La parola dell'Abate Perrella circa le notizie delle ultime settimane. L'intervento si è reso necessario per le numerose richieste dei fedeli e per il risvolto delle dichiarazioni che travalica i confini dell'appartenenza confessionale alla Chiesa di Roma.
1. Ricostruiamo i fatti
Prima di entrare nella lettura e nella interpretazione dei fatti, è necessario che questi vengano puntualmente e oggettivamente ricostruiti. Spesso e soprattutto nell’ultimo periodo, infatti, si sono espresse valutazioni, interpretazioni e giudizi non sui fatti ma sulla percezione e persino su una errata narrazione degli eventi.
a) Il 18.12.2023 il Dicastero per la Dottrina della Fede ha pubblicato una Dichiarazione sul senso pastorale delle benedizioni, dal titolo Fiducia supplicans. La Dichiarazione ricevette l’assenso del Papa con la formula ex Audientia con la medesima data. Quel documento non era finalizzato ad approvare le benedizioni sulle coppie irregolari o dello stesso sesso. Costituiva una più ampia riflessione sul ruolo che le benedizioni, come sacramentali (e non sacramenti), hanno nella vita dei credenti e delle comunità. In essa sostanzialmente si diceva che ogni pastore, nel suo ministero, dona tante benedizioni, alcune inserite in un rito ed altre invece in modo occasionale. Queste benedizioni, richieste dai fedeli, sono un fatto pastorale attraverso cui la Chiesa esprime la sua sollecitudine verso le persone e verso tutte le situazioni della loro vita; ma costituiscono anche la fiduciosa supplica che ogni fedele rivolge a Dio perché Egli lo accompagni con la sua grazia (la cosiddetta grazia attuale). In questo ampio contesto (e solo in questo contesto) la Dichiarazione affermava che questo tipo di benedizioni, quindi, può essere dato anche alle persone che vivono in situazioni irregolari, per la dottrina sul matrimonio della Chiesa di Roma, e persino a persone che vivono unioni omosessuali.
La stampa salutò questo documento come una rivoluzione all’interno della Chiesa cattolica romana. Proprio l’eco mediatica provocò una serie di reazioni interne alla Chiesa da indurre il Dicastero per la Dottrina della Fede a pubblicare un Chiarimento il 4 gennaio 2024, nel quale – ribadendo la distinzione tra benedizione liturgica e benedizione pastorale – afferma che quella proposta per le coppie irregolari (conviventi, divorziati risposati e dello stesso sesso) sono benedizioni «semplici e brevi, della durata di dieci-quindici secondi», che devono avvenire in privato e senza alcuna forma pubblica e/o rituale. Come a dire, che un presbitero, richiesto di una benedizione, traccia un segno di croce sulla fronte del singolo fedele senza che questo significhi approvazione della sua forma di vita.
b) Il 20 maggio 2024, il Vescovo di Roma Francesco – incontrando i Vescovi della Conferenza Episcopale Italia per un colloquio informale – li aveva invitati ad usare molta prudenza e discernimento sia nell’ammissione nei Seminari sia nell’ammissione agli Ordini Sacri. Ed aveva ribadito il suo pensiero, che è ormai da tempo chiaro, tranne a chi si ostina a non comprenderlo o a non volerlo comprendere: non vanno ammessi in Seminario candidati che presentino anche la minima ombra di orientamento omosessuale. È dal 2016 che la Congregazione per il Clero ha pubblicato la Ratio fundamentalis nella quale è scritto e stabilito – nero su bianco – che le persone con orientamento omosessuale non vanno ammesse ai Seminari. Ed anche le ragioni addotte sono messe nere su bianco: «Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne» (n. 199).
La stampa e tutti i media si concentrarono sul fatto che il Papa, nel ribadire il suo costante pensiero dal quale mai si è distaccato, avesse usato l’infelice espressione: C’è troppa aria di frociaggine nella Chiesa. Ovviamente, il problema non risiede nell’uso di una espressione colorita – che come ha notato Franco Grilli (Presidente onorario Arcigay) è in uso nella comunità LGBTQ+ e che sarebbe interessante sapere chi l’abbia riportata al Papa e come la conosca – quanto piuttosto nella comprensione antropologica che soggiace a quella espressione: ovvero l’affermazione che le persone con tendenze omosessuali siano incapaci di relazionarsi correttamente con le altre persone, uomini o donne che siano.
L’eco mediatica indusse il direttore della Sala Stampa, Matteo Bruni, ad un chiarimento che suonava più o meno così: il Papa si scusa se l’espressione – riportata da altri – ha potuto offendere qualcuno. Tuttavia, rimane ferma l’indicazione della Ratio fundamentalis 2016.
c) Il 28 maggio – quando era trapelata la notizia della “sortita” papale – un giovane, escluso da un Seminario perché aveva onestamente rivelato ai suoi superiori di essere gay – ha scritto al Papa una lettera, in cui gli confidava tutto il suo dolore.
Il Papa gli ha risposto con un biglietto, scritto a mano, in cui – come è suo solito fare quando vuole distogliere l’attenzione dal vero tema – si è dilungato contro il clericalismo e gli ha poi augurato di «andare avanti con la sua ricerca vocazionale». Il giovane ha salutato questo biglietto con grande gioia, affermando di aver compreso chi è veramente il Papa e non come “vogliono farlo passare”.
d) Il 10 giugno 2024, incontrando i sacerdoti della diocesi di Roma, il Papa ha nuovamente affermato che in Vaticano «tira aria di frociaggine». Vale la pena ricordare che, quando nel 2013 lo stesso Papa aveva pronunciato la frase “chi sono io per giudicare?”, essa era inserita nella “difesa” di un suo collaboratore, sul quale era circolata dettagliata documentazione di trascorsi omosessuali. Quel sacerdote lavora tutt’oggi in Vaticano a stretto contatto con il Papa. Comunque, sempre nell’incontro con i presbiteri romani, ha ribadito che «è meglio non ammettere in Seminario i gay».
e) Nelle more di questa discussione, e precisamente il 17 maggio 2024, vede la pubblicazione un ulteriore documento del Dicastero per la Dottrina della Fede che riguarda il discernimento sui presunti fenomeni soprannaturali. Nella presentazione di quel documento il Cardinale Prefetto Fernandez si è lanciato nell’uso dell’espressione «fare cazzate». Ciò che mi interessa rilevare, in questo contesto, è la assoluta novità che questo documento impedisce al Vescovo diocesano di esprimere un giudizio sulla soprannaturalità o meno dei fenomeni. Questo giudizio d’ora in avanti spetterà solo a Roma. Comprenderemo dopo, perché cito questo documento in questa sede.
Fin qui i fatti! E valga il vero, al di là di imprecise se non tendenziose ricostruzioni e comunicati o lettere che cercano – anche piuttosto maldestramente – di distogliere l’attenzione sui contenuti essenziali delle questioni.
Dobbiamo, ora, leggere i fatti, analizzarli, perché – e non ho alcuna paura di dirlo – qui occorre fare una “operazione verità” e smetterla, una volta per tutte, di gettare fumo negli occhi della opinione pubblica e soprattutto delle persone LGBTQ+, che hanno diritto di sapere come stanno le cose che le riguardano da vicino.
2. Interpretiamo i fatti
Per interpretare i fatti ci si deve attenere ad una precisa ermeneutica, che non può essere quella di chi si mette ad analizzare i fatti. Una parola, un discorso, una scelta, un’azione nascono in un “contesto ermeneutico” (direbbe Heidegger). Ed il contesto ermeneutico, in questo caso, non può che essere la storia, la tradizione e la dottrina della Chiesa cattolica di Roma, giacché stiamo analizzando fatti che la riguardano.
a) Esiste un rapporto patologico tra la attuale Chiesa di Roma ed il mondo dei media.
In non poche occasioni, siamo stati messi dinanzi al fatto che questo Papa è stato osannato dalla stampa, come pure dinanzi al fatto che gli operatori della informazione hanno cercato un rapporto privilegiato e “delicato” con questo Papa, mentre non hanno lesinato attacchi durissimi verso altri Papi (basti pensare a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, solo per citare gli ultimi due).
Era il 2013 ed era scoppiato il caso “mons. Ricca”. Papa Francesco, nel tentativo di difendere il direttore di Casa Santa Marta (dove ha spostato la residenza papale), disse: «Se uno è gay e si è convertito e cerca il Signore, chi sono io per giudicare?». Queste parole furono salutate dai media – con una imprudenza ignorante e irresponsabile – come un’apertura del Papa verso le persone omosessuali. Come ho dimostrato nella mia Lettera Abbaziale per il superamento della omotransfobia Praedicando Evangelio del 17.05.2023 (pp. 60-63), il Papa non aveva mai inteso affermare che la condizione omosessuale era sdoganata nella Chiesa. Il riferimento alla conversione, infatti, poteva avere – visto che a pronunciarla era il Vescovo di Roma – un solo significato: quel gay deve vivere in castità. Ora, però, siamo andati oltre, perché la Ratio dei Seminari e le più recenti affermazioni del Papa dicono che neppure la castità basta più: semplicemente la condizione omosessuale è incompatibile con il Sacerdozio cattolico-romano. Un gay non deve essere ammesso in Seminario e non deve essere ordinato prete. Anzi, qualora qualche compiacente giornalista non se ne fosse accorto, l’indicazione è ancora più perentoria: al minimo e più lontano sospetto va messo fuori!
I documenti ufficiali parlano di pratica omosessuale o di tendenza radicata; nei colloqui il Papa parla di “minimo sospetto”.
La risposta data da Francesco al giovane che gli confidava il suo dolore riporta l’invito ad andare avanti con la sua ricerca vocazionale. Non dice: vai avanti con la realizzazione di quella che senti come tua vocazione! Il che significa che, se quel giovane dovesse presentarsi ad un Seminario con il biglietto autografo, esibendolo come una sorta di lascia-passare, si troverebbe smentito, nuovamente amareggiato e deluso. La Ratio del 2016, al numero già citato, infatti ribadisce che il desiderio di diventare preti non costituisce un diritto alla Ordinazione, perché è la Chiesa a discernere e decidere. La sua ricerca vocazionale potrà anche proseguire, ma quella ricerca lo porterà all’unica risposta possibile: è un tuo desiderio ma non è il desiderio della Chiesa e, quindi, non è la volontà di Dio su di te!
La lettera personale del Papa a quel giovane è a suo modo chiara, perché in fondo dice questo: attento, il clericalismo è una peste e il tuo desiderio di diventare prete – anche se non corrispondi ai criteri della Chiesa – potrebbe essere clericalismo. Spiace dover deludere ed amareggiare quel giovane, ma la verità emerge da sé se una buona volta gli organismi di informazione spezzano questo iniquo e patologico legame.
Ormai è sotto gli occhi di tutti che, quando sorge qualche polemica, Papa Francesco dice una parola, rilascia interviste-fiume ad alcuni e selezionati giornalisti o fa telefonate e manda lettere personali con cui mostrare che lui, a livello personale, non esclude nessuno. Ma la vita delle persone non si gioca sul rapporto che il Papa, come persona, ha con loro ma con quello che il Papa, in quanto Capo della Chiesa, ha verso di loro.
Nei giorni scorsi, la Sala Stampa vaticana ha diffuso nuove norme di comportamento nei confronti dei giornalisti: ormai non riceveranno più in anticipo i testi della Curia e soprattutto quelli del Papa, ma solo il testo dopo che il Papa lo avrà pronunciato. Questo significa due cose: che i giornalisti sono ritenuti inaffidabili e che i testi papali verranno diffusi solo dopo che mani prudenti li avranno emendati da possibili scivoloni, magari edulcorando ciò che il Pontefice a braccio afferma con una qual certa libertà. Qualunque siano i significati e le intenzionalità della Santa Sede, rimane comunque il fatto che il rapporto con la stampa è diventato funzionale a veicolare una immagine precostituita.
E se i giornalisti non se ne accorgono, o sono ciechi o sono conniventi…
b) L’antropologia della Chiesa cattolica è sessista e machista, non è conforme alla Costituzione Italiana, non è suffragata dalla conoscenza scientifica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è contro la Dichiarazione dei Diritti universali dell’uomo e contro la Costituzione Europa.
Ho cercato di sintetizzare in questo titolo il vero problema della questione. Solo gli idioti possono concentrarsi sul fatto che si usi una parolaccia, come se questo fosse un problema che interessi a qualcuno.
Papa Francesco ha usato la parola frociaggine, il Card. Fernandez ha usato la parola cazzate. Questo al massimo può manifestare in quale bassa considerazione abbiano il loro ruolo istituzionale e quanto bassa sia la considerazione delle aspettative dei loro fedeli. Vogliono apparire alla moda? Cercano il plauso della narrativa giornalistica per essere descritti come “uomini di Chiesa moderni”? Facciano pure! Ma sarebbe più prudente chiedersi quale eco le loro parole ed i loro modi di esprimersi hanno sui fedeli, che sono i loro figli. Un Pastore si occupa più dei figli, che della stampa; delle coscienze dei fedeli che del plauso della opinione pubblica.
Tuttavia, non voglio dilungarmi oltre su questo stucchevole punto. Perché la questione principe, la domanda madre e risolutiva è un’altra: qual è l’antropologia della Chiesa cattolica di Roma? E, poi, essa è ancora sostenibile dal punto di vista scientifico? Ed, infine, ha diritto di cittadinanza negli Stati di diritto occidentali?
Per poter rispondere a queste domande, non bisogna leggere discorsi informali, indicazioni a porte chiuse, bensì i documenti ufficiali, quelli che nella Chiesa di Roma vengono indicati come Magistero, dal quale essa – se vuole rimanere se stessa – non può in alcun modo discostarsi.
Occorre qui riportare per intero il n. 2357 del Catechismo della Chiesa:
«L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati».
In questo numero si affermano fondamentalmente due cose: le relazioni omosessuali sono intrinsecamente disordinate e depravate e l’amore omosessuale è contro la legge naturale. Occorre comprendere bene la portata di queste affermazioni: la prima è di tipo morale, la seconda di tipo ontologico-scientifico. Se una Chiesa può avere diritto di dire ciò che, secondo la propria dottrina, è ritenuto moralmente accettabile o inaccettabile, d’altra parte, non può in alcun modo fare affermazioni medico-scientifiche contrarie a quelle della comunità scientifica e giuridicamente in contrasto con le leggi degli Stati in cui essa opera.
Non analizzo la questione morale, perché ne ho diffusamente trattato nella mia già citata Lettera Praedicando evangelio. Qui è necessario, invece, fermarsi sul tema della omosessualità come contraria alla legge naturale. Nella teologia cattolica la legge naturale è il diritto che nasce dalla natura, che a sua volta è determinata dall’atto creatore di Dio. La legge naturale è pre-esistente al diritto positivo (le leggi emanate dallo Stato).
Sappiamo che nel 1990 l’OMS ha derubricato l’omosessualità dalle malattie psichiche e l’ha definita come una delle varianti del comportamento umano e della sessualità umana. Recentemente, durante il periodo della cosiddetta pandemia di CoVid, se qualcuno osava alzare una voce contraria a quella della comunità medico-scientifico e della sua più alta istituzione (l’OMS), era sottoposto alla gogna mediatica e legale. Per le affermazioni dell’OMS si è legittimamente proceduto al restringimento di inalienabili diritti della persona, quali quello del libero movimento, della cura e del mantenimento delle relazioni significative, fino a quello di raduno e di culto. Nessuna persona sensata avrebbe mai messo in discussione le affermazioni dell’OMS. Se si tratta, invece, di omosessualità e della naturalità dell’orientamento omoerotico, si permette alla Chiesa cattolica romana di pronunciare affermazioni in aperto contrasto con la comunità scientifica e l’OMS. E, quando in Italia, si è tentato di promulgare una legge, il cosiddetto DDL Zan, per contrastare i fenomeni di omotransfobia, l’intervento del Segretario vaticano per i rapporti con gli Stati ha fatto sì che l’approvazione di quel disegno di legge naufragasse miseramente. Quasi nessuno -ubriachi dalle frasi ad effetto- gridò all’ingerenza vaticana nella formulazione delle leggi dello Stato Italiano.
Sempre il Card. Fernandez, nel documento Dignitas infinita del 2.4.2024, al n. 60 stabilisce che nessun intervento, volto al cambiamento di sesso, è rispettoso della dignità del corpo e della persona umana. Come tale la transidentità è incompatibile con la visione cattolica della vita e della persona. Una coraggiosa teologa, Ursula Wollasch, ha pubblicato il 17.4.2024 su Settimana News un coraggioso articolo che vale la pena leggere:
«Stupisce come la Chiesa cattolica, da un lato, onori il 75° anniversario della Carta dei diritti umani delle Nazioni Unite del 1948 con la sua attuale dichiarazione e, dall’altro, entri in aperto confronto con l’ONU e la sua posizione sull’autodeterminazione sessuale. Dal punto di vista dei diritti umani, la questione della dignità umana delle persone trans è molto diversa, quasi contraria.
Non è l’intervento chirurgico di riassegnazione del sesso a contraddire la dignità umana, ma la costrizione a vivere in un corpo in cui una persona semplicemente non può vivere. In altre parole, è contrario alla dignità umana privare una persona del diritto di relazionarsi con il proprio sesso biologico, indipendentemente dal fatto che sia d’accordo o meno con esso. La dignità umana è messa a repentaglio quando alle persone viene negato il diritto di decidere la propria identità di genere. Questo atto di autodeterminazione è un diritto umano che la Chiesa cattolica sta ancora una volta ignorando. In questo senso, Dignitas infinita capovolge la dignità umana».
Ancora una volta ci troviamo dinanzi ad un’affermazione dottrinale della Chiesa cattolica romana in aperto contrasto con le acquisizioni scientifiche della Comunità Internazionale e della comunità scientifica e viene impunemente lasciata libera di agire e di interferire con la vita delle persone e degli Stati.
La Costituzione Italiana – che dovrebbe essere la magna carta della convivenza civile nel nostro Paese – al n. 2 afferma: «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità». Il dettato costituzionale ha un duplice significato: il primo, lapalissiano, è che la Repubblica riconosce e garantisce l’esercizio dei diritti e delle libertà della persona sia a livello personale sia a livello associativo (le formazioni sociali); ma ha anche un altro significato che è purtroppo disatteso. È dovere della Repubblica fare in modo che nelle formazioni sociali siano riconosciuti e garantiti i diritti dell’uomo. Questo la Repubblica Italiana colpevolmente non lo fa nei confronti della chiesa cattolica che è una formazione sociale. Se il Concordato riconosce autonomia e indipendenza ai due ordinamenti, tuttavia, questo non può in alcun modo – pena la distruzione pratica della Costituzione – significare che la Chiesa cattolica al suo interno possa legittimamente violare i diritti delle persone. Ed è esattamente quello che fa nei confronti delle persone omosessuali e transessuali, come ho dimostrato a partire dal Catechismo e dalla Dignitas infinita.
C’è poi un’altra aporia interna alla chiesa cattolica che merita di essere sottolineata e dimostrata. Perché questo nodo deve finalmente ed una volta per tutte venire al pettine.
Sempre nel Catechismo al n. 2359 si dice:
«Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un'amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana».
Secondo questa affermazione le persone omosessuali sono chiamate alla santità. Esse possono, quindi, giungere alla perfezione della vita cristiana attraverso le virtù della padronanza di sé. Ora, lasciamo da parte la questione della castità ritenuta necessaria. Ciò che ci interessa è che il Catechismo afferma che le persone omosessuali sono capaci di padronanza di sé, sono capaci di libertà interiore e, quindi, sono capaci di assumere un impegno tanto determinante e fondamentale quale quello di compiere un cammino di santità.
Allora viene spontanea una domanda: se una persona è ritenuta capace di giungere alla santità, perché capace di autopadronanza e di perfezione di vita cristiana, perché mai è ritenuta incapace di un corretto rapporto con le altre persone? Se un omosessuale è capace di diventare santo, perché mai è incapace di diventare un buon prete?
La stessa Chiesa contraddice se stessa! È per questo che io ribadisco quanto ho più volte detto: la colpa è di quegli attivisti LGBTQ+ cristiani che ancora inseguono il riconoscimento della Chiesa cattolica. Ma cosa aspettate ad aprire gli occhi? Inseguite una Chiesa che in un documento afferma una cosa (siete chiamati alla vocazione più grande, quella della santità) e in un altro documento ne afferma un’altra contraria (non siete chiamati al ministero ordinato).
Qui, caro Papa, devi mettere ordine nella testa di chi prepara i documenti: cosa è più importante nella Chiesa: la santità o il sacerdozio? Perché dire che una persona che è capace di diventare santa, non è però capace di diventare prete, significa solo due cose: o avete un bassissimo concetto della santità o ne avete uno spropositato del ministero ordinato.
Se, poi, andiamo alla questione delle donne e della loro importanza nella Chiesa potremmo scrivere fiumi di inchiostro. Da un lato ogni giorno ci propinano l’apertura alle donne da parte della Chiesa cattolica, ma dall’altro lato arrivano segnali ben diversi: chiusura definitiva al sacerdozio (card. Ladaria, cf A. Perrella, Giovanni: la Parola Esclusa perchè Parola per gli esclusi. pag. 116), chiusura al diaconato femminile (intervista a un’emittente statunitense) a cui deve aggiungersi un’espressione che la dice lunga sul vero pensiero inconfessato. Si tratta del colloquio con i preti romani, sempre a porte chiuse, in cui il Papa ha rimproverato i preti pettegoli dicendo che «il chiacchiericcio è roba da donne. Noi portiamo i pantaloni».
Adesso le cose sono due: o io ho ormai un pregiudizio o gli altri il prosciutto sugli occhi… Tertium non datur!
Qui, a suon di documenti ufficiali e di conversazioni informali, ci troviamo dinanzi ad una mentalità sessista e machista di proporzioni stratosferiche.
Per favore, aprite gli occhi, perché le persone mediamente intelligenti ormai sono stufe!
c) I Vescovi cattolici sono diventati dei bidelli…
L’episcopato, nelle venerande tradizioni delle Chiese cristiane, è un ministero altissimo. Tutte le Chiese, che hanno conservato la teologia dell’episcopato, sono concordi nel riconoscere al Vescovo il suo essere successore degli apostoli e vicario di Cristo.
Lo sanno tutte, ma la Chiesa cattolica di Roma lo sta dimenticando e proprio nel momento in cui parla di sinodalità. Ed anche in questo ci troviamo dinanzi a contraddizioni incomprensibili e di portata capitale.
Il vescovo, nella sua Chiesa, sta a nome di Cristo e non a nome del Papa. Come il papa è Vicario di Cristo per la Chiesa di Roma, che presiede nella carità a tutte le Chiese, cos’ il Vescovo per la sua diocesi è Vicario di Cristo. Egli deve essere in comunione con il collegio apostolico e con il suo capo visibile, il romano pontefice. Questo è l’insegnamento chiaro del Concilio Vaticano II riversato fedelmente del codice di diritto canonico della chiesa latina.
Ora, però, ci troviamo dinanzi a scelte e normative che contraddicono questa verità dogmatica. Sì, la prassi normativa dell’attuale Chiesa cattolica è in contrasto con la sua dottrina!
Elenco i dati:
- il discernimento circa l’idoneità dei candidati al sacerdozio è sottratto alla giurisdizione episcopale;
- la quantità di Tribunali speciali e di facoltà speciali concesse ai Dicasteri romani su questioni dottrinali, disciplinari e amministrative ha sottratto al Vescovo diocesano la sua funzione di giudice. Salvo poi a estenderla sulla questione delle nullità matrimoniali, perché quella al Papa piace…. È opinione condivisa di illustri canonisti che questi Tribunali speciali abbiano del tutto cancellato il diritto alla difesa e la presunzione di innocenza, perché procedono per via amministrativa anziché per via giudiziale;
- alcuni Vescovi sono stati ridotti allo stato laicale, che è un’abnormità e persino mostruosità teologica e giuridica;
- nel documento, pubblicato dal Dicastero per la Dottrina della fede sui fenomeni soprannaturali, nessuna competenza dottrinale e teologica è riconosciuta la Vescovo. Roma, poi, prima di affermare che un fenomeno è soprannaturale elenca anche i temi di cui devono parlare gli eventuali messaggi soprannaturali. Sembra quasi che non solo i vescovi debbano obbedire a Roma, ma anche il Padre Eterno, la Madonna ed i Santi…;
- un Vescovo non può più erigere nella sua Diocesi istituti di vita consacrata di diritto diocesano senza l’assenso di Roma.
Potrei continuare l’elenco ma diventerebbe troppo lungo e sarebbe capito solo dagli specialisti. Quello che, invece, tutti comprendono è che ci troviamo dinanzi ad una gestione del potere ecclesiastico fortemente viziata da centralismo e autoritarismo. E la sinodalità?
Da una parte Roma estende le maglie del suo potere decisionale, passando persino sulla testa del vescovo, e dall’altra parte chiede di fare discernimenti condivisi in cui anche i laici offrano il loro contributo ai processi decisionali. Ma Roma quale delle due è? La Roma neocesaro-papista o la Roma neo-protestante? Perché, se vuole essere entrambi, ha un serio problema di schizofrenia patologica o di sdoppiamento della personalità. In ogni caso necessita urgentemente di cure.
Qualche giorno fa il Dicastero per la Promozione dell’unità dei cristiani ha pubblicato uno studio sul Vescovo di Roma e sul rapporto tra primato e sinodalità. Probabilmente il punto sta proprio qui: o si resta ancorati alla visione papo-centrica romana e, coerentemente, si smette di giocare a “fare i protestanti” con le chiacchiere sulla sinodalità o si prende sul serio la sinodalità e si accetta, coerentemente, di rivedere il centralismo romano.
Prendere sul serio la sinodalità significa tornare ad una sana teologia dell’episcopato, del presbiterato e del battesimo. Il vescovo nella sua Chiesa sta al posto di Cristo e non del Papa; il parroco nella sua parrocchia sta al posto di Cristo e non del Vescovo (perché anch’essi riversano sui loro preti le frustrazioni che Roma impone su di loro); il fedele battezzato è soggetto e non oggetto della vita ecclesiale ed è innestato in Cristo sacerdote, re e profeta.
Senza questa rifondazione teologica seria, corposa, fondata sulla Scrittura e della Tradizione, quello che rimarrebbe della Chiesa di Roma sarebbe solo una caricatura di se stessa ed i brandelli sparsi da cani ideologici ed affamati che le si sono avventati addosso.
Non posso dilungarmi di più ma si dovrebbe… chiudo partecipandovi solo di un mio intimo pensiero: come anglicano nutro una certa preoccupazione e perplessità per il tanto paventato avvicinamento di Canterbury a Roma e mi chiedo dove si fonderebbero le reali ragioni di una possibile comunione con un sistema del genere: accentratore del potere più che ai tempi di Enrico VIII, dicriminatore, sessista e omofobo? Ecumenismo si, è un dovere! Anzi è la dimensione esistenziale della Chiesa ma non a tutti i costi quando il prezzo da pagare è la dignità delle persone cosi come ci è donata dell'Evangelo o favorire un timore tale nei cristiani da non consentire di viversi ed amare la singolarità della propria esistenza, da impedire la gioia di essere la caratteristica di ogni servizio e ministero nella Chiesa.
Io credo che tu Padre sei stato davvero esaustivo facile da comprendere e fare riflettere. Ma purtroppo mi viene da pensare a don Chisciotte una lotta contro i mulini a vento..... Però nello stesso tempo credo fermamente che questo tuo scritto vada pubblicato e promosso in modo che molti possano capire e riflettere su tutta la questione Chiesa. Viene dato del fumo negli occhi con certe affermazioni che solo chi nn capisce, pensa di apertura. Nn mi dilungo molto nn so nemmeno se leggerai mai questo mio commento, cmq volevo RINGRAZIARTI per averlo fatto. GRAZIE padre Abate!