"La celebrazione del Venerdì santo, con i suoi testi ed i suoi gesti, ci mostra in che modo Gesù ha realizzato il suo sacerdozio unico e irripetibile, ma ci mostra anche che la Chiesa è leitourghia nel senso neotestamentario del termine. La comunità di coloro che, nel battesimo, vengono innestati in Cristo, è una comunità di sacerdoti per il nostro Dio (come dice la prima Lettera di Pietro). La Chiesa celebra per vivere dello stesso sacerdozio di Cristo". Alcune parole dell'Abate dom Antonio per l'omelia della Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per il venerdì santo.
Anche alla Christiana Fraternitas, presso la Cappella "Santi Benedetto e Scolastica" in Lido Azzurro, Taranto, alle ore 14.30 di venerdì 7 aprile 2023, si è tenuta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola in Passione Domini.
Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro
Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella
Testi di riferimento: Is 52,13- 53,12; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1- 19,42
Cari fratelli e sorelle,
in questo giorno santo e benedetto, gli occhi del nostro cuore e del nostro spirito sono fissi su Gesù e su questo crocifisso.
Come ci ha ricordato la lettera agli Ebrei, è Lui il sommo sacerdote, che ci è stato donato: sacerdote compassionevole che ben conosce il patire, che prende parte alle nostre debolezze. Egli, nel corso della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime.
Ora, occorre che noi entriamo in questa preghiera di Gesù per comprendere il Suo modo di essere sacerdote, cioè mediatore unico tra Dio e gli uomini. L’autore della lettera fa riferimento – nel testo originale greco – ad un forte grido. I commentatori hanno spesso interpretato quella espressione come un rimando al grido di Gesù sulla croce, prima di morire. La lettera agli Ebrei afferma che Gesù, sommo sacerdote, ha pregato ed è stato esaudito. Tuttavia, Egli ha patito ed è morto. La Sua, quindi, non doveva essere una preghiera per essere liberato dalla morte nel senso che non chiedeva di non morire. I commentatori sono abbastanza concordi nell’affermare che la supplica di Gesù, nella lettera agli ebrei, viene lasciata con un contenuto incerto, proprio perché considerata aperta… Gesù ha chiesto di essere preservato dalla morte, ma ha chiesto anche che si compisse in Lui la volontà del Padre. Per questo ha accettato di dover passare dalla morte, prima di risorgere, perché aveva compreso che – nel disegno di Dio – quel passaggio era necessario per la redenzione umana. La preghiera di Gesù, quindi, è solidale, non è egoistica. Chiede ciò che ogni persona chiederebbe, ma rimane aperto al fatto che la strada da dover seguire sia una strada diversa. Segue quella strada e diviene Egli stesso vittima di espiazione per tutti gli uomini e le donne. Per questo la Sua preghiera viene esaudita, perché non chiede il bene immediato per sé, ma chiede il bene della salvezza per tutti, anche a costo di dover passare dalla morte, da cui verrà pure definitivamente liberato attraverso la risurrezione.
È in fondo, cari fratelli e sorelle, quello che anche noi tra un po’ compiremo. Secondo un’antica e bella tradizione cristiana, nel giorno del venerdì santo – mentre si contempla e si venera la croce di Cristo che si staglia come un ponte tra il cielo e la terra – noi, come battezzati, eleviamo a Dio la Preghiera universale. Presentiamo a Dio i bisogni della comunità dei credenti e della comunità umana in generale: in qualche modo ci uniamo alle braccia innalzate di Gesù che supplica perché Dio riversi la Sua grazia e la Sua misericordia sul mondo intero.
Alla luce di questa comprensione sacerdotale della persona e della preghiera di Gesù possiamo anche comprendere meglio la prima lettura, tratta da libro del profeta Isaia, che consiste nel quarto carme del Servo sofferente di Jahvè. Non mi addentro oggi nella questione se questo servo sia un soggetto personale o comunitario. È, però, evidente che la comunità cristiana ha interpretato quel testo in chiave cristologica. È Lui, Gesù, il servo che si addossa i nostri peccati, che portandoli su di sé, in sé, cancella il prezzo del nostro riscatto. La teologia del servo di Jahvè è fortemente segnata da una comprensione vicaria del soffrire e del morire: quello che avrebbe dovuto essere la sorte di tutti, la porta uno solo al posto di tutti. Così, infatti, il sommo sacerdote dirà espressamente per indurre alla condanna di Gesù: è meglio che perisca uno solo, anziché la nazione intera. Quando ci troviamo dinanzi al tema della sofferenza vicaria, spesso la nostra comprensione vacilla, anche se – permettetemi di dirlo – un po’ scioccamente. Chi sarebbe disposto a soffrire al posto di un altro? Semplice! Chi ama! Un esempio lo abbiamo nei genitori: quanti di questi, vedendo i figli soffrire, dicono a Dio: dai a me quella sofferenza e toglila a lui/lei?
Il servo di Jahvé – così come presentato nel testo che abbiamo ascoltato – è però vincitore, perché mentre viene circondato, travolto da una varietà immane di manifestazioni di odio, risponde con il Suo amore:
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca.
Anche nella sofferenza vicaria di Gesù si manifesta il Suo essere sacerdote unico della nuova alleanza e unico mediatore tra Dio e gli uomini: accogliendo su di sé la totalità del male e dell’odio umano e rispondendo ad essa con la totalità dell’amore divino, Egli sconfigge il male di dentro, lo infrange dal di dentro, esattamente come dal di dentro (dello sheol) infrangerà e sconfiggerà la morte! Nella comprensione veterotestamentaria del sacerdozio, infatti, il sacerdote offre il sacrificio per la espiazione, per la cancellazione delle colpe. Gesù Cristo è il sommo sacerdote, perché in Lui la colpa del mondo è sconfitta e cancellata. L’ha presa su di sé, l’ha portata Lui – come capro espiatorio per tutti – ed è cancellata per sempre! Giovanni dirà: chi crede in lui, non può peccare. Gesù Cristo avendo giustificato, avendo reso giusta l’umanità, essa non è più soggetta alla schiavitù del peccato ed è riconciliata per sempre con Dio! Affermare il contrario è come lasciarsi andare nella trappola più pericolosa del diavolo.
Tra un po’, noi ci avvicineremo alla croce salvatrice di Gesù: fisseremo i nostri occhi su Colui che abbiamo trafitto, tenderemo le nostre mani verso Colui che ci ha resi giusti, sfioreremo con le nostre labbra la rappresentazione scultore della carne umana immolata che ci ha riconciliati con Dio. Riconosceremo in Lui il sommo sacerdote che ha offerto se stesso come vittima, perché noi fossimo raggiunti e trasformati dall’amore misericordioso del Padre.
Nella proclamazione della passione di Cristo, secondo l’evangelista Giovanni, questi temi – desunti dalla prima e dalla seconda lettura – torneranno e se ne aggiungeranno di nuovi. Gesù si mostrerà come il servo sofferente, su cui si riversa la malvagità umana, nel suo arresto e nella sua condanna. Si mostrerà come il sacerdote che prega e intercede nella Sua crocifissione. Quando, però, il Suo sacrificio sarà compiuto, ed Egli avrà dichiarato la Sua sete della vita, della salvezza e dell’amore dell’uomo, e quando avrà effuso il Suo Spirito vivificante su ogni creatura, il Suo fianco verrà squarciato per farne scaturire sangue e acqua. I Padri hanno sempre interpretato l’acqua come il segno del battesimo ed il sangue come quello dell’Eucaristia. Le celebrazioni della Chiesa sono allora il permanere storico del sacrificio di Cristo; attraverso i segni della celebrazione la carne umana di Cristo – che è stata la via della nostra salvezza (caro salutis cardo) – continua ad essere immolata per la nostra redenzione. Gesù, il sommo sacerdote, che si è offerto una volta per tutte, ci ha offerto gli strumenti per rimanere in quel Suo sacrificio. Per questo, nelle chiese che tradizionalmente conservano il pane della cena avanzato (o conservato di proposito) il giovedì santo, proprio in questa liturgia odierna, prendono il pane ed il vino e fanno memoria delle parole e dei gesti di Gesù, perché attraverso quel pane e quel vino siamo messi in contatto, facciamo comunione al Suo corpo, per noi immolato, e al Suo sangue, per noi versato.
Cari fratelli e sorelle, la celebrazione del Venerdì santo, con i suoi testi ed i suoi gesti, ci mostra in che modo Gesù ha realizzato il suo sacerdozio unico e irripetibile, ma ci mostra anche che la Chiesa è leitourghia nel senso neotestamentario del termine. La comunità di coloro che, nel battesimo, vengono innestati in Cristo, è una comunità di sacerdoti per il nostro Dio (come dice la prima Lettera di Pietro). La Chiesa celebra per vivere dello stesso sacerdozio di Cristo.
E questo vuol dire: che la Chiesa vive sacerdotalmente se soffre con il peccatore e non se lo fa soffrire con le sue condanne ed esclusioni; che la Chiesa vive sacerdotalmente, se essa sta sempre davanti a Dio per supplicarlo di benedire gli uomini e non se essa li maledice con i suoi dogmi e precetti che schiavizzano l’uomo; che la Chiesa vive sacerdotalmente se da essa, come dal costato benedetto del Cristo, profluiscono sangue di amore e acqua di benedizione.
Chiesa, che sei popolo santo e benedetto, nazione di sacerdoti in Cristo, porzione eletta che Dio ha scelto, unto e santificato, tu sei quello che Gesù vuole se, come Lui, sei disposta a soffrire, a pagare in prima persona, perché l’umanità non venga usata ed abusata. Sei quello che devi essere se hai il coraggio di alzare la tua voce contro i sistemi politici ed economici disumani, anche a costo di perdere i tuoi privilegi sociali; sei quello che devi essere, se sei disposta a sporcarti per scendere nelle ferite dell’umanità per risollevarla, riscattarla, ridarle vita.
Chiesa santa e benedetta, celebra il Signore della vita, compi i gesti, pronuncia i testi della tua preghiera, ma ricordati che sei stata piantata in mezzo al mondo, perché il mondo si senta incondizionatamente amato da Dio. Fa’ memoria della tua redenzione e, quindi, ricordati di essere stata tu per prima salvata; così accosterai gli uomini e le donne, per portarli, con te, al Salvatore del mondo.
Chiesa santa e benedetta, che celebri le opere misericordiose di Dio, sii te stessa e, quindi, ama senza riserve, accogli senza limiti, soffri per l’umanità, immòlati perché l’uomo non sia più immolato al posto tuo.
Chiesa santa e benedetta, Sposa del Signore, che risplendi della gloria del tuo Signore, assieme Lui, compatisci le debolezze umane, bacia le ferite umane, e fa’ risplendere sul tuo volto umano il volto divino del tuo Sposo. Amen
dom Tonino +
Qui sotto il video della preghiera.
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