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Celebrazione "in Passione Domini" alla Christiana Fraternitas

"Se Gesù era pronto ad immolare se stesso sull’altare della verità, Pilato non esita ad immolare la verità sull’altare del suo opportunismo". Alcune parole dell'Abate dom Tonino per l'omelia della Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola per il venerdì santo.


Anche alla Christiana Fraternitas, presso la Cappella di Abbey House, alle ore 14.30 di venerdì 15 aprile 2022, si è tenuta la Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola in Passione Domini


Qui sotto il testo integrale dell'omelia del nostro

Reverendissimo Padre Abate dom Antonio Perrella



Testi di riferimento :

Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo l'Evangelo di Giovanni


Carissimi fratelli e sorelle, cari amici ed amiche!

In questo itinerario di celebrazione, di grazia e di contemplazione dell’amore di Dio, che è la settimana santa, giungiamo oggi al momento culminante della morte oblativa del Signore Gesù.

Abbiamo ascoltato il racconto della passione secondo il vangelo di Giovanni. L’evangelista fa precedere il racconto della crocifissione e della morte del Signore da “medaglioni” narrativi nei quali sono riportati alcuni dialoghi: quello tra Gesù e coloro che lo arrestano, tra Gesù con il sommo sacerdote, tra Pietro con la serva del sommo sacerdote, tra Gesù e Pilato, tra Gesù con Maria e Giovanni.

Tranne l’ultimo, tutti gli altri sono dialoghi inefficaci, perché gli interlocutori di Gesù non ascoltano. Sentono, ma non ascoltano. Danno cioè alle parole di Gesù non il significato che esse hanno sulle labbra di chi le pronuncia, ma quello che loro hanno nella loro mente. Sentono le parole, ma non le accolgono, le distorcono e le usano per i loro scopi. È il regno della menzogna, quello del principe di questo mondo, che tuttavia viene smascherato e spodestato da colui che è la Verità.

Il racconto evangelico inizia con la scena dell’arresto. Una torba di persone, capeggiate da Giuda, si presenta a Gesù, che per due volte domanderà: Chi cercate? Gli rispondono: Gesù, il Nazareno e Gesù di nuovo per due volte dirà: Sono io. Giovanni annota che, all’udire quelle parole indietreggiano e cadono a terra, e tuttavia non fermano il loro proposito di arrestare Gesù. L’evangelista sottolinea la reazione dei soldati che cadono a terra, perché Io Sono era il Nome con cui Dio si era rivelato a Mosè (cf. Es 3, 14). I soldati hanno udito quel Nome, ora riferito a Gesù, ma non tolgono i calzari come Mosè davanti il roveto ardente (cf. Es 3, 5), non si prostrano come a colui che riconoscevano come loro padre e liberatore. Hanno sentito, ma non hanno ascoltato. Non importa che Gesù si sia presentato come Dio e che lo abbia fatto con le parole rivolte da Dio al liberatore dell’Antico Testamento; sono lì per incatenare un uomo e lo fanno! Gesù avrebbe potuto dire qualsiasi cosa, sarebbero comunque andati avanti nel loro proposito omicida…

Avviene ugualmente dinanzi alle autorità religiose. Sappiamo da Giovanni che Gesù venne portato prima davanti ad Anna, suocero di Caifa, e poi dinanzi a quest’ultimo che era il sommo sacerdote in carica. Anche qui ci troviamo dinanzi alla sordità del cuore e della mente. Anzitutto succede un fatto davvero singolare. Anna effettivamente era stato sommo sacerdote ma in quel momento non lo era più ed è lui a porre domande al Signore, non colui che di per sé avrebbe dovuto farlo ovvero Caifa. Siamo dinanzi ad una manipolazione dell’ordinamento giudiziario. Hanno già deciso cosa deve accadere e, di nuovo, non importa cosa Gesù possa dire: la sentenza è stata scritta prima ancora di iniziare quel processo. Coloro che dovevano essere garanzia di diritto, diventano invece manipolatori della giustizia a discapito dell’innocente. Alle domande di Anna Gesù si limita a rispondere correttamente, come abbiamo ascoltato: Io ho parlato apertamente e davanti a tutti. Chiedi a chi vuoi. Gesù, con questa risposta, stava compiendo una difesa rigorosamente legale: era necessario ascoltare i testimoni, perché lui era parte in causa. Per ricostruire la verità dei fatti sarebbe bastato ascoltare chi era presente ai suoi insegnamenti. E davanti all’invito di Gesù ad ascoltare i testimoni qual è la reazione dei religiosi? Lo schiaffo del soldato che accusa Gesù di aver mancato di rispetto al sommo sacerdote! Dinanzi alla mancanza di argomenti oggettivi è facile accusare e condannare la parte più debole come se avesse compiuto un atto di lesa maestà. Quando dal contenuto, dalla sostanza si passa alla forma, allora è facile invertire e sovvertire il vero e giusto, per piegarli ai propri scopi meschini.

È in questa cornice che si innesta poi il dialogo tra Pietro e la serva del sommo sacerdote, in cui per tre volte Pietro negherà di essere discepolo di Gesù e persino di conoscerlo. Pietro aveva sentito le parole di Gesù – se uno si vergognerà di me dinanzi agli uomini, anche io mi vergognerò di lui dinanzi al Padre mio (Mc 8,38) – ma non le aveva ascoltate! In quelle parole di Gesù c’era l’invito al coraggio della testimonianza, che si radica sul fatto che – al di là di quello che gli uomini possono farci – solo Dio deve essere il nostro pensiero e colui al quale deve rendere ragione la nostra coscienza e nessun altro. Ma Pietro, che pure era presente quando Gesù pronunciò quelle parole, non le aveva accolte nel suo cuore.

Non diverso è il dialogo tra Gesù e Pilato, sebbene il governatore in questa pericope venga presentato con le migliori intenzioni di liberarlo. Il dialogo tra Pilato e Gesù verte fondamentalmente su tre temi, a cui qui possiamo solo accennare: il regno, la verità e l’origine di Gesù. Questi tre temi, sulle labbra degli interlocutori, hanno significati totalmente differenti: per Pilato un regno è un territorio ed una potenza militare che lo difende. Per Gesù il regno è la presenza di Dio nelle persone e nella storia del mondo e si fa strada anche nella sua vicenda di apparente sconfitta. Sulla verità invece c’è la chiusura di Pilato. Quando Gesù infatti dirà di essere venuto a dare testimonianza alla verità, Pilato rispondere con una domanda retorica: che cos’è la verità? In queste parole si rivela la sfiducia pessimista di Pilato che non crede affatto che esista una verità. Per lui, abile e spietato politico, esiste solo l’utile, l’opportuno, tanto che – quando si accorgerà che liberare Gesù sarebbe stato politicamente rischioso per lui – non esita ad abbandonarlo alla volontà dei suoi accusatori. Se Gesù era pronto ad immolare se stesso sull’altare della verità, Pilato non esita ad immolare la verità sull’altare del suo opportunismo. La stessa dinamica si realizza nel segmento di dialogo che riguarda l’origine di Gesù. Pilato domanda: da dove vieni? Esprime così di percepire che in Gesù c’è una forza interiore a lui sconosciuta. È un po’ come quando noi, davanti ad una persona che ci sembra eccezionale, diciamo: «ma da quale pianeta scendi?». A quella domanda Gesù non risponderà. Pilato allora incalzerà: io ho il potere di darti la vita e la morte e tu non mi rispondi? Solo allora Gesù risponderà dicendo a Pilato che lui può decidere perché questa possibilità e questa autorità servono il progetto più grande di Dio che vuole che si compia quel sacrificio. Ma qui Pilato si fermerà: non è disposto ad ascoltare discorsi che minino la sua supremazia ed autorità indiscusse. Non c’è Dio dinanzi al quale sia disposto ad inchinarsi, non c’è verità per la quale sia pronto a spendersi.

In questi medaglioni narrativi ci sono due mondi differenti a confronto: quello di chi si dona e quello di chi rifiuta e violenta e si tura gli orecchi per non essere costretto ad ammettere la propria nefandezza e mediocrità.

Solo sulla Croce le cose cambiano. Gesù parlerà a Maria, sua madre, ed a Giovanni; ed i due taceranno e faranno ciò che hanno ascoltato. Hanno udito ed ascoltato, cioè accolto, per questo tacciono.

Il silenzio e solo il silenzio è lo spazio in cui può realizzarsi un ascolto vero, quello cioè di chi si fa scendere le parole nel cuore e si lascia coinvolgere e persino travolgere e sconvolgere da quelle parole. Ecco perché il profeta Sofonia invita ad ascoltare la voce di Dio nel silenzio: silete ante faciem Domini (Sf 1, 7). Pensiamo a Maria: era lì a vedere suo figlio morire ingiustamente e in quel modo. Avrebbe potuto dire: «adesso basta! Non chiedermi altro; non ne ho le forze»; ed invece no. Così Giovanni avrebbe potuto rispondere: «Maestro, tu stai morendo, noi finiremo, forse faremo la tua stessa fine. Lasciami tornare in pace alle mie cose». Ed invece no!


Tranne Maria e Giovanni, tutti gli altri hanno orecchi e non odono! (Sal 114) Quanto è difficile ascoltare! Siamo tutti capaci di sentire; abbiamo le orecchi per questo! Ma quanto poco siamo disposti ad ascoltare! E non importa se le parole si impongano con la loro evidenza, siamo pronti ad ignorarle; non importa se il Signore ci metta davanti i fatti, non siamo disposti a scomodare le nostre certezze e posizioni, per incamminarci verso l’incerto…

Quante parole sprecate, quanti dialoghi falsi; quanti dialoghi tra sordi che assomigliano più a monologhi nei quali ognuno sembra parlare con se stesso, piuttosto che con l’altro che gli sta davanti.

Ascoltare vuol dire protendersi verso l’altro, fargli spazio, permettergli di entrare nelle vene più profonde della mia esistenza, consentirgli di entrare nella casa della mia vita e cambiarla, perché no? Sconvolgerla!

Siamo così tanto circondati e stonati di parole pronunciate senza riflettere, proferite senza considerarne il peso che alla fine ci siamo anestetizzati ad esse. Le parole ci piovono e ci scivolano addosso senza bagnarci, senza penetrare nei pori della nostra pelle.

Siamo diventati sordi, anoressici dinanzi alle parole che oramai affollano ed affogano le nostre esistenze, vagando a destra e a manca, senza che nessuna più si arrivi e si posi nel nostro cuore.

Hanno orecchi e non odono – Signore, guariscici dalla sordità della mente e del cuore, così che ascoltiamo di nuovo l’inno gioioso della tua Pasqua! Amen.

dom Tonino +



Qui sotto il video della preghiera.


PAX

UT UNUM SINT

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