Venerdì 11 ottobre 2019 la Comunità Monastica Ecumenica della Christiana Fraternitas si è stretta intorno al suo Abate per ringraziare il Signore per il dono del Ministero Abbaziale.
La Celebrazione Ecumenica della Parola si è svolta nella meravigliosa location di Villa Pantaleo in Taranto.
Per l'occasione ha predicato E. Galeone. Al termine della Celebrazione sr. Maria Grazia Bianco ha rivolto un pensiero di augurio all'Abate da parte di tutta la Comunità, al termine del quale, l'Abate Antonio ha preso parola per ringraziare tutti i presenti.
Dopo la preghiera si è tenuto un momento di festa e condivisione.
Testo integrale della meditazione di E. Galeone
Rev.mo Abate Antonio e cari fratelli e sorelle,
noi oggi siamo accorsi in questo luogo per ringraziare il Signore per le sue stupende opere.
Noi sappiamo che gli eventi di Dio non partono mai con clamore o accoglienza plateali. La presenza di Dio è come quella brezza leggera e quasi impercettibile che Elia avvertì sul monte Carmelo.
E noi oggi vogliamo stupirci di questa opera di Dio che è sebbene agli occhi degli uomini possa sembrare piccola essa è grande per la sua origine e paternità.
Ed è proprio questo che noi oggi vogliamo celebrare, la paternità divina che si esprime nelle sue molteplici forme.
Se vuoi essere padre impara ad essere figlio
La gloria di Dio è l’uomo vivente dicono le Sacre Scritture e la gloria indica il peso di una presenza, indica la responsabilità di accogliere e testimoniare la presenza paterna di Dio e ciascuno di noi a vario titolo è segno di questa gloria paterna.
Alcuni sono chiamati ad esercitare questa paternità nella feconda partecipazione di una famiglia, altri invece come custodi di una comunità ed altri ancora come educatori e protettori della vita nelle sue varie forme.
Ma per imparare ad essere padri siamo chiamati ad essere figli, alla scuola di quell’unico Padre che ci insegna la via della sapienza. Proprio come oggi le letture vogliono indicarci. Sapienza, ossia la capacità di gustare la via del bene e metterlo in pratica; Intelligenza, quella virtù che ci permettere di leggere dentro le cose e gli eventi e trarne il significato profondo e l’insegnamento per il nostro cammino. Siamo chiamati a camminare tenendo per mano queste due grandi virtù che ci conducono sulla strada tracciata per noi e per la nostra felicità. Ci accompagnano a intuire dove è il bene e a provare gusto nel praticarlo. Per questo è necessario imparare a rinunciare ad ogni forma di compromesso o comodità che forse ci indicano una strada più breve ma non certo quella che ci porta alla libertà e felicità vera.
Apparentemente sembra essere un paradosso ma noi acquistiamo sapienza e intelligenza quando scegliamo di gettar via tutto quello che riteniamo ricchezza come il proprio egoismo e la voglia di pensare solo a noi stessi a discapito della felicità altrui. Imparare a leggere gli eventi e le persone fuori di noi, trovare in essi il bene e farlo uscir fuori è la vera corona che ci rende Regali.
Una vita vissuta secondo questo cammino si moltiplica in fecondità, ti permette di andare spedito senza inciampare.
Un frutto non cade mai lontano dall’Albero
Cosa porta l’esercizio costante delle virtù della sapienza e dell’intelligenza? Indubbiamente porta i suoi frutti, che li riconosci subito perché non cadono lontani dall’albero. Figli che fanno frutti e frutti che fanno figli. Si, perché il frutto non ha solo il compito di allietare la bocca dell’uomo e nutrirlo ma un frutto senza seme svolge metà del suo compito o forse non lo svolge proprio. Se siamo figli di nostro Padre allora produrremo frutti ma se seguiamo la sua strada allora produrremo anche semi. Ecco che allora il Padre mentre ci ama e ci guida come figli ci prepara anche a partecipare della sua paternità. Il tempo è fondamentale, la sapienza sa attendere e l’intelligenza sa intravedere il momento opportuno. Ma tutto segue il tempo di grazia stabilito dall’Eterno. Mai spaventarsi se l’inizio è piccolo e debole, in fondo anche il seme della grande pianta di Senape lo è come ci insegna il Maestro.
Diventare Padre generatore di frutti di vita eterna
Quando i discepoli chiesero a Gesù di insegnar loro a pregare fu un vero shok spirituale perhcè il Maestro stravolse il concetto di relazione con Dio, da sempre visto come un Altro distaccato, impenetrabile a cui rivolgersi con paura quasi che una eccessiva confidenza poteva essere motivo di irritazione. Gesù chiama ed invita i fratelli a chiamare Dio Abbà, che potremmo tentare di tradurre con i termine Papà anche se permane per noi la concezione maschile del termine. Nel linguaggio semitico il termine non indicava una figura di sesso maschile quanto piuttosto un termine affettuoso da rivolgere a colui che si ama. Cosi una madre può chiamare suo figlio padre o una donna può chiamare sua sorella padre. Questo termine esprime intimità e fiducia nei confronti di chi si ama. Ecco che allora questa intimità con il nostro Dio ci permette di capire che rapporto siamo chiamati noi ad avere nei confronti di chi siamo chiamati ad essere responsabili e padri. Essere padri dalla generosità disinteressata (magnanimità) ad imitazione di Colui che pur non ritenendo una rapina essere simile a Dio donò tutta la sua vita senza pensare a se stesso ma al bene dei fratelli. Essere padri con umiltà, spesso confusa con la remissività ma che è una virtù che esprime la docilità ad essere accoglienti e disponibili ad essere modellati dai segni che Dio ci manda nella nostra vita anche attraverso i fratelli. Tutto questo e molto altro tuttavia non impediscono alle fragilità umane di emergere, esse possono creare conflitti che sono l’alimento principale dello spirito di Divisione. Un Padre è chiamato soprattutto ad esercitare il dono della Sopportazione, che nell’etimologi del termine indica il “caricare sopra” , il “su portare”, caricarsi di questo fardello e insegnare ai propri figli a fare altrettanto avendo un motivo unico, l’amore, l’amore che tutto spinge e supporta. Perché le differenze non possono creare conflitto ma accrescere l’unità se sono accolte con amore. Perché noi non siamo uniti da una ideologia ma perché abbiamo un medesimo Signore e Padre che ama senza discriminazione tutti i suoi figli, perché il battesimo ricevuto ci diversifica per carismi ma ci rende uguali per figliolanza. Perché la vocazione è anche una, quella della santità, quella della felicità nelle braccia di un unico Padre che si rende presente nella nostra diversità e ci rende uniti sotto la sua Paternità.
La Paternità non è autorità ma autorevolezza. Non è comando ma servizio.
Il Signore Gesù volendo lasciare ai suoi il testamento di amore, nel Vangelo di Giovanni al capitolo 13 ha descritto il suo lascito. Come voi sapete l’Evangelista Giovanni non racconta l’ultima cena del suo Signore. Una imperdonabile svista? Forse non era necessario dato che altri 3 evangelisti prima di lui lo avevano fatto? Eppure Giovanni nel gesto della lavanda dei piedi sta proprio raccontando l’Eucaristia, sta riconducendo quel gesto dello spezzare il pane al suo significato più profondo. Non è forse il servizio della lavanda dei piedi il frutto più autentico dell’Eucaristia? La consapevolezza di aver raggiunto la completezza della sua missione (fino alla fine) porta Cristo al gesto più eloquente dell’amore che nemmeno il tradimento può offuscare. Egli nel gesto di deporre le vesti esprime già la sua volontà di consegnare volontariamente la sua vita come servizio più totale. Nella lavanda dei piedi Gesù umilia se stesso e assume la forma di servo ( Fil 2,6-8 ). Inaccettabile per Pietro che non vuole un volto di Dio così. Dietro quel gesto di Pietro c’è fondamentalmente una fede ancora piccola e incapace di accettare davvero che Dio ci ami cosi tanto al punto da capovolgere le situazioni, è inaccettabile e forse oseremo dire più comodo avere un Dio che è distante in alto perché non si compromette con l’uomo ed è più facile da controllare con le nostre preghiere di richiesta. E’ comodo un Dio da guardare da lontano magari anche con timoroso rispetto e a cui chiedere ogni tanto qualche cosa. E’ davvero scomodo un Dio che entra nella nostra storia, interpella di accoglierlo e soprattutto ci chiede di permettergli di spiegarci in che modo ci ama, dando la vita in croce e salvandoci. È la condizione per avere parte alla sua eredità divina: senza l’accettazione di questa modalità di salvezza non esiste vita futura con Dio. Senza essere serviti non si può essere salvati. Ed ecco l’invito finale del gesto di Gesù: non è un mero invito ad essere umili, ma a dare la vita, perché solo cosi c’è salvezza. L’invito di Dio ad amarci e metterci al servizio di tutti non è un comando autoritario ma una parola autorevole perché prima di chiederci di amarci egli ci ha amato ed ha dato se stesso per noi. Non è venuto a comandarci ma a servirci ed ora chi chiede di essere come Lui. Il dono di se è l’essenza stessa di Dio ed il principio della salvezza. Il dono di Se caratterizza in sintesi questa paternità divina che vuole parteciparsi anche a noi.
Padre per Grazia
Carissimo Antonio, in questo orizzonte delineato dalla Parola di Dio si staglia il dono della paternità che egli un anno fa ha desiderato concederti non per tuo merito ma per la ricchezza della sua grazia. Nessuno può decidere come e quando il Signore può distribuire i suoi doni e nemmeno le vie attraverso le quali l’Eterno è giunto a te e ti ha chiamato ad essere Abate, ossia Padre secondo il cuore dell’unico Padre e Signore. Noi siamo piccoli e incapaci di comprendere gli imperscrutabili disegni dell’Altissimo, ma non possiamo far altro che ringraziare il Signore per questo giorno in cui celebriamo un anno della sua grazia che si è profusa attraverso le tue mani e le tue parole sulla comunità della Cristiana Fraternitas e su tutti coloro che sono entrati in relazione con essa. Il mio augurio e anche quello della comunità tutta ora chiede in prestito alcuni punti della regola aurea di San Benedetto sulla cui scia hai desiderato che la comunità si formasse.
“Dunque, quando uno assume il titolo di Abate deve imporsi ai propri discepoli con un duplice insegnamento, mostrando con i fatti più che con le parole tutto quello che è buono e santo: in altri termini, insegni oralmente i comandamenti del Signore ai discepoli più sensibili e recettivi, ma li presenti esemplificati nelle sue azioni ai più tardi e grossolani” (Regola II, 11-12), esercita dunque quella paternità che il Padre ti ha donato e che Cristo ti ha insegnato con l’esempio, per il bene di tutti a servizio della gioia. Su ispirazione dello Spirito hai scelto di dare alla comunità un respiro ecumenico concedendo asilo e diritto di cittadinanza e figliolanza ai fratelli di ogni confessione cristiana, ma soprattutto hai voluto che questa comunità avesse uno spirito inclusivo accogliendo anche chi per diverse ragioni è tenuto ai margini delle comunità religiose o escluso per i pregiudizi umani. Ti invito a seguire sempre questa logica dal respiro ecumeico ed inclusivo: “L’abate Si guardi dal fare preferenze nelle comunità” (Regola II, 16) cosi facendo esprimerai quell’amore universale di Dio che non fa preferenze di persone, che non ordina i suoi gusti in base al sesso, alle idee culturali religiose o politiche, che non divide in base alla diversità dell’orientamento sessuale o del colore della pelle, che non si ritiene appannaggio ed esclusività di qualcuno ma è Signore e Padre di tutti, che agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
“L’Abate Sappia inoltre che chi si assume l'impegno di dirigere le anime deve prepararsi a renderne conto e stia certo che, quanti sono i monaci di cui deve prendersi cura, tante solo le anime di cui nel giorno del giudizio sarà ritenuto responsabile di fronte a Dio, naturalmente oltre che della propria (Regola II, 37-38) Non avere timore ad accogliere infine lo spirito che anima questi due punti della Regola, non sono una minaccia ma una grande e luminosa responsabilità. Si, carissimo, il Signore ti ha affidato anche dei fratelli da guidare come padre, ma non avere paura perché il Signore quando sceglie abilita, quando chiama dona la grazia, ti chiede di donarti perché prima si è donato a te. L’unica cosa che tu possa fare è lasciarti servire da Cristo e una volta ricevuto il suo amore che tu possa, seguendo l’esempio, donarlo ai tuoi fratelli. “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda” (Gv 15, 16)
Per questo sii grato a Dio come noi lo siamo per il dono che ha fatto a te per questa comunità e per il dono di questa comunità per gli uomini e insieme eleviamo l’inno di lode per la grandezza di Dio che opera al di la dei nostri progetti e meriti.
A colui che in tutto ha potere di fare
molto più di quanto possiamo domandare o pensare,
secondo la potenza che gia opera in noi,
a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù
per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen (Ef 3 , 20-21).
(In foto lo scambio della pace dell'Abate con tutti i presenti e la consegna della pagella ricordo)
Testo integrale degli auguri della Comunità letto da sr. Maria Grazia Bianco, Segretaria dell'Ordine.
Si compie oggi il primo anno dal giorno della benedizione abbaziale del nostro abate, dom Antonio Perrella, quando ha assunto la conduzione e la guida spirituale della nostra comunità. Ed è con senso di rispetto, amicizia e affetto che gli manifestiamo stima e riconoscenza per averci attratti nella sua ricerca di verità, percorrendo i sentieri del bene e della giustizia, nella tensione verso Dio. Con la sua guida, per una delle vie misteriose dello Spirito che soffia dove vuole, dal canto dei modi gregoriani siamo pervenuti alla recita dei Salmi nella Liturgia delle Ore e andiamo scoprendo il senso del nostro essere - e sentirci - monaci di ispirazione benedettina: madri , padri, figli, nipoti, ognuno rimasto al suo posto nella famiglia e nella società, cerchiamo di cambiare prospettiva, nel tentativo di vivere il quotidiano alla luce della fede, di condividere una speranza e un progetto di una vita rinnovata nella disponibilità verso ľaltro. Una vita spesa in una prospettiva "ecumenica", in atteggiamento di ascolto secondo ľinvito di san Benedetto. Grazie dom Antonio per la tua opera volta a rivelare il talento interiore nascosto in tutti noi.
Testo integrale del discorso del Reverendissimo Abate dom Antonio Perrella
al termine della Celebrazione Ecumenica della Parola in occasione
del I Anniversario di Ministero Abbaziale.
Care Sorelle e cari Fratelli,
permettetemi ora un breve pensiero di ringraziamento al termine di questa nostra preghiera. Se non fosse ancora del tutto chiaro, questo è il momento per dirlo apertamente: questa sera abbiamo celebrato la “follia” di Dio e di chi accoglie il suo invito a seguirlo. È follia quella di Dio, quando sceglie di condividere con noi, poveri e insufficienti strumenti, progetti misteriosi che superficialmente possono apparire bizzarri, forse fuori luogo. E pensando a me e alla mia Comunità è follia anche la nostra, alla luce della sola ragione umana: il fatto di disporsi all’ascolto (cf Regola, Prologo) di questo invito divino e iniziare un progetto di vita religiosa rinnovata alla luce del contesto socio-culturale in cui ci è dato da vivere e in un tempo di assolutizzazioni da questa o quest’altra chiesa al sud Italia non può portare altro nome che follia. Ed in questa storia folle, io e la mia Comunità ci siamo pienamente compromessi.
Tantum aurora est – siamo soltanto all’alba! Con queste parole di Giovanni XXIII, di cui oggi la Chiesa Cattolica Romana celebra il ricordo, terminai il ringraziamento dopo la mia Benedizione Abbaziale. Con queste stesse parole intendo cominciare questa sera, perché sono convinto che esse racchiudano il senso della nostra esistenza come Ordine Monastico: il monaco si riconosce sempre in cammino, sempre all’alba, all’inizio della strada del quærere Deum (cercare Dio).
Ogni tappa è sempre un nuovo inizio, anche quando il cammino sembra farsi più arduo e complicato. Ma queste parole ci ricordano anche che il nostro cammino si snoda sotto la luce dell’aurora, della Stella del Mattino, quella che non conosce tramonto, Cristo Signore (cf Exsultet). È Lui la luce che ci guida, è Lui il fuoco che ci anima, è Lui la strada che vogliamo percorrere.
«Ho udito e fremette il mio cuore, a tal voce tremò il mio labbro, la carie entra nelle mie ossa e sotto di me tremano i miei passi. Ma io gioirò nel Signore, esulterò in Dio mio salvatore. Il Signore Dio è la mia forza, egli rende i miei piedi come quelli delle cerve e sulle alture mi fa camminare» (Ab 3,16.18-19). Il profeta Abacuc ci ricorda il motivo per cui noi facciamo ciò che facciamo: abbiamo udito la voce del Signore, egli ha acceso una fiamma nel nostro cuore, e noi l’abbiamo solo seguita come abbiamo saputo fare, anche quando questa voce era esigente, non ci lasciava tregua, non ci consentiva di respirare; persino quando sembrava condurci su sentieri pericolosi e vette vertiginose. Ci ha elevati ed umiliati, ci ha innalzati ed abbassati. E noi semplicemente abbiamo udito la sua voce e l’abbiamo seguita. Quella voce ci ha sedotto, come accaduto al profeta Geremia: «Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno; ognuno si fa beffe di me» (Ger 20,7).
Voi, miei cari Monaci e Monache, amati fratelli e sorelle, che siete la mia più grande gioia ed il dono più bello che il Signore potesse fare alla mia vita, sapete che in questo anno ho dovuto fare scelte difficili, ma sapete anche che queste scelte sempre le ho fatte alla luce della preghiera e per obbedire all’impegno assunto nella benedizione abbaziale di custodire ciascuna delle vostre anime, di cui dovrò rendere conto a Dio (cf Regola, II,6; Rito di benedizione dell’Abate, Formula per la consegna del pastorale). Se qualcuno voleva chiedere e pretendere cose contro la vostra coscienza, io ho sentito il bisogno di mettermi frammezzo, proprio per custodire e difendere, ad ogni costo, la libertà della vostra coscienza abitata dalla voce di Dio e la dignità delle vostre vite, delle vostre anime e dalla vostra vocazione. Sappiamo che è Dio che ci accompagna, e talvolta ci afferra e ci strattona, ma è sempre Lui, il solo al quale dobbiamo consegnare i nostri passi e la nostra vita; e mai a nessun altro, tanto meno a chi pretende di usurparne il posto.
Noi siamo e rimaniamo “outsider” della fede; in qualche modo siamo stati posti in una zona intermedia tra le istituzioni ecclesiali-ecclesiastiche, proprio per essere “zona neutra, casa di tutti”. Questo può dar fastidio a chi ha ridotto la fede ad una religione, la libertà dei figli di Dio alla obbedienza non all’ Evangelo ma a nuovi decaloghi di leggi scritte dagli uomini. Si sentono a posto, perché hanno seguito i loro codici, ma hanno dimenticato che l’amore di Cristo spinge verso ben altri lidi e confini. Non possiamo pensare ancora di essere cristiani e preoccuparci di avere mani e facce pulite. Se abbiamo lavorato per avere mani e facce pulite dovremmo sapere che questa sono per chi non vive la vita e la fede, ma si serve della fede per sopravvivere. Quando avvertissimo di avere mani e facce troppo pulite vi supplico di contemplare il Crocifisso. Il nostro Dio è quell’Uomo che sta sulla croce, di cui il profeta dice: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi» (Is 53,2), «tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto» (Is 52,14). Lui, il Signore Gesù, «disprezzato e reietto dagli uomini, […] come uno davanti al quale ci si copre la faccia»; Lui di cui «non avevano alcuna stima» (Is 53,3) rimane il nostro unico esempio e modello: non cerchiamo conferme nei riconoscimenti umani, non desideriamo applausi e soddisfazioni personali; noi cerchiamo unicamente Dio nella nostra vita e in questa ricerca speriamo che si lascino attrarre quante più persone, perché trovando Dio possano trovare se stesse. Ecco perché questa sera non temiamo di presentarci al mondo anche un po' ammaccati dai miseri avvenimenti estivi.
Sento ora il bisogno di elevare un gioioso inno di ringraziamento per il cammino compiuto in quest’anno: ringrazio la Trinità Santissima, comunità d’amore, che in questo dolce vortice ci ha coinvolti e di cui ci ha resi partecipi; grazie ai miei Monaci e Monache e chi ha iniziato il cammino di discernimento per diventarlo, che con amore vero di fratelli e sorelle, hanno condiviso gli uni i pesi e le gioie degli altri. Come scrive l’apostolo: «Chi è debole, che anch'io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?» (2Cor 11,29). Così siamo stati noi: attaccati a Cristo e attaccati gli uni agli altri, fino a diventare davvero membra di un corpo solo. Grazie di cuore a quanti ci hanno arricchito con la loro presenza e la loro parola ed in particolare grazie al Rev. Emiliano Galeone per l’omelia e le parole che mi ha indirizzato è stata condivisione di una fede vissuta e non a malapena di una dottrina imparata. (Grazie ai Pastori e Teologi delle Chiese, che ci hanno spezzato il pane della Parola, facendola scaturire dai loro cuori e dalle loro vite, perché noi fossimo arricchiti). Grazie ai Consiglieri del Capitolo Apostolico ed a quanti, con la presenza e l’aiuto, rimettendoci un po’ del proprio, avete sostenuto il nostro cammino. Grazie a tutti voi, fratelli e sorelle, che ci seguite e, con il vostro semplice esserci, ci confermate nella volontà di consacrarci a Dio per l’unità della sua Chiesa. Anche se questa sera non faccio nomi, per evitare di dimenticare qualcuno, sappiate che voi, ciascuno di voi, personalmente, è presente nel nostro cuore grato e nella nostra costante preghiera, perché il Signore vi elargisca ogni sua grazia e benedizione.
Infine, vorrei concludere con un aneddoto raccontato dal Card. Loris Francesco Capovilla, segretario personale di Giovanni XXIII. Poco prima che il Papa morisse, il suo segretario si accostò al suo capezzale e gli disse: «Santità, mi perdoni se non sono stato l’uomo che Lei meritava ma vi ho dato me stesso con sincerità, con fedeltà». Ed il Papa morente gli rispose: «Loris, lascia stare. Non pensare a queste cose. Noi abbiamo fatto solo il nostro servizio, ciò che era la volontà di Dio. Al di fuori del Nome, del Regno, della volontà del Signore, non c’è altro. Siamo andati avanti, non ci siamo soffermati a raccattare i sassi che qualche volta, al di là e al di qua della strada, ci venivano lanciati addosso. Abbiamo taciuto, abbiamo perdonato, abbiamo amato. Sì, soprattutto questo, abbiamo amato!».
Proprio con questo spirito e con queste parole, noi vogliamo continuare il cammino. Il Signore benedica tutti e ciascuno di voi! Grazie!
Qui sotto l'immagine e la preghiera della pagellina ricordo.
Qui sotto la magnifica facciata di Villa Pantaleo
TANTI AUGURI DI BUON I ANNIVERSARIO DI MINISTERO ABBAZIALE
AL NOSTRO ABATE ANTONIO!
SEMEL ABBAS, SEMPER ABBAS!!! Christus vincit! Christus regnat! Christus, Christus imperat! Antonio, Reverendissimo Abbati et omni monacho ei commisso Pax, vita, et salus perpetua. Tempora bona veniant, Pax Christi veniat, Regnum Christi veniat.
(Chiediamo scusa per la qualità delle foto. Ma Sono solo foto recuperate da qualche fedele presente. L'Ordine non ha provveduto al servizio fotografico).
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