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Celebrazione delle Opere di Dio in Santa Scolastica

"La donna, di cui celebriamo la festa, è una figura profetica. Sì, profetica nel senso etimologico della parola: essa proferisce parole di vita, pur senza parlare; compie opere meravigliose, pur senza cedere alla frenesia dell’attivismo." Così conclude la predicazione la pro Priora Ven. Mariagrazia Bianco nella Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola tenutasi per la Solennità.


Venerdì 9 febbraio 2024 alle ore 19:30, presso la Cappella "Santi Benedetto e Scolastica" della Casa Apostolica della Christiana Fraternitas si è svolta la Celebrazione Capitolare Ecumenica dei primi vespri per la Solennità delle Opere di Dio in Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia.

Sabato 10 febbraio, l'altro appuntamento della Celebrazione Capitolare Ecumenica della Parola con la predicazione tenuta dalla Propriora Ven. Maria Grazia Bianco. A seguire la Comunità monastica ha offerto ai fedeli le tradizionali scolasticose, il dolce tradizionale di della Santa da sempre preparato nella nostra Abbazia per la circostanza... e per salutare il carnevale le golosissime chiacchiere.



Il testo integrale della predicazione

della Propriora Ven. Mariagrazia Bianco

in occasione della Solennità delle Opere di Dio in Santa Scolastica


Scolastica come testimonianza dell’azione del silenzio e della invisibilità

Carissimi Fratelli e seorelle, èpossibile misurare l’efficacia di una vita vissuta ritirata nel silenzio?

Sembrerebbe che una vita che non sia dedicata alla cura e al sostentamento materiale degli altri, ma spesa per la formazione continua nel silenzio, nello studio della Scrittura e nella preghiera non si possa definire “utile”

Può l’esperienza spirituale di chi trascorre le giornate (in tutto o in parte) in meditazione o “lavoro orante”, proiettato/a al quaerere Deum, portare beneficio alle persone coinvolte nella quotidianità, e soprattutto quelle che si percepiscono affaticate o smarrite nel caos del nostro tempo?

La risposta è individuale, ma per chi si riconosce nella spiritualità cristiana, e in particolare di ispirazione benedettina, o comunque sente un anelito a qualcosa di più grande, di altro da sé, può poggiarsi sul dire bene, sul valore dell’umiltà come riportato nell’Evangelo di Matteo 11,25-27:

In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

Conosciamo Scolastica unicamente dai due libri dei “Dialoghi” di papa Gregorio Magno e per noi attesta l’efficacia di una vita che, pur trascorsa nel silenzio e nella solitudine, non ha significato l’inutilità del nascondimento ma è divenuta fattore di pace, unità e comunione fraterna

Ma in che modo una monaca degli inizi VI secolo, evocata in un racconto edificante e storicamente incerto, può parlare a persone come noi, inserite in un contesto storico/culturale/sociale molto diverso, come può farsi presente al nostro cuore, insegnandoci il doppio movimento della discesa nell’intimo e della risalita verso l’alto e verso l’altro, a guardarci dentro, a essere attenti al mondo…

Anche qui la risposta è nella umiltà dell’Amore: Pregò ardentemente l’Amore infinito

Sal 130

Ti cerco, mio Dio, in semplicità di cuore./Signore, non si inorgoglisce il mio cuore/e non si leva con superbia il mio sguardo;/non vado in cerca di cose grandi,/superiori alle mie forze./Io sono tranquillo e sereno/come bimbo svezzato in braccio a sua madre,/come un bimbo svezzato è l'anima mia.

Poté di più colei che amò di più

Secondo il racconto di Gregorio nella Quaresima probabilmente del 542 fratello e sorella erano a colloquio in una casetta sotto Montecassino. Infuriava la guerra greco-gotica, tra i Bizantini del generale Belisario e i Goti del re Totila. Arrivano da Benedetto il re Totila, attratto dalla sua fama, e gli sventurati con speranza di salvezza. E’ il momento di congedarsi: già nelle Regole dei monasteri dei secoli precedenti non sono previsti incontri tra i due sessi, sia pure con vincoli di sangue. Scolastica, il capo sulla mano poggiata sul tavolo, prega intensamente e viene accontentata: un violentissimo temporale trattiene tutti in quel luogo per una notte, sarà trascorsa in dolcissimi colloqui spirituali, il cui tema peraltro era previsto nelle regole monastiche citate. Tre giorni dopo il congedo Benedetto vede una colomba, l’anima della sorella, volare verso il cielo. I monaci scendono a prendere il suo corpo, anche questo secondo le prescrizioni monastiche, che viene sepolto nella tomba in cui Benedetto la raggiungerà, intorno al547.

Ecco il testo di papa Gregorio

“E’ necessario che io ti racconti come ci fu una cosa che il venerabile Benedetto, desiderò, ma non gli fu concesso di ottenerla.

Egli aveva una sorella di nome Scolastica, che fin dall’infanzia si era anche lei consacrata al Signore. Essa aveva l’abitudine di venirgli a fare visita, una volta all’anno, e l’uomo di Dio le scendeva incontro, non molto fuori della porta, in un possedimento del Monastero.
Un giorno, dunque, venne e il suo venerando fratello le scese incontro con alcuni discepoli. Trascorsero la giornata intera nelle lodi di Dio ed in santi colloqui (secondo le prescrizioni del monachesimo delle origini), e quando cominciava a calare la sera, presero insieme un po’ di cibo. Si trattennero ancora a tavola e col prolungarsi dei santi colloqui, l’ora si era protratta più del consueto.

Ad un certo punto la pia sorella gli rivolse questa preghiera: «Ti chiedo proprio per favore: non lasciarmi per questa notte, ma fermiamoci fino al mattino, a pregustare, con le nostre conversazioni, le gioie del cielo…». Ma egli le rispose: «Ma cosa dici mai, sorella? Non posso assolutamente pernottare fuori del monastero».

La serenità del cielo era totale: non si vedeva all’orizzonte neanche una nube.
Alla risposta negativa del fratello, la religiosa poggiò sul tavolo la mano a dita conserte, vi poggiò sopra il capo, e si immerse in profonda orazione. Quando sollevò il capo dalla tavola si scatenò una tempesta di lampi e tuoni insieme con un diluvio d’acqua, in tale quantità che né il venerabile Benedetto, né i monaci ch’eran con lui, poterono metter piedi fuori dell’abitazione.

La santa donna, reclinando il capo tra le mani, aveva sparso sul tavolo un fiume di lagrime, per le quali l’azzurro del cielo si era trasformato in pioggia. Neppure ad intervallo di un istante il temporale seguì alla preghiera: ma fu tanta la simultaneità tra la preghiera e la pioggia, che ella sollevò il capo dalla mensa insieme ai primi tuoni: fu un solo e identico momento sollevare il capo e precipitare la pioggia. L’uomo di Dio capì subito che in mezzo a quei lampi, tuoni, e spaventoso nubifragio era impossibile far ritorno al monastero e allora, un po’ rattristato, cominciò a lamentarsi con la sorella: «Che Dio onnipotente ti perdoni, sorella benedetta; ma che hai fatto?». Rispose lei: «Vedi, ho pregato te e non mi hai voluto dare retta; ho pregato il mio Signore e lui mi ha ascoltato. Adesso esci pure, se gliela fai: e me lasciami qui e torna al tuo monastero».

Ormai era impossibile proprio uscire all’aperto e lui che di sua iniziativa non l’avrebbe voluto, fu costretto a rimaner lì contro la sua volontà. E così trascorsero tutti la notte vegliando e si riempirono l’anima di sacri discorsi, scambiandosi a vicenda esperienze di vita spirituale. Con questo racconto ho voluto dimostrare che egli ha desiderato qualcosa, ma non riuscì ad ottenerla. Certo, se consideriamo le disposizioni del venerabile Padre, egli avrebbe voluto che il cielo rimanesse sereno come quando era disceso; ma contrariamente a quanto voleva, si trova di fronte ad un miracolo, strappato all’onnipotenza divina dal cuore di una donna.

E non c’è per niente da meravigliarsi che una donna, desiderosa di trattenersi più a lungo col fratello, in quella occasione abbia avuto più potere di lui perché, secondo la dottrina di Giovanni: «Dio è amore»; fu quindi giustissimo che potesse di più colei che amava di più!”

Il nome di Scolastica, evidentemente da schola, sembra riproporre il concetto del nomen omen: ci riporta al monachesimo del IV secolo alludendo sia alla stabilità della vita in comune sia alla istruzione che già Pacomio, l’iniziatore del monachesimo cenobitico, (292-346) imponeva a monaci e monache: Nel monastero non ci sia proprio nessuno che non sappia leggere e non ricordi qualcosa della Scrittura: come minimo il Nuovo Testamento e il Salterio.

Valida anche per le donne, questa prescrizione si tradurrà per loro in un progresso intellettuale senza precedenti. Si può dire che allora il monastero poteva sottrarre le donne ad un destino alquanto misero.

Dunque seguendo Benedetto, che invita a servire Dio non in ”fuga dal mondo” ma vivendo in comunità stabili e organizzate, e dividendo rigorosamente il proprio tempo fra preghiera, studio, lavoro e riposo, Scolastica già consacrata al Signore col voto di castità, in un altro monastero della zona fa vita comune con un gruppetto di donne consacrate.

Ma dietro l’esperienza delle benedettine si era già svolta una lunga teoria di monasteri femminili iniziati nei deserti d’Oriente; le donne attraversano le persecuzioni rifiutando le nozze e rinnegando i vincoli di sangue per vivere l’universalità del sentimento d’amore e nel III secolo sono diventate “spose” di Cristo, “serve” di Dio, “donne” di Dio

Anche per la sua comunità vige la Regola di Benedetto con il suo fondamento, il quaerere Deum.

Fin dai primi giorni della cristianità uomini e donne, mossi dalle ragioni più varie, Antonio in testa, si sentivano chiamati ad una vita di preghiera, solitudine e più intima unione con Dio. Eccoli eremiti nel deserto egiziano. La tradizione ce li consegna come Padri e madri del deserto, il luogo ordinario dell’incontro quotidiano con Dio attraverso la lettura e la meditazione della sua Parola nella Bibbia. Una saggezza, registrata e trasmessa a noi nel corso dei secoli innanzitutto da Giovanni Cassiano, (360-435) che registra i loro insegnamenti e li raccoglie in un classico della spiritualità monastica, le Conferenze spirituali

Maria la sorella di Pacomio, Macrina, l’intellettuale che indirizzò all’ascetismo i suoi fratelli Basilio, Gregorio di Nazianzio, Gregorio di Nissa, Padri della Chiesa, la sorella di Agostino che fonda una comunità in città, Ambrogio e Marcellina, un fiorire di sorelle e monasteri fondati sulla spiritualità e sulla preghiera. E poi Marcella esaltata da Girolamo, o Egeria, la pellegrina che viaggia nei luoghi delle Scritture e vi contestualizza gli eventi narrati nei Vangeli

Dal viaggio di Egeria agli studi biblici di Marcella, dalle battaglie religiose di Olimpia alle penitenze di Maria Egiziaca, le vite delle prime monache cristiane perseguono in diverse direzioni l’unico intento di cercare Dio.

Cercare Dio: silenzio parola preghiera carità

L’esortazione di Benedetto nel prologo della sua Regola informa di sé tutta la tradizione monastica di Oriente e Occidente: “Obsculta, o fili, praecepta magistri, et inclina aurem cordis tui, Ascolta, figlio, i precetti del Maestro e inclina l’orecchio del tuo cuore”. Certamente una citazione dello Shemà Israel del Deuteronomio 6,4-5. 4 Ascolta, Israele: l'Eterno, il nostro Dio, è l'unico Eterno. 5 Tu amerai dunque l'Eterno, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima tua e con tutte le tue forze.

Ma condizione per l’ascolto è il silenzio: dobbiamo fare silenzio prima nel nostro contesto, abitato da mille distrazioni e mille rumori a volte assordanti, con pochissimi spazi per un ascolto reale, e poi dentro, in interiore homine, come diceva s.Agostino, il che comporta la maggiore difficoltà.

Fatto il silenzio esterno per percepire la voce di Dio bisogna affrontare il tumulto dei pensieri, quasi la tempesta che colpisce la barca dei discepoli nel mare di Tiberiade, in Galilea (Marco,4,35-40). Paura, ansia preoccupazione speranza delusione e tanto altro gonfiano le vele. Ad un grido, secondo i tre sinottici, Gesù si sveglia ed esorcizza il mare, “non avete ancora fede?” Chiede ai discepoli, e la domanda rimbalza fino a tutti quelli che “cercano Dio”. Forse per tornare all’ascolto occorre rallentare il tempo frenetico che caratterizza la quotidianità dell’oggi. Ma non basta fare il vuoto dentro di sé per accoglierla questa domanda; bisogna scoprirla, capirla. Dio parla a Mosè con la voce forte delle tempeste sul Sinai o nel mormorio silenzioso con la voce del silenzio ad Elia? “Ah, verso Dio vibra di silenzio l’anima mia” si dice nel Salmo 64,2.

Come è possibile raggiungere un silenzio interiore? Perché il silenzio fa paura, come il deserto, ci mette di fronte ai noi stessi, ci fa misurare il nostro limite, lascia emergere ciò che davvero abbiamo dentro

E allora per non pensare talvolta ci stordiamo di rumori e di attività e più che ricercare il silenzio, stipuliamo delle tregue con proiezioni immaginarie o con noi stessi. Forse per calmare la nostra anima si richiede la semplicità suggerita dal salmo 130, 1-4: Signore, non si inorgoglisce il mio cuore/e non si leva con superbia il mio sguardo;/non vado in cerca di cose grandi/superiori alle mie forze.

Il silenzio non significa tanto un vuoto di parole chiacchierate quanto uno stato d’animo interiore che genera bellezza: la parola, la scrittura, l’arte, la musica, la poesia e ogni manifestazione sublime. Il silenzio conferisce umiltà, quiete, pace, tolleranza e benevolenza; non fa maledire ma benedire; non giudica e con condanna.

Nel silenzio possiamo seguire le esperienze dei Padri e delle Madri, Antonio e Sincletica i più conosciuti, o fratello Carlo Carretto: “E se tu non potrai andare nel deserto, devi però “fare il deserto” nella tua vita… lasciare di tanto in tanto gli uomini, cercare la solitudine per rifare nel silenzio e nella preghiera prolungata il tessuto della tua anima, questo è indispensabile, e questo è il significato del deserto nella tua vita spirituale… devi abbandonare tutto e tutti e ritirarti solo con Dio… Ma il deserto non è il luogo definitivo; è una tappa. Perché la nostra vocazione è la contemplazione sulle strade. Devi tornare tra gli uomini, devi mescolarti a loro, devi vivere la tua intimità con Dio nel chiasso della loro città…”

Allora saremo capaci di zittire il nostro io e ascoltare le voci degli altri, entrare in empatia, provare a medicare ferite, colmare mancanze…

Secondo Antonella Lumini, una custode del silenzio che senza rifiutare il mondo sperimenta l’eremitismo di città: “L’abitudine a muoversi secondo un andamento frenetico abbrutisce l’anima che, privata dei suo i spazi interiori, si ammala, diviene bramosa, avida perché dipendente da falsi attaccamenti che la oscurano. La sosta fa assaporare una cadenza nuova, mettendo seriamente in dubbio il ritmo disumanizzante che domina il tempo”.

Il silenzio è stato anche di Gesù, del Cristo. Il silenzio della notte della sua nascita: Dum medium silentium tenerent omnia, intona l’antifona di ingresso, tratto dal libro della Sapienza (Sap 18, 14.15); ripreso egregiamente dal poeta Turoldo:

Mentre il silenzio fasciava la terra, e la notte era a metà del suo corso tu sei disceso o verbo di Dio, in solitudine e più alto silenzio».

Lo stesso tempo sospeso Nel Protovangelo di Giacomo, un testo cristiano del II secolo in cui troviamo una descrizione del momento della nascita di Gesù, Giuseppe è uscito a cercare una levatrice, Maria è sempre nella grotta. Mentre Giuseppe cammina nel villaggio, all’improvviso tutto si ferma. Per un momento tutto rimane immobile, poi i movimenti ricominciano e Giuseppe sa che la nascita è avvenuta in quell’istante di silenzio assoluto».

Nel silenzio del tempo prosaico si sono svolti trent’anni della sua vita, così come i 40 giorni nel deserto, le notti di solitudine e di preghiera, la notte del Getsemani…

Tornando a Benedetto e alla sua Regola nel cap.VI con il termine taciturnitas non si intende solo il silenzio del corpo ma una attitudine del cuore, necessaria per ascoltare la Parola di Dio e rendersi con umiltà disponibile ai fratelli. Il silenzio è anche è anche il linguaggio dell’amore, come sant’Agostino scrive: “Se taci, taci per amore, se parli, parla per amore”.

E’ da un animo quieto e libero da passioni e affanni nella meditazione scaturisce la preghiera silenziosa

Nel silenzio la parola di Dio può arrivare negli angoli più nascosti del cuore: “è più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino all’intimo dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”. (Eb.4,12).

E tuttavia sull’accordo tra silenzio e parola si può fondare una relazione autentica e corretta tra fratelli, fatta di incoraggiamento, aiuto reciproco, riconciliazione, sostegno, condivisione profonda, che sono il criterio della comunione con Dio: “Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20).

Credo che si possa concludere con le parole di madre Teresa di Calcutta, per la quale il cammino semplice di C.Bobin è il cammino di santità di ogni cristiano: “Il frutto del silenzio è la preghiera / Il frutto della preghiera è la fede / Il frutto della fede è l’amore / Il frutto dell’amore è il servizio / Il frutto del servizio è la pace”.

Caro Abate, carissimi fratelli e sorelle, monaci e monache, cari amici,

la donna, di cui celebriamo la festa, è una figura profetica. Sì, profetica nel senso etimologico della parola: essa proferisce parole di vita, pur senza parlare; compie opere meravigliose, pur senza cedere alla frenesia dell’attivismo.

Scolastica ci mostra che solo le parole che nascono dal silenzio sono parole sensate; che solo le azioni che nascono dalla contemplazione dell’amore sono azioni capaci di cambiare la storia, perché le imprimono un dinamismo divino.

Alla nostra società dell’attivismo e della frenesia, del talk-show e dell’ingorgo delle parole, al nostro che si compiace dell’apparenza e dell’essere visibile, Scolastica insegna invece l’eloquenza del silenzio e la concretezza fattiva della contemplazione e del nascondimento.

Alla nostra cultura, che cerca l’apparire più dell’essere, che è convinta che valga chi sia più evidente e famoso, Scolastica insegna la forza del nascondimento. Non è stando avanti a tutti che si fa la storia, ma rimanendo dietro, magari recuperando gli smarriti, rincuorando gli avviliti e indicando la strada in avanti a chi si ferma a guardare indietro.

Ci aiuti, questa Santa del silenzio eloquente e della contemplazione fattiva a leggere e fare la storia nuova con gli occhi, la sapienza, la forza di Dio e del suo amore.


Sr. Mariagrazie Bianco



Al termine della serata, non potevano mancare gli auguri alla Propriora per il suo settantaseiesimo genetliaco. Con una torta a sorpresa è stata festeggiato il dono della vita di Sr. Mariagrazia



Pax

Ut unum sint!



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