale attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto.


I primi due versetti costituiscono quello che classicamente viene definito titolo. Il titolo, nella Lettere del Nuovo Testamento è costituito dall’indirizzo, ovvero dal saluto con il nome dell’autore e dei destinatari.

Ciò che colpisce di questo titolo è il fatto che l’autore non attribuisca il testo a sé stesso, ma ultimamente a Dio. Nel titolo infatti è detto che il contenuto del libro è la rivelazione delle cose che devono accadere che Dio stesso ha consegnato a Gesù, il quale per mezzo di un angelo l’ha inviata a Giovanni ed infine, tramite costui, a tutta la Chiesa. Questo tipo di attribuzione ci fa comprendere che Giovanni comprende sé stesso come l’ultimo intermediario di un messaggio che proviene direttamente da Dio. Si tratta di una apocalisse, cioè di una rivelazione. Ed infatti il Libro, oggetto della nostra indagine, cercherà di togliere il velo da ciò accade perché i credenti lo comprendano. Il fine del Libro non è annunciare fatti futuri, ma offrire chiavi di interpretazione per comprendere ciò che è accaduto, ciò accade e ciò che accadrà; e queste chiavi di interpretazioni provengono da Dio. Solo lo sguardo di Dio e solo guardare dalla prospettiva di Dio permette all’uomo di districarsi nei meandri della storia: senza Dio la storia rimane un labirinto inespugnabile ed incomprensibile.

Inoltre, Dio sceglie una precisa forma di comunicazione. L’autore dell’Apocalisse dice che Dio comunicò in forma simbolica. Usa un verbo preciso σημαίνω (semaíno) che non vuol dire solo comunicare, trasmettere bensì comunicare con segni, con simboli. Questa peculiare forma di comunicazione, infatti, richiede che l’interprete scruti e non si limiti a guardare, che faccia lo sforzo di decodificare i simboli e non si accontenti di descriverli. Sì, Dio chiede all’uomo lo sforzo di comprendere! Ad una umanità, intrisa di slogan a facile mercato, di frasette svendute come se fossero lezioni di vita, l’Apocalisse rivendica la necessità di riflettere, pensare, leggere gli eventi e scrutarli per poterli comprendere.


Macarismo o beatitudine:

3Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e custodiscono le cose che vi sono scritte: il tempo infatti è vicino.


Il terzo versetto contiene una beatitudine, come quelle pronunciate da Gesù nel discorso della montagna (Mt 5, 7-29). Non è l’unica beatitudine dell’Apocalisse. Ve ne sono ben sette (1,3; 14,13; 16,15; 19,9; 20,6; 22,7.14). Questa prima beatitudine è come un preludio a ciò che seguirà. Viene proclamato beato sia chi legge il testo sia chi lo ascolta. Evidentemente fa riferimento ad un uso liturgico di questo testo: c’è un lettore che proclama ed un’assemblea che ascolta. Proclamare la Parola ed ascoltare la Parola, contenuta in questo Libro, diviene fonte di beatitudine, perché nella celebrazione che trasforma la Parola in un Evento che si compie noi sperimentiamo che il kairòs è qui! La forza semantica di questa beatitudine è portentosa e meravigliosa: nella proclamazione liturgica la Parola diviene Evento, si compie, si realizza. Quindi, nella celebrazione si vive l’Evento della salvezza, qui ed ora. Se ascoltassimo queste parole con sufficiente fede, noi vivremmo ogni volta l’attimo della redenzione, il momento in cui i cieli sono stati squarciati dalla redenzione di Cristo e lo Spirito è stato riversato con abbondanza sulla terra.

Purtroppo non posso approfondire molto in questa omelia questa l’immagine, ma è così bella e densa che vale la pena spendere una parola in più. Secondo la tradizione antica, dopo il peccato di Adamo il cielo era stato chiuso. Tra cielo e terra si era estesa una diga. Nessuna comunicazione diretta poteva più avvenire tra Dio e gli uomini. Dio parlava con alcuni suoi eletti, mai con tutti. Ed anche gli eletti ascoltavano la sua voce tramite angeli e nessuno poteva vedere Dio faccia a faccia, tranne Mosè (Es 33,11). Quando Cristo versò il suo sangue, secondo il vangelo di Giovanni, Gesù consegnò lo Spirito (Gv 19, 30). Ovvero effuse lo Spirito. In quel momento preciso la diga fra il cielo e la terra franò e le acque impetuose della grazia di Dio precipitarono sulla terra che fu inondata dalla vivificante grazia di Dio. Il deserto si tramutò in una valle verdeggiante. Provate a immaginare una diga che crolla. A noi spaventa, perché l’acqua prima frenata ed ora liberata porta distruzione. Ma non pensate a questa esperienza umana terrificante. Fermatevi all’immagine, al simbolo. È potente! Una forza sovrastante cade sulla terra e la trasforma in luogo di vita; d’altronde abbiamo iniziato questa Celebrazione proprio con il canto dell’introito il quale ci ha fatto pregare: Roráte, caeli, désuper, et nubes plúant iustum.

Bene! Secondo la beatitudine di Ap 1,3 questo accade ogni volta che nella Celebrazione uno proclama e tutti ascoltano la Parola: si rende presente concretamente quell’Evento ed il cielo di nuovo apre le sue cataratte e la terra di nuovo è inondata dall’acqua dello Spirito e viene trasformata in germinazione di vita. Ecco il kairòs, il tempo favorevole!


Ho detto che questa beatitudine è preludio a ciò che segue.

Infatti i versetti 4-8 contengono un vero e proprio dialogo liturgico, con una serrata strutturata celebrativa:


Saluto dell’Autore:

4Giovanni, alle sette Chiese che sono in Asia: grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, e dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono, 5e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.


Risposta dossologica dell’assemblea:

A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, 6che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.


Ripresa dell’Autore:

7Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà,

anche quelli che lo trafissero,

e per lui tutte le tribù della terra

si batteranno il petto.


Risposta dell’assemblea:

Sì, Amen!


Conclusione di Cristo stesso:

8Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga,

Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!


Giovanni, che è poi questo lettore liturgico, saluta le Chiese con l’augurio di grazia e pace da parte di Dio, dei sette spiriti (cioè lo Spirito Santo, indicato con la totalità – sette – dei suoi doni) e di Gesù Cristo. Anche il numero delle Chiese (sette) è simbolico. Dalle lettere di Ignazio di Antiochia sappiamo che le Chiese dell’Asia Minore erano di più di quelle citate nell’Apocalisse, ma è evidente che l’Apocalisse fa simbolicamente riferimento alla totalità della Chiesa.


Dinanzi a questo saluto, l’assemblea eleva una lode che è anche una professione di fede in Cristo.

Tuttavia, l’Autore sente il bisogno di specificare: Non si tratta di un Cristo ideale o intimistico: è invece il Cristo, Dio e uomo, di carne, che è stato trafitto ed è risorto, che viene sulle nubi della sua gloria (il ritorno glorioso del Signore) per giudicare e dinanzi al quale tutti dovranno battersi il petto, cioè riconoscere il proprio peccato e la sua Signoria di misericordia.

Dopo che il popolo avrà accolto questa fede nel Cristo concreto ed avrà dato la sua risposta di assenso a questa fede (sì, amen) si sente la voce di Cristo stesso che proclama: «Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!».


Ognuna delle frasi che abbiamo ascoltato meriterebbe un’analisi approfondita, parola per parola, ma qui non è possibile. Qui vorrei rimarcare la certezza che Giovanni ha di entrare in contatto diretto con Gesù risorto nel dialogo liturgico e nell’assemblea liturgica. Lui ci trasmette la sua certezza che quella esperienza di conoscenza fisica di Cristo continua nella comunità ogni volta che è radunata per la celebrazione del Signore e l’ascolto della sua Parola.


Ed infatti i versetti rimanenti, dal v. 9 al v. 20, ci parlano proprio di questa esperienza del Risorto. Ascoltiamo il testo.


Situazione esistenziale dell’apostolo:

9Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù.


Giovanni si riconosce fratello dei credenti e compagno nella tribolazione. Evidentemente ci troviamo in un contesto di Chiesa perseguitata. L’apostolo stesso si trova a Patmos a causa della Parola e della testimonianza che ha dato a Cristo. Dalle fonti storiche sappiamo che Patmos era un’isola rocciosa usata dall’impero romano come luogo di esilio . Giovanni, quindi, possiamo dire che si trova esiliato, lontano dalla sua comunità mentre scrive.


Esperienza mistica di Cristo risorto

10Fui preso dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: 11«Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Èfeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa». 12Mi voltai per vedere la voce che parlava con me, e appena voltato vidi sette candelabri d’oro 13e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, con un abito lungo fino ai piedi e cinto al petto con una fascia d’oro. 14I capelli del suo capo erano candidi, simili a lana candida come neve. I suoi occhi erano come fiamma di fuoco. 15I piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente, purificato nel crogiuolo. La sua voce era simile al fragore di grandi acque. 16Teneva nella sua destra sette stelle e dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio, e il suo volto era come il sole quando splende in tutta la sua forza. 17Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la sua destra, disse: «Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, 18e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi. 19Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle presenti e quelle che devono accadere in seguito. 20Il senso nascosto delle sette stelle, che hai visto nella mia destra, e dei sette candelabri d’oro è questo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese, e i sette candelabri sono le sette Chiese.


Nel luogo del suo esilio, Giovanni, nel giorno del Signore (la domenica) ha un’esperienza mistica e la colloca nel quadro di una celebrazione liturgica. Questo espediente letterario ci fa comprendere quale fosse la comprensione dell’Autore: nel giorno del Signore, nella comunità radunata per lodare il Signore e ascoltare la sua Parola, Cristo in persona si rende presente. Non esiste un rapporto vero e concreto con Gesù che possa prescindere dalla comunità e dalla celebrazione. Quelli – e non altri - sono i luoghi in cui il Risorto si manifesta, si rende presente e parla alla sua Chiesa. L’illusione di un rapporto personale con Gesù che prescinda dall’esperienza comunitaria e celebrativa è definitivamente smascherata qui come – appunto - una illusione!

Un altro elemento da notare è che Giovanni sa che in ogni situazione storica, anche quella peggiore e umanamente più triste, Gesù risorto è presente ogni volta che la sua Chiesa lo celebra. È chiesa libera o clandestina, numerosa o povera di persona e mezzi, poco importa: la sua vera ricchezza è il fatto che il suo Signore si rende presente, Cristo risorto!

L’Autore dell’Apocalisse non si perde in letture disfattiste, in elenchi di situazioni problematiche, in analisi delle cause delle vicende storiche. Giovanni contempla l’agire di Dio in ogni situazione. Egli è l’immagine di una Chiesa e di un credente che sa contemplare! Sì, sa contemplare! Guarda la storia e vede dentro e oltre di essa; vede e vive i fatti ma legge dentro ed oltre di essi.

Quanto diverso è il suo sguardo sulle cose rispetto al nostro. Noi spendiamo ore in convegni su statistiche e letture sociologiche della situazione religiosa delle Chiese. Lui invece torna all’esperienza permanente: se c’è la Chiesa – anche la più ammaccata e meno imponente – che si raduna per la Parola e per celebrare, lì c’è Cristo.


Questa visione alta di fede sulle cose e sulla realtà ha, però, una radice spirituale. Diventa carisma di chi impara a vivere nello Spirito. Giovanni lo indica al v. 10: nel giorno del Signore mi ritrovai nel “pneuma”. Pneuma vuol dire spirito. Qualcuno lo riferisce allo spirito di Giovanni (forse alla sua anima), ma nella letteratura giovannea pneuma è lo Spirito Santo. Quindi in quella domenica l’Autore vive l’esperienza di “trovarsi, di essere nello Spirito”. Lo Spirito di Dio inabita noi dal nostro battesimo, ma noi dobbiamo vivere in Lui nella nostra esistenza quotidiana. Solo questa dimensione pneumatica, spirituale della vita ci consente di vedere le cose con chiarezza, di abitare significativamente la storia e di non rimanere schiacciati da essa.

In questa dimensione estatica e profetica al tempo stesso, Giovanni ascolta e vede. Le due cose vanno assieme: solo chi è disponibile all’ascolto può vedere; chi resta sordo alla Parola è un cieco. Nell’Evangelo di Giovanni, lo farà capire chiaramente al cap. 9, quando nella guarigione del cieco nato mostrerà che coloro che presumevano di vedere, in verità erano ciechi perché rifiutavano di ascoltare Gesù.

Dopo aver ascoltato la voce e dopo essersi voltato, finalmente lo Scrittore dell’Apocalisse vede. La visione ci è descritta con un simbolismo serrato.

Ci sono sette candelieri: simbolo delle Chiese, le Chiese che ha elencato poco prima e che sono il simbolo della totalità della Chiesa.

In mezzo ai candelieri, cioè nella Chiesa, c’è uno simile a Figlio d’uomo. Evidentemente si tratta di Gesù, il Figlio dell’uomo secondo la definizione di Dan 7,13 che lo stesso Signore prediligerà come definizione di sé stesso piuttosto che Figlio di Dio. Gesù sta in mezzo alle sette Chiese: si tratta di un rapporto a doppio senso di marcia: per incontrare Gesù bisogna stare nella Chiesa, ma la Chiesa è sé stessa solo se al centro mette Gesù e non sé stessa.

Questo Figlio d’uomo ha indosso abiti sacerdotali (abito lungo, fascia dorata) e prerogative divine (capelli candidi, occhi di fiamma, volto splendente come il sole). È Signore della Chiesa (ha in mano le sette stelle) ma anche l’unico che dice parole vere (dalla sua bocca usciva una spada a doppio taglio), che tagliano la realtà, cioè che separano il vero dal falso, il bene dal male.

Dinanzi a questa visione Giovanni riconosce la signorìa regale e sacerdotale di Cristo e cade prostrato ai suoi piedi, riconoscendo la sproporzione che c’è tra lui e Dio.

Dal riconoscimento della grandezza di Cristo Signore, nasce poi la forza di Giovanni (egli posò la sua destra su di me) e la missione che Gesù stesso gli affida (scrivi quello che hai visto).

Ancora una volta, lo Scrivente ci sorprende: si trova nella situazione più disperata possibile (probabilmente la prigionia) e lui, anziché gettare la spugna, guarda solo a Cristo e lo riconosce potente sulla Chiesa, sul mondo e sulla storia. Riesce a scorgere dentro e al di là dei fatti e, con quella sovrabbondanza di simboli, ci dice che, nonostante tutto, quello che sta vivendo – per quanto difficile e brutto dal punto di vista umano – invece corrisponde al disegno di Dio ed è frutto della signoria di Dio sulla storia. In quell’isola per esiliati egli può continuare la sua missione; in quella situazione di impedimento, egli rimane libero di annunciare l’Evangelo. Nessun potere umano lo può fermare, perché quel Figlio d’uomo ha posato la sua destra su di lui. Sconfitto e impossibilitato a fare qualsiasi cosa, si sente libero, vittorioso e inviato.


Quanto ha da dire ancora questa persona senza forze e senza voce alle Chiese di oggi così preoccupate del mondo e delle sue vicende! Quanta capacità hanno perso le chiese di guardare dentro la storia e contemplare oltre di essa per scorgervi il permanere di Cristo… Sì! Il permanere di Cristo! Lo dice lui stesso: Io sono il Primo e l’Ultimo, il Vivente!

Una Chiesa che contempla se lo ricorda sempre: Egli è il Vivente! E poco importa se le vicende sembrano sfavorevoli o difficili, Lui è presente; e poco importa se questa Chiesa è amata o odiata, Lui è presente; poco importa se questa Chiesa è riconosciuta dagli uomini o ritenuta un retaggio medievale ed inutile, Lui è presente; e poco importa se questa Chiesa possiede cattedrali o catapecchie, Lui è presente; se questa Chiesa è dotata di ministri potenti ed affermati o è solo una piccola famiglia di fratelli e sorelle, Lui è presente!


Cristo, Alfa e Omega, Primo e Ultimo, Signore del tempo e della storia, siamo qui davanti a te, per ascoltarti e celebrarti. Mostraci il tuo Volto!

Cristo, Alfa e Omega, Primo e Ultimo, Signore del tempo e della storia, siamo qui davanti a te, feriti dalle nostre storie personali e dalla storia dell’umanità. Mostrati a noi!

Cristo, Alfa e Omega, Primo e Ultimo, Signore del tempo e della storia, siamo qui davanti a te, certi solo di te e della tua Signorìa su tutto. Facci vedere dentro la storia ed oltre il visibile, posa la tua destra su di noi e noi torneremo a vivere, in questo tempo che è solo tua Grazia! Amen.

dom Antonio Perrella

Abate della Christiana Fraternitas


Qui sotto il video integrale della predicazione




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