Domenica "in Palmis" alla Christiana Fraternitas.
- Christiana Fraternitas
- 13 apr
- Tempo di lettura: 7 min
"Se in qualche modo è vero che la storia la scrivono i vincitori, è ovvio che essi evitino di scrivere il dolore degli sconfitti. Nel caso di Gesù, invece, ad essere rimasta scritta non è stata la “storia”, cioè la vittoria umana di scribi, farisei, sacerdoti che sono riusciti ad ottenere la sua uccisione da parte dei romani; ciò che è rimasto scritto, ciò che tutti ricordano è la “antistoria”, la vicenda di colui che è stato sconfitto ed è appeso alla croce. Per questo la morte di Gesù è la rivoluzione dell’antistoria sulla storia. Da quel momento in poi il mondo dovrà ascoltare il grido degli sconfitti, la voce degli ultimi, il pianto dei morenti: perché essi avranno la vera vittoria!". Alcune parole dell'omelia dell'Abate dom Antonio Perrella per la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola nella vigilia della domenica delle palme.
Anche alla Christiana Fraternitas, sabato 12 aprile 2025 alle ore 19.00, presso la Cappella "Santi Benedetto e Scolastica" si è dato inizio alla Grande Settimana con la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola e la commemorazione della Cena del Signore moderata dal nostro Abate Antonio Perrella. Non è mancato il segno dei rami d'olivo con la piccola processione.

Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro
Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella

Carissimi fratelli e sorelle, cari amici ed amiche,
accogliamo questi giorni che si aprono dinanzi a noi come un dono del Signore: sono i giorni della nostra salvezza, sono i giorni in cui ci viene manifestato l’amore infinito di Dio, sono i giorni in cui ritroviamo Lui ed in Lui ritroviamo noi stessi.
In questi giorni contempliamo e riviviamo nel mistero le opere della nostra salvezza. Le azioni che ci hanno restituito alla nostra dignità originaria, anzi che ci hanno elevati alla dignità di figli di Dio.
E poiché contempliamo l’agire di Dio, in questa Settimana Santa, fisseremo il nostro sguardo sui verbi, sulle azioni descritte dai Vangeli: da quei verbi coglieremo l’essenziale della rivelazione e della redenzione che ci viene donata.
Alla fine del percorso di questa Settimana Santa avremo come una sorta di vocabolario dei verbi della vita cristiana, una sorta di identikit dell’esistenza cristiana perché possa dirsi una vita cristiforme.
La liturgia della domenica delle palme è caratterizzata da due ascolti della Parola evangelica: il Vangelo della statio per la benedizione delle palme ed il Vangelo della celebrazione, cioè il racconto intero della passione del Signore. In questo anno liturgico ambedue i racconti sono tratti dal terzo Vangelo, quello cioè di Luca.
Questa felice particolarità ci permette di sottolineare una tenzione narrativa tra i due testi. Nel primo Gesù manda i suoi discepoli a Gerusalemme, poi egli stesso procede, avanza mentre viene salutato festosamente dalla folla. Ma verso dove va?
Lo dirà egli stesso all’inizio della cena: ho fortemente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi.
Gesù va verso il suo desiderio. Andare e desiderare: questa è la tensione narrativa di queste pagine del Vangelo. Il cammino di Gesù, il suo procedere è guidato dal suo desiderio.
Nel capitolo 5, al versetto 51, Luca ci dice che Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Il testo greco usa un’espressione significativa: sterízein to prósōpon – indurire la faccia. Essa significa che la decisione di Gesù di recarsi a Gerusalemme, incontro al suo destino, è ferma e definitiva.
Il filosofo Seneca lo ha detto con chiarezza: «Ducunt volentem fata, nolentem trahunt» (Il destino guida chi lo accetta, trascina chi si ribella:
(Epistulae Morales, 107,11). Certo, in Seneca quelle parole possono essere male interpretate, come se il fato sovrastasse l’uomo e questi dovesse arrendersi alla ineluttabilità del suo destino. Tuttavia, esse ci dicono anche che quando una persona trova il senso definitivo della sua vita, quando abbraccia quel senso e quel significato, lo vuole, lo desidera, allora ella è padrona della sua vita. Gesù indurisce la sua faccia, prende la sua ferma decisione di andare a Gerusalemme perché ha compreso che quello che lo attende – per quanto drammatico possa essere – non è l’essenza della sua vita, ma è la conseguenza di ciò che lui veramente desidera: donarsi per amore. Non accetterà la morte per la morte, la croce per la croce. Lo farà perché attraverso la croce e la morte rivelerà l’amore infinito del Padre, salverà gli uomini e imprimerà nella storia umana una forza nuova che sia capace di cambiarla dal di dentro. La morte di Gesù è come l’anti-storia. Questa parola di solito viene utilizzata per indicare ciò che nella scrittura ufficiale della storia viene dimenticato, persino censurato. Se in qualche modo è vero che la storia la scrivono i vincitori, è ovvio che essi evitino di scrivere il dolore degli sconfitti. Nel caso di Gesù, invece, ad essere rimasta scritta non è stata la “storia”, cioè la vittoria umana di scribi, farisei, sacerdoti che sono riusciti ad ottenere la sua uccisione da parte dei romani; ciò che è rimasto scritto, ciò che tutti ricordano è la “antistoria”, la vicenda di colui che è stato sconfitto ed è appeso alla croce. Per questo la morte di Gesù è la rivoluzione dell’antistoria sulla storia. Da quel momento in poi il mondo dovrà ascoltare il grido degli sconfitti, la voce degli ultimi, il pianto dei morenti: perché essi avranno la vera vittoria!
La morte di Gesù è la più grande rivoluzione che immette nella storia umana la forza di cambiare direzione: in un mondo in cui la vita umana era ritenuta meno che niente, egli – offrendo liberamente la sua esistenza – proclamerà l’inviolabile dignità della vita; in un mondo in cui il valore è dato al potere ed al possesso, egli con il suo sacrificio d’amore mostrerà che ha senso solo il dono e che solo sul dono di sé stessi si può edificare un mondo che non vada in frantumi.
Solo così possiamo comprendere la ferma decisione di Gesù Cristo di andare a Gerusalemme.
Dobbiamo, ora, domandarci: ma alla fine cosa Gesù veramente desiderava, tanto da dire di averlo desiderato ardentemente e tanto da perderci la vita?
Luca userà un costrutto interessante. Metterà sulle labbra di Gesù queste parole, letteralmente: ho desiderato con desiderio di mangiare questa pasqua con voi prima di soffrire. Ho desiderato con desiderio è un idiomatismo, cioè un’espressione propria di una lingua che non può essere efficacemente tradotta in un’altra lingua. In ebraico la ripetizione rafforza il significato. Così avviene per le forme superlative dell’aggettivo: per dire santissimo si ripete santo, santo, santo. Desiderare con desiderio, quindi, significa desiderare assolutamente, definitivamente, totalmente.
Platone, nel Simposio, ha scritto: «Chi desidera, desidera ciò che non ha, ciò che gli manca» (200a). Gesù invece desidera perché ama. E ama fino alla fine. Il suo desiderio non è mancanza, ma traboccamento. Per Origene, questo desiderio di condividere la Pasqua è segno della volontà di salvare: «Il desiderio di Cristo è la salvezza dell’uomo. Non mangia con noi perché ha fame, ma perché ha sete della nostra libertà» (Omelie su Luca, XXXVII,1). Non è un concetto semplice da esprimere, ma – se lo comprendiamo – abbiamo compreso la grandezza ineffabile del dono di amore di Dio. Gesù non desidera perché gli manchi qualcosa, non ci salva perché senza di noi alla sua gloria divina necessiti qualcosa.
Gesù desidera per accendere in noi il desiderio: il desiderio di lui, il desiderio di una vita piena come la sua, il desiderio di fare della nostra esistenza una forza rigeneratrice del mondo e della storia. Perché è questo che siamo a chiamati a fare: rigenerare il mondo e la storia con la forza del desiderio, esattamente come ha fatto Gesù.
«L’uomo è un essere narrativo, e la sua narrazione è sempre pellegrinaggio verso un senso» (Soi-même comme un autre, 1990). Queste parole di Paul Ricouer ci mettono davanti ad una domanda seria: quali sono i nostri desideri? E da questi desideri quali narrazioni nascono di noi? Perché siamo attratti verso un senso, ma qual è il senso che abbiamo dato alla nostra esistenza, in base ai desideri che abbiamo perseguito?
I Padri della Chiesa, nella sapienza che nasceva dalla loro esperienza di vita, in cui Dio era realmente il tutto della loro esistenza, hanno ripetutamente insegnato che Dio è il più grande desiderio del credente. Anzi, Dio è il Desiderante ed il Desiderato. È da noi desiderato perché egli per primo ci ha desiderati.
Gregorio di Nissa ci ricorda che il desiderio di Dio cresce mentre viene appagato, dirà: «Il nostro andare non ha fine, perché Dio è infinito. L’anima tende sempre verso l’alto, come attratta da un desiderio che cresce nell’appagamento» (La vita di Mosè, II,232). Quando entriamo nel desiderio vero, nel desiderio che rigenera la storia ed il mondo, sentiamo di aver raggiunto la meta, e tuttavia quella meta non ci basta, piuttosto fa scaturire un desiderio ancora più grande, ancora più profondo: questi sono i fiumi d’acqua viva che zampillano in colui che crede.
Clemente Alessandrino ci indica che il desiderio vero richiede una educazione del cuore: «Il desiderio autentico è un’educazione: ci purifica e ci porta verso ciò che è eterno» (Stromata, VI,9,71). Siamo troppo abituati a desideri in-educati o mal-educati. Il desiderio, quello vero, porta verso l’alto non verso il basso, conduce al senso non alla sua negazione, orienta verso il bene non verso il male. Oggi, in questa società che non sa dare i nomi alle cose, perché non si sofferma a pensare, i desideri sono confusi con i vizi, con le passioni.
Il desiderio, invece, è l’orientamento della vita verso un bene più grande, verso un senso che dà pienezza; per questo imprime la forza dell’andare, del camminare decisi.
In questa domenica delle palme, entriamo nel desiderio di Gesù e lo seguiamo nel suo andare deciso al compimento del suo amore. Durante il triduo comprenderemo in profondità il significato del suo desiderare e del suo camminare. Solo così potremo riappropriarci dei nostri veri desideri e del nostro vero andare. Amen.
dom Antonio Perrella +
Qui sotto il video integrale dell'omelia

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